Arabella/Parte prima/6
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VI.
Reti sottili
Aveva detto bene la Colomba: — Gli uomini fanno i cattivi affari e poi tocca alle donne d’aggiustarli. Che lo spirito d’interesse e l’abitudine di trovar in ogni cosa il lato solido, avesse spinto il signor Tognino ad accostarsi ai Botta delle Cascine sarebbe quasi un fargli torto a negarlo. In procinto d’ereditare il grosso fondo di San Donato, egli aveva trovato non inutile, nella sua perfetta ignoranza di cose agricole, d’appoggiarsi al signor Paolino, un uomo onesto a tutta prova; già suo avversario e ora suo debitore, alquanto avariato nel credito, ma un praticone di valore e da potervisi interamente fidare.
Si aggiunga che da un pezzo si parlava di dar moglie a Lorenzo. Il più caldo di questo proposito era lo zio Mauro, l’ex-impresario, che voleva ad ogni costo fargli sposare una sua protetta; ma il babbo non si fidava troppo di suo cognato impresario e della sorella cantante, che avevano sempre in giuoco qualche loro misterioso interesse: e poichè Lorenzo pareva proprio disposto a prender moglie, il vecchio sarebbe stato contento di trovarla lui la donna fatta apposta per il suo balordo.
Lorenzo, un giovane colosso, sano e rubicondo, dal volto roseo e liscio come quello d’un bamboccione, a ventisette anni non aveva ancora trovata una strada, che conducesse a divertirsi senza far debiti. Questi erano in parte conseguenza della sua leggerezza, e in parte conseguenza dell’avarizia paterna, che lesinava l’elemosina a un povero figliuolo: al punto che il buon zio Borrola aveva dovuto in varie riprese soccorrerlo del suo e aiutarlo a pagare i così detti debiti d’onore.
Ragazzo un po’ fatuo, ma non antipatico e non cattivo nel fondo, buon compagnone, largo di cuore e di mano, sotto l’apparenza dell’uomo forte e prepotente c’era in Lorenzo la bonaria spensieratezza del prodigo e l’incapacità morale di resistere alle tentazioni, tanto a quelle che vengono dal diavolo come a quelle che vengono dall’angelo custode. Una buona moglie poteva essere l’angelo custode, e poi chè papà Tognino sentiva di esercitare un forte dominio sul carattere fiacco del figliuolo, pigliò l’idea come si piglia una mosca in aria, chiuse il pugno e non la lasciò più scappare.
Fu nel corso di questi pensieri, che frequentando per gli affari dell’amministrazione i dintorni di Chiaravalle e di San Donato, il vecchio Maccagno incontrò in varie riprese la figurina simpatica e non comune di Arabella Pianelli, seppe chi era, indovinò nell’aria modesta e seria della ragazza una donnina di valore e come se lo colpisse una ispirazione poetica, esclamò nel suo cuore: — Perchè no? ci sarebbe anche un’altra convenienza. Ho nell’idea che una ragazza così aggiusterebbe la testa a quell’asino...
Fu la natura primitiva che la vinse sulle ragioni dell’interesse? Fu una seduzione misteriosa, a cui il vecchio spirito dell’affarista cedette alla vigilia del suo trionfo? Fu il desiderio che qualche cosa di bello e di gentile entrasse a popolare la casa vuota di un uomo vicino a ereditare quasi un mezzo milione? A non molto andare, in seguito all’eredità Ratta, che non poteva tardare un pezzo e di cui teneva già in mano i frutti e la caparra, egli veniva a coronare un grandioso edificio, lavoro di vent’anni di pazienza, e in questo edificio bisognava collocare qualche cosa.
Fu lo sgomento d’invecchiar solo, dopo aver lavorato senza uno scopo tutta la vita e colla prospettiva di mantenere e d’ingrassare i vizi d’un inutilaccio e l’avidità dei furbi che vi speculavano addosso? Da qualche tempo, sebbene a sessantatre anni un uomo della sua tempra non potesse dirsi vecchio, tuttavia non si sentiva più giovane e l’idea d’aver una casa e una compagnia s’impossessò dell’animo suo con tanta impazienza, che da quel momento non ebbe più requie.
Trovato il signor Botta sul mercato di Melegnano provò a buttar fuori una prima parola; poi scrisse; poi tirò in disparte Lorenzo e cercò di farlo ragionare sul serio una mezz’ora; poi interessò il curato e non ebbe più pace finchè non condusse Lorenzo alle Cascine a vedere e a innamorarsi. Gli fece tutte le prediche che si fanno in questa circostanza, dimostrandogli che non basta essere al mondo, ma che bisogna starci con giudizio, che tutti devono lavorare in proporzione del pane che mangiano; che il tempo passa anche per i giovani, e molto più per i vecchi: sicchè egli poteva morire domani col dolore di lasciar la sua roba in mano ai cani. Promise di pagargli i debiti, purchè fossero gli ultimi e di trovargli un’occupazione in Borsa, tanto che potesse imparare anche lui a distinguere il diritto dal rovescio d’una carta da bollo e d’una obbligazione.
Lorenzo, un po’ per necessità, un po’ per la sua debolezza di carattere, che non sapeva resistere alla mano di ferro dell’adirato padre, un po’ per un confuso sentimento che il vecchio avesse ragione, o anche per un desiderio di finirla con una vita noiosa, messo tra i debiti e la moglie, si lasciò trascinare a conoscere questa fittavolina, che il babbo aveva scoperto tra i salici e gl’incastri delle Cascine Boazze.
S’immaginava di vedere una delle solite ragazzone dalle ganasce tonde, dalle spalle larghe, dalle mani grassoccie e cortine, e si confuse nel trovarsi davanti a una figurina inglese, d’un biondo fino e delicato, con due occhi intelligenti, una specie di contessina troppo di soggezione per lui. Ma il babbo non gli lasciò tempo di riflettere e nemmeno quello di dubitare. Superbo di averla scoperta lui questa figurina inglese, appuntandogli un dito sullo stomaco, gli disse: — Tu, tu non sarai così asino ora da lasciarmela scappare. Bisogna meritarsela, zuccone, far giudizio, essere un uomo, non una giraffa, pensare che io non ho più vent’anni e che posso morire domattina.
L’idea di questo matrimonio, una volta saltatagli in corpo, dominò il nostro affarista, non gli lasciò più tregua, come quando sentivasi invasato dallo spirito della speculazione. Dove e quale fosse il guadagno, non sapeva discernere bene nella confusione delle prime impressioni, perchè, con tutte le arie signorili della sua bella figurina inglese, la figliuola di Cesarino Pianelli non aveva di suo un quattrino di dote; ma con tutto ciò, vicino a tirar i remi in barca, sentiva che nel suo riposo sarebbe stato per lui un guadagno immenso, incalcolabile, d’aver un filo d’amore e di benevolenza nella vita. La pratica degli uomini (dalla quale non erano escluse le donne) gli fece sentire che Arabella sarebbe stata capace di creargli d’attorno un’aria sana e un ambiente simpatico... E quando non fossero che illusioni, era difficile che il vecchio ostinato rinunciasse a una sua idea prima di vederne il fondo.
Questo spiega in qual modo la sua lettera cadesse sulle Cascine e nel cuore di quella buona gente come un fulmine a ciel sereno; in qual modo facesse strabiliare non solamente Arabella, ma coloro stessi che ricevevano quel fulmine sul collo come una benedizione del cielo. Si spiega come alla lettera seguissero le visite, alle visite i discorsi, e coi discorsi una smania quasi irragionevole di conchiudere e di far presto.
Arabella si trovò presa in mezzo a una sottilissima rete di fili di seta tra i quali erano intrecciati degli invisibili fili di ferro. Prese tempo qualche giorno prima di rispondere, e quantunque il suo padrino non osasse chiederle un sacrificio, essa vedeva benissimo che il povero uomo viveva attaccato a questa sola speranza. La mamma non dubitava nemmeno che ella non avesse a dir di sì. Sarebbe stata non solo una ingrata ostinata, ma una sciocca. Il giovine era bello, allegro, e col tempo avrebbe ereditato qualche cosa come un mezzo milione. Era il Signore che voleva compensarla della morte del povero Bertino: la vita è una bastonata e una carezza, una carezza e una bastonata.
Arabella, dubitando di fare un sogno strano, sperava sempre di risvegliarsi a Cremenno. Stentava a persuadersi che Dio volesse chiedere tanto da lei, servirsi di lei per operare tanti prodigi, strapparla di punto in bianco al suo nulla per buttarla anima e corpo in mezzo agli uomini e alle cose: le mancava il cuore, le tremavano i ginocchi...
Il signor Tognino non poteva mostrarsi verso di lei più cavaliere, più remissivo. Lontano dal far sentire la superiorità del suo beneficio, era in lui continuo lo sforzo per rimovere le ultime paure e le ultime diffidenze della fanciulla.
— Sappiamo che lei rinuncia alla sua vocazione — le diceva — cioè alla mano dello sposo celeste per sposare questo bel mobile; ma il Signore non è geloso. E noi siamo tutti interessati a farla star bene, come se andasse in paradiso.
E qualche volta, tirandola in disparte, mentre le carezzava la mano, le sussurrava con tono paterno:
— Lei deve fare la mammina a questo figliuolo e vedrà che a poco a poco me lo ridurrà come un agnello. Lorenzo non è mica cattivo; se ha un difetto, è di essere troppo di pasta dolce; si lascia menar via dalle occasioni. Non ha quasi mai avuto una mamma, si può dire, ed è cresciuto un po’ come le piante; ma lei deve ragionare anche la sua parte. Non per nulla sono venuto alle Cascine a cercare una nuora a dispetto di chi mi offre le duecento e le trecento mila lire. Che importa a me il denaro? quel che voglio è una donnina savia, giudiziosa, con del criterio, che metta casa anche a me, che son vecchio, e mi dia presto dei nipotini.
In questi discorsi il vecchio affarista stava a sentire la sua voce meno irritata del solito, e preso da una strana commozione, si lasciava spesso intenerire e trascinare a confidenze e ad arguzie, che scoprivano il fondo d’una giovinezza sprofondata da un pezzo, ma non scomparsa, sotto il mucchio degli anni e delle vicende. I preti non gli avevano ancora giocato dei tiri birboni: e senza accorgersi, era vittima anche lui di quel fascino, che piglia l’animo stracco dell’uomo al volgere dell’ultima giornata, quando sazio e seccato delle cose che si conoscono, il pensiero, per un ritorno dello spirito, ricomincia da capo a carezzare delle illusioni.
Arabella esitò ancora un poco a dir di sì, quantunque vedesse che i giorni non passavano inutilmente anche sul suo silenzio. In un momento di calda ispirazione e quasi di visione celeste essa aveva fatto voto della sua vita a pacificazione dell’anima inquieta del suo povero babbo, che in tutti i passi della sua giovinezza aveva sentito come presente e che dal suo sacrificio perpetuo doveva ritrarre un infinito beneficio di pace e di espiazione. — Ma i vivi hanno più bisogno dei morti — le diceva il vecchio curato, dissipando i suoi scrupoli — e tu non devi credere, figliuola, che Dio non sappia tener conto delle intenzioni e delle necessità. Bada che sotto il nome di vocazione non si nasconda un falso desiderio di riposo e di tranquillità, perchè alle volte il nostro egoismo si veste anche da frate e da monaca. Questo matrimonio è una benedizione per la tua famiglia e le benedizioni, da qualunque parte vengano, fanno sempre bene, ai vivi e ai morti. Me ne parlava anche ieri il povero sor Paolino, che vede venir innanzi con spavento San Martino, e che senza questa combinazione non saprebbe più dove dare del capo. Pensa alla tua povera mamma, carica di figliuoli; pensa a’ tuoi fratelli che restano di peso a un uomo che non ha l’obbligo di mantenerli. È subito detto: mi faccio monaca... Ma quando tu andrai a pranzo a suon di campanello, non potrai, la mia figliuola, pensare senza rimorso a questi tuoi parenti che non avranno forse da mangiare. Credi alla mia esperienza: quando una casa comincia a barcollare o la si rifà o ci si resta sotto... E puoi credere di placare una povera anima tribolata, che è sotto la misericordia di Dio, col procurare il danno e la disperazione di molte anime, verso le quali tu hai dei doveri maggiori? Tu dici di non conoscere questa nuova gente che ti cerca. In primo luogo, è gente conosciuta dai tuoi e devi anche fidarti di chi ti vuol bene; poi, conosco anch’io il sor Tognino da un pezzo, e ho qualche prova in mano che è un uomo non solo d’ingegno, ma di buoni propositi. Ti citerò un caso. Per molti anni aiutò a pagare la pensione d’un povero figliuolo, che studiava in Seminario, per puro spirito di carità, e lo fece segretamente per mezzo mio, che ne parlo a te per la prima volta. Sicuro che gli uomini sono uomini e bisogna pigliarli coi loro difetti: ma Dio ha creato apposta le donne per tirarli al bene. Procurino le donne di andare esse in paradiso e gli uomini andranno dietro. Del resto, che cosa di più santo, di più bello, di più spirituale che il mettere il fondamento a una buona famiglia di cristiani? che il fondare, per dir così, il suo proprio convento nella regola delle affezioni domestiche? che il veder crescere dei figliuoli nel santo timor di Dio? che il dar insomma delle anime a Dio?
Qualche altra volta, tornando dalla chiesa in compagnia delle donne delle Cascine, era costretta a ricevere le congratulazioni di quella buona gente come se fosse già la sposina. A nessuna veniva in mente che essa potesse avere dei dubbi o delle ripugnanze.
— Questo era ben meglio che il farsi monaca, che il rinchiudersi in quattro muri a dir dei rosari. Questo era un dar la vita ai morti e nello stesso tempo un andare in paradiso in carrozza. E che bel giovane! e che partito! si calcolava che solamente San Donato valesse duecento mila lire e che il fittabile pagasse l’affitto col solo reddito del latte. E San Donato era a due passi dalle Cascine, sicchè poteva dire di maritarsi in casa, quasi sui ginocchi della mamma...
Queste cose le donne gliele dicevano cogli occhi lagrimosi, e Arabella le confermava tacendo, piangendo anch’essa, curvandosi sempre più al suo destino di ragazza fortunata.
Anche i muri delle Cascine pareva che si riavessero di sotto al peso delle ipoteche. I vecchi massai, che conoscevano lo stato segreto delle cose, e che si vedevano sull’orlo di perdere da un giorno all’altro il padrone e di sfrattare il paese, mostravano cogli occhi la loro contentezza, dicendo a onor del sor Paolino, che chi fa bene trova bene.