Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/97

Anno 97

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Anno di Cristo XCVII. Indizione X.
Evaristo papa 2.
Nerva imperadore 2.


Consoli


Marco Cocceja Nerva Augusto per la terza volta e Lucio Virginio Rufo per la terza.


Vari altri consoli l’un dietro l’altro si credono dall’Almeloven sostituiti in quest’anno, fra gli altri certo è che Cornelio Tacito istorico, siccome osservò anche Giusto Lipsio, succedette a Virginio, o sia Verginio Rufo. Tal notizia abbiamo da Plinio il giovane1. Era Virginio Rufo quel medesimo che nell’anno [p. 373 modifica]68 ricusò più di una volta l’imperio, datogli in Germania dai soldati. Gloriosamente avea egli menata fin qui la sua vita, senza incorrere in alcuna disgrazia, rispettandolo ognuno, e fin quella bestia di Domiziano, e serbando quell’animo grande, ch’era stato superiore agl’imperi. Nerva anch’egli volle far conoscere a lui ed al pubblico, quanta stima ne facesse con crearlo suo collega nel consolato. Abbiam di certo da Plinio suddetto, che questo fu il Terzo consolato di esso Virginio: al che non fece riflessione il padre Stampa2, quantunque il cardinal Noris3 ed altri lo avessero avvertito, e si raccolga eziandio da Frontino e dai Fasti d’Idazio. Fu egli sotto Nerone nell’anno 63 per la prima volta console ordinario. Credesi che nell’anno 69 gli toccasse il secondo consolato, ma straordinario, sotto Ottone Augusto. Intorno al prenome di Rufo s’è disputato. Chi Tito, chi Pubblio l’ha voluto. È più probabile Lucio. Ora per la terza volta creato console nell’anno presente, siccome c’insegna Plinio il giovane, mentre sul principio dell’anno si preparava a recitare in senato il rendimento di grazie a Nerva per la dignità a lui conferita, essendo in età di ottantatrè anni, colle mani tremanti, e stando in piedi, gli cadde il libro di mano; e nel volerlo raccogliere gli sdrucciolò il piede pel pavimento liscio e lubrico, in maniera che si ruppe una coscia. Non essendosi questa ben ricomposta o riunita, dopo qualche tempo se ne morì, e gli furono fatti solenni funerali, mentre era console Cornelio Tacito, eloquentissimo oratore e storico, il qual fece l’orazione funebre in sua lode. Scrive il medesimo Plinio, che questo Virginio Rufo era nato in una città confinante alla sua patria Como.

Dacchè l’Augusto Nerva si vide sufficientemente assodato sul trono, fece tosto sentire il suo benefico genio a Roma[p. 374] e a tutto il romano imperio4. Richiamò dall’esilio una copia grande di nobili, che aveano patito naufragio sotto il precedente tirannico governo, ed abolì tutti i processi di lesa maestà. E perciocchè questi erano proceduti da mere calunnie, perseguitò i calunniatori, e fece morir quanti servi e liberti si trovarono aver intentate accuse contra dei loro padroni, proibendo con rigoroso editto a tal sorta di persone l’accusare da lì innanzi i padroni. Vietò parimente l’accusar chicchessia d’empietà, e di seguitare i riti giudaici: il che vuol dire ch’egli estinse la persecuzione mossa de’ Cristiani, che dai Pagani venivano tuttavia confusi coi Giudei. Perciocchè per conto de’ Giudei era loro permesso l’osservar la lor legge. Quanti preziosi mobili si trovarono nell’imperial palazzo, ingiustamente tolti da Domiziano, furono da lui con tutta prontezza restituiti. Non volle permettere che si facessero statue d’oro e d’argento (se pur non erano dorate o inargentate) in onor suo, abuso dianzi assai gradito da Domiziano. A que’ cittadini romani che si trovavano in gran povertà, assegnò terreni, ch’egli fece comperare, di valore di un milione e mezzo di dramme, con deputare alcuni senatori che ne facessero la divisione. Perchè trovò smunto affatto l’erario, vendè, a riserva delle cose necessarie, tutti i vasi d’oro o d’argento ed altri mobili, tanto suoi particolari, che della corte, e parecchi poderi e case, con usar anche liberalità ai compratori. E ciò non per covare in cassa il danaro, ma per dispensarlo al popolo romano, apparendo dalle medaglie5 che egli distribuì due volte nel breve corso del suo governo danari e grano. Giurò che d’ordine suo non si farebbe mai morire alcuno de’ senatori; e quantunque un di essi fosse convinto di aver congiurato contra di lui, pure altro mal non gli fece che di cacciarlo in esilio. Fu da lui confermata [p. 375 modifica]la legge che non si potessero far eunuchi; e proibito il prendere in moglie le nipoti. Attese ancora al risparmio, dopo aver conosciuto il gran male provenuto dallo scialacquamento esorbitante di Domiziano. Levò dunque via molti sagrifizii, molti giuochi ed altri non pochi spettacoli, che costavano somme immense6. Soppresse tutto ciò ch’era stato aggiunto agli antichi tributi a titolo di pena contro quei ch’erano morosi al pagamento; siccome ancora le vessazioni ed angarie introdotte contro ai Giudei, nell’esigere le lor imposte. Le città oppresse da troppe gravezze ebbero sollievo da lui; ed ordinò che per tutte le città d’Italia si alimentassero alle spese del pubblico gli orfani dell’uno e dell’altro sesso, nati da poveri genitori, ma liberti: carità continuata anche dai susseguenti buoni imperadori, anzi accresciuta, come apparisce dalle antiche iscrizioni. Ristrinse ancora l’imposta della vigesima per le eredità e per gli legati, introdotta da Augusto. Fra le lettere di Plinio il giovane7 si trova un editto di questo imperadore, che assai esprime quanta fosse la di lui bontà, con dir egli che ciascuno de’ suoi concittadini poteva assicurarsi, aver egli preferita la sicurezza di tutti alla propria quiete, e non aver altro in animo che di far di buon cuore de’ nuovi benefizii, e di conservare i già fatti da altri. E però per levar dal cuore d’ognuno la paura di perdere quel che aveano conseguito sotto altri Augusti, o doverne cercar la conferma con delle preghiere d’oro, dichiarava che senza bisogno di nuovi ricorsi, chiunque godeva avesse da godere; perchè egli volea solamente attendere a dispensar grazie e benefizii nuovi a chi non avea finora goduto.

E pure con un principe sì buono, il cui dolce e salutevol governo tanto più dovea prezzarsi, quanto più si paragonava[p. 376] col barbarico precedente, non mancarono nobili romani che tramarono una congiura8. Capo di essi fu Calpurnio senatore dell’illustre famiglia de’ Crassi: degli altri non si sa il nome. Con esorbitanti promesse di danaro sollecitava egli alla rivolta i soldati. Scoperta la mina, Nerva il fece sedere presso di sè assistendo ai giuochi de’ gladiatori, e nella stessa guisa che vedemmo operato da Tito, allorchè gli furono presentate le spade di quei combattenti, le diede in mano a Crasso, acciocchè osservasse, se erano ben affilate, mostrando in ciò di non paventar la morte. Fu processato e convinto Crasso: tuttavia Nerva per mantener la sua parola di non uccidere senatori, altro gastigo non gli diede che di relegar lui e la moglie a Taranto. Fu biasimata dal senato sì grande indulgenza in caso di tanta importanza, e in altri ancora, perchè egli non sapea far male ai grandi, benchè sel meritassero9. Trovavasi un dì alla sua tavola Vejento o sia Vejentone, già console, uomo scellerato, che sotto Domiziano era stato la rovina di molti. Cadde il ragionamento sopra Catullo Messalino, che nell’antecedente governo tutti avea assassinati colle sue accuse e colla sua crudeltà, ed era già morto. Se costui, disse allora Nerva, fosse tuttavia vivo, che sarebbe di lui? Giunio Maurico, uomo di gran petto, di egual sincerità, e uno dei commensali immantinente rispose: Con esso noi sarebbe a questa tavola. Ma quello che maggiormente sconcertò Nerva, fu l’attentato d’Eliano Casperio, creato non so se da lui, o pur da Domiziano, prefetto del pretorio, cioè capitan delle guardie. O sia che costui movesse i soldati, o che fosse incitato da loro, certo è, che un dì formata una sollevazione andarono tutti al palazzo10, chiedendo con alte grida il capo di coloro che aveano ucciso Domiziano. A tal dimanda si trovò in una [p. 377 modifica]somma costernazione Nerva; contuttociò parendogli che non fosse mai da comportare il dar loro in mano chi avea liberata la patria da un tiranno, ed era stato cagione del proprio suo innalzamento, coraggiosamente negò loro tal soddisfazione, dicendo che se si voleano sfogare, piuttosto colla sua testa cadesse il loro sdegno. Ma costoro senza fermarsi per questo, e con disprezzo all’autorità imperiale, corsero a prendere Petronio Secondo, già prefetto del pretorio, e lo svenarono. Altrettanto fecero a Partenio già maestro di camera di Domiziano, trattandolo anche più ignominiosamente dell’altro. E Casperio, divenuto più insolente, obbligò Nerva di lodar quest’azione al popolo raunato, e di protestarsi obbligato ai soldati, perchè avessero tolta la vita ai maggiori ribaldi che si avesse la terra.

Una sì atroce insolenza de’ pretoriani servì a far meglio conoscere a Nerva, ch’egli, stante la sua vecchiaia e poca sanità, non potea sperare l’ubbidienza ed il rispetto dovuto al suo grado, e piuttosto dovea temerne degli altri oltraggi. Il perchè da uomo saggio pensò di fortificar la sua autorità, con associare all’imperio una persona che fosse non men forte d’animo, che vigorosa di corpo. E siccome egli non avea la mira se non al pubblico bene, desiderava di scegliere il migliore di tutti11, così dopo maturo esame, e consigliato anche da Lucio Licino Sura, senza punto badare ai molti parenti, che avea (giacchè non si sa ch’egli avesse mai moglie) fermò i suoi pensieri sopra Marco Ulpio Trajano, generale allora dell’armi romane nella Germania. Era questi di nazione spagnuolo, perchè nato in Italica città della Spagna, come si raccoglie da Dione12 e da Eutropio13, benchè Aurelio Vittore14 il dica venuto alla luce in Todi; nè alcuno finora avea ottenuto l’imperio,[p. 378] che non fosse nato in Roma o nel vicinato: contuttociò Nerva fu di sentimento, che per iscegliere chi dovea governare un sì vasto imperio, si avea da considerare più che la nazione, l’abilità e la virtù. Pertanto in occasion di una vittoria riportata nella Pannonia, fatto raunare il popolo nel Campidoglio nel dì 18 settembre, come alcuni vogliono15, o piuttosto nel dì 27 o 28 di ottobre, come pretendono altri, ad alta voce dichiarò ch’egli adottava per suo figliuolo Marco Ulpio Nerva Trajano, a cui il senato diede nel giorno stesso il titolo di Cesare e di Germanico, e scrisse di suo proprio pugno, avvisandolo di tale elezione16. Fors’anche, secondo alcuni, non era pervenuta questa nuova a Trajano. soggiornante allora in Colonia, che Nerva il proclamò Imperadore17, conferendogli la tribunizia podestà, ma non già il titolo d’Augusto; cioè il creò suo collega nell’imperio. Può essere che ciò avvenisse alquanto più tardi. Almen certo è che il designò console per l’anno seguente. Il merito assai conosciuto di Trajano, che era stato console nell’anno 94, ed avea avuto il padre, stato anch’esso console (non si sa in qual anno) fece che ognuno ricevesse con plauso una sì bella elezione, e cessasse ogni sollevazione e tumulto in Roma. Si trovava allora Trajano nel maggior vigore della virilità, perchè in età di circa quarantaquattro anni.

  1. Plinius, lib. 2, ep. I.
  2. Stampa ad Fastos Consul. Sig.
  3. Noris Epistol. Consul.
  4. Dio., lib. 68.
  5. Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
  6. Aurel. Vict., in Epit.
  7. Plinius lib. 10, Epist. 66.
  8. Dio., lib. 68. Aurelius Victor, in Epitome.
  9. Plinius, lib. 4, Ep. 22. Aur. Vict., in Epit.
  10. Plinius in Panegyr.
  11. Aurelius Victor, in Epitome.
  12. Dio., lib. 68.
  13. Eutr. in Brev.
  14. Aurel. Vict., in Epitome.
  15. Panvin., Petav., Pagius, Dodwellus, Fabrett., Tillem.
  16. Plinius in Panegyrico.
  17. Euseb. in Chron.