Arabella/Parte quarta/4
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IV.
In Questura.
Si scosse al rumore di un passo. Essa con voce rinfrancata e autorevole gli disse: ― Andiamo, non abbiamo molto tempo.
E lo precedette, camminando verso la stazione.
Non ebbero molto da aspettare. Essa acquistò i biglietti e lo precedette ancora, entrando in uno scompartimento affollato, dove la presenza di altri viaggiatori impedì loro di parlare. In silenzio arrivarono a Milano. Salirono in una vettura che li accompagnò a casa, in via San Barnaba.
Non scambiarono quattro parole lungo il viaggio. Arabella, chiusa in un duro risentimento, se lo tirava dietro come un ragazzo che ella avesse ritrovato perduto in mezzo a una strada.
La zia Colomba, che stava in sentinella, scese un pezzo di scala, abbracciò la signora e le sussurrò prima di entrare:
— Nunziadina, non sa nulla. È un po’ malata e l’ho persuasa a rimanere a letto. In ogni caso le diremo che Ferruccio ha dovuto partire.
— Mi ha detto questo figliuolo che voi conoscete un delegato.
— Sì, è stato lui… Signore!… è stato lui che ci ha avvertiti.
— Accompagnatemi subito da lui. Sentiremo.
— Sentiremo — ripetè macchinalmente la povera donna, che tremava tutta e non sapeva quel che dicesse e facesse in questo mondo. ― Prese lo scialle e raccomandata Nunziadina a Ferruccio, scese le scale, ripetendo: ― Sentiremo.
— Alla Questura! — ordinò Arabella al cocchiere che aspettava abbasso.
Ferruccio andò a sedersi sulla seggioletta della zia Nunziadina, davanti al telaio sul quale era steso un gran pizzo. E rimase in contemplazione dei ricami tutto il tempo, meravigliandosi di non sentir nulla, come se non si trattasse più di lui.
Le due donne scesero davanti la Questura e chiesero a una guardia di poter parlare al delegato Galimberti. Fu loro indicato un lungo corridoio, mezzo cieco, che metteva ai piedi di una scaletta umida e sporca.
Salirono a un portico superiore, dov’erano molti usci con delle scritte sopra, che Arabella non ebbe gli occhi per decifrare.
Sentiva e vedeva, come in sogno, quasi per una visione interna.
Sulla soglia d’una di quelle porticine molta gente mal vestita, dalle faccie slavate, tra cui molte donne piangenti, si addossava per spiare quel che si faceva di dentro, mentre altre guardie passeggiavano lentamente in su, in giù, per il lungo del portico.
Un usciere, a cui la Colomba si rivolse timidamente a chiedere di nuovo del signor Galimberti, rispose con voce seccata: — Dabbasso — e scomparve, sbattendo furiosamente un usciolino.
Si rassegnarono a tornar giù. Allo svolto del pianerottolo furono quasi brutalmente urtate e respinte da un corteo di guardie, che tenevano in mezzo un ragazzaccio a sbrendoli, colle mani legate, una figura smilza e imbozzacchita dai vizi e dalle prigioni, che all’incontrare una signora sulla soglia di casa sua, tese il collo, sgranò gli occhi, e urlò con voce rauca e sguaiata:
— Viva l’Italia, bella bionda!
La Colomba, vedendo la signora diventar smorta e tremare, le fece scudo col corpo, ma tremava anche lei come un coniglio. Rimasero due respiri in silenzio, incapaci di muoversi, sostenendosi a vicenda cogli occhi, sforzandosi di sottrarsi al pensiero che la vista del ragazzotto arrestato veniva naturalmente a suggerire.
— Se Dio tien conto di quel che lei fa... — balbettò la Colomba.
Arabella fe’ segno di tacere, stringendole forte la mano, e scesero insieme gli ultimi scalini quasi correndo. Un vecchio portiere, che veniva su portando con fatica un secchiolino d’acqua, indicò loro l’ufficio del delegato Galimberti, a man sinistra, sotto il portico, e stette sulle gambe arrembate a contemplare la bella figurina. Ne capitano molte in Questura, di brutte e di bionde.
Il Galimberti, riconosciuta la Colomba, capì di che si trattava e le fece passare in uno stanzino contiguo alla sala d’ufficio, dove c’era un gran puzzo di sigaro, sbarazzò due sedie dalle carte, le invitò a sedere chiudendo per precauzione la porta.
La Colomba colla foga della passione cominciò a dire che la signora era pronta a dare delle testimonianze per Ferruccio.
— La signora è forse una parente?
— È la padrona di Ferruccio — rispose la vecchia, che lì per lì non seppe trovare una parola migliore.
— Ho capito — disse il delegato, fissando uno sguardo paterno su Arabella, mentre andava a pescare in una scatoletta di cartone una pastiglietta di poligala. — È la nuora di quel povero signor Tognino? povero uomo, morto giovine anche lui. Ma…! nido fatto, gazza morta…
— E questo nostro figliuolo? — chiese la Colomba.
— Le testimonianze non fanno male, e non fanno male nemmeno le raccomandazioni delle buone signore. Ma, ma, ho di nuovo esaminato il caso, la mia donna, e non so come potremo cavarcela. È una disgrazia, capisco, il ragazzo non è cattivo, è tutt’altro che un socialista e un anarchico: ma i tempi son cattivi sotto questo rispetto, e gli ordini superiori son chiari. C’è stata ribellione alla pubblica forza… L’avrà fatto per imprudenza, per buon cuore, ma la legge è legge, cara la mia donna, e non guarda in faccia a nessuno. La ribellione è diventata quasi un tratto di spirito per questi giovinotti della giornata, che credono, chi sa? di cambiare il mondo come si cambia un paio di scarpe vecchie. E naturalmente l’autorità stringe i freni e manda delle istruzioni categoriche, precise, che non scherzano. Si sa che chi va di mezzo siam sempre noi poveri agenti. Se si fa troppo, gridano che si fa troppo; se si fa poco gridano che non si fa nulla. I giornali ci mordono ai polpacci, la Prefettura ci picchia sulla testa, il Ministro ci trasloca, ci destituisce, talchè si può dire che i nostri migliori amici sono ancora i birbanti.... Questo per darvi un’idea che anche noi abbiamo le mani incatenate. Nel caso nostro poi c’è un aggravante serio, serio, serio... — Il delegato socchiuse gli occhi e tentennò un poco la testa. — Oltre alla ribellione c’è la deposizione di una guardia, che è stata sbattuta in terra e ha dovuto rimanere dieci giorni fuori di servizio per una slogatura alla mano. Caso grave! Una mano per una guardia di questura è come l’archetto per un suonatore di violino. C’è stato del danno...
— La signora è pronta a dare un indennizzo.
— Anche il denaro è un bel rimedio che guarisce molte slogature. Protezioni, alte testimonianze, denaro, potranno esser tant’olio per far correre le ruote e per non lasciarle stridere; ma voi, la mia Colomba, domandate troppo. Mi par già di essere compromesso per quel che ho fatto, avvisandovi del pericolo e offrendo al ragazzo i modi di accomodare i suoi cenci in famiglia. Mi rincresce anche per questa buona signora, alla quale non vorrei proprio dir di no; ma c’è una deposizione, Dio benedetto! c’è la legge.
Arabella, che stava ad ascoltare colla faccia impassibile, mosse due o tre volte le palpebre per asciugare un leggero velo di lagrime. Il delegato se ne accorse, e fece qualche passo nella stanza. Non poteva veder piangere le donne. Era il suo debole. Dopo uno sforzo riprese a dire:
― Ho già parlato col ragazzo e gli ho fatto capire che gli conviene fidarsi di me. Mi sta a cuore anche a me, povero figliuolo, perchè ho conosciuta la sua mamma e con queste donne siamo amici vecchi. Ci sono delle circostanze attenuanti, che non gli fanno disonore... Quindi gli conviene mettersi nelle mie mani.
— O povero martire! — scoppiò a dire lagrimando la Colomba.
— Non esagerate il male, benedette! Anzi fategli coraggio e persuadetelo a seguire il mio consiglio. Credete forse che lo si abbia a caricare di catene e a far marcire in un tetro carcere come si diceva una volta? Saranno due o tre mesi, al più, di ritiro, una specie di esercizi spirituali, che a un giovane un po’ vivo non faranno male.
— O Signore... — balbettò la Colomba. — Quel ragazzo mi muore.
Arabella aggrottò la fronte in un pensiero doloroso.
— Benedetta gente! — riprese dopo un istante il povero Galimberti, che non aveva il cuore di sasso. — Tutto quello che io posso fare è di tirar in lungo la pratica, per lasciargli il tempo, va bene?, di preparare terreno. Così nessuno si accorge nemmeno ch’egli sia scomparso. Dà ad intendere d’aver trovato un posto, che so io? a Bergamo, a Como, a Melegnano... va bene? e tra quindici, venti giorni, una mattina, dietro un mio biglietto, viene da me, quieto quieto, noi lo esaminiamo in camera caritatis, lo trattiamo con indulgenza. Se poi si comporta bene, io lo farò accettare negli uffici d’amministrazione, dove, tranne il catenaccio, è come esser qui. Vedete dunque che in realtà si riduce a una commedia; mentre se invece vuol suscitare rumori, scandali, o pretende che la legge si abbia a cangiare pe’ suoi begli occhi, allora si taglia la strada sotto i piedi, lega le mani a noi, ci compromette e da un maluccio fa nascere un malaccio.
— Posso quasi assicurare che il giovane non sopporterà il suo disonore — prese a dire Arabella con accento che aveva in sè qualche cosa di tagliente e di sprezzante.
— A ogni modo non possiamo sopportarlo noi, non è vero, Colomba?
Il Galimberti aprì le due braccia come se volesse dire: — Non c’è rimedio... — e voltò la faccia verso il muro per non saper che cosa rispondere.
— Il signor delegato che dice di voler bene a queste povere donne vorrà, come ha promesso, tirar le cose in lungo.
— È tutto quello che posso fare, cara la mia signora: e lo farò volentieri, perchè non solo voglio bene a queste povere donne, ma il figliuolo mi ricorda la sua povera mamma. La Colomba sa che... che... che... — E con una scossa del capo si sforzò d’inghiottire un grosso stranguglione di reminiscenze.
Arabella si alzò, e trasse in un angolo vicino alla finestra il delegato, mentre la Colomba pareva diventata sulla sedia un sacco di stracci. Prese famigliarmente le mani del pacifico tiranno e gli mosse una serie di questioni, alle quali egli rispose benevolmente, fissando con crescente meraviglia gli occhi negli occhi di questa cara donnina, che gli parlava con tanto calore e con tanta seduzione. Il mestiere non gli aveva ancora fasciato il cuore d’una corazza di bronzo; e posto in mezzo tra una povera vecchia che gli risuscitava il passato, e una simpatica bellezza che lo pregava cogli occhi bagnati, si lasciò trascinare a promettere, non solo che avrebbe cercato di mandar la pratica in lungo, ma che avrebbe anche rilasciato un foglio di via per Ferruccio, una patente netta... Al resto avrebbero pensato le donne.
— Le donne, le donne, le donne... — seguitò un gran pezzo a ripetere il povero uomo, quando rimase solo, rotto e sfasciato anche lui sotto l’emozione e sotto il peso della responsabilità che gli addossavano.
Quantunque vedesse di non far nulla di male a tirar la pratica in lungo, quantunque una dichiarazione di buona condotta la potesse sempre rilasciare a un giovane non ancora giudicato, tuttavia nella sua coscienza di onesto impiegato sentiva di servir male la sua padrona, questa volta. Il giovinotto avrebbe preso il volo... Oh le donne! vive e morte, son sempre le più forti...