Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/323
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Anno di | Cristo CCCXXIII. Indizione XI. SILVESTRO papa 10. COSTANTINO imperadore 17. LICINIO imperadore 17. |
ACILIO SEVERO e VETTIO RUFINO.
Un’iscrizione dal Doni e da me3185 data alla luce, fu posta a Caio Vettio Cossinio Rufino, prefetto di Roma e proconsole dell’Acaia, che sembra veramente spettante al secondo console di quest’anno, avendo in fatti Vettio Rufino esercitata la prefettura urbana nell’anno 315, e non trovandosene altro di questo nome ornato di quella dignità. Per più anni avea Valerio Massimo tenuta la medesima carica; ma nel presente a lui fu sostituito in essa Lucerio ossia Lucrio Verino nel dì 13 di settembre, come si ha ancora dall’antico Catalogo del Cuspiniano3186. Una legge di Costantino Augusto, data nel gennaio o febbraio di quest’anno, cel fa vedere in Tessalonica ossia Salonichi, città della Macedonia. Il motivo, per cui egli si fosse portato colà, l’abbiamo da Zosimo3187, cioè per fabbricar quivi un porto, essendone dianzi priva quella città. Abbiamo poi una sua legge3188 data in Sirmio nel dì 25 di maggio. Gli fu riferita una vessazione recata dai Pagani ai Cristiani, con volere che ancor questi intervenissero ai sagrifizii delle loro lustrazioni: azione incompatibile colla purità della religione di Cristo. Perciò ordinò esso Augusto, che chiunque del basso popolo facesse loro violenza in materia di religione, fosse sonoramente bastonato, e gli altri di condizione più alta fossero condannati a pene pecuniarie. Fu poi questo un anno memorando per le imprese bellicose dell’imperadore suddetto. Avvenne che i Goti3189 nell’anno presente (se pur non fu nel precedente) avendo osservata poca guardia nella Tracia e nella Mesia Inferiore, provincia spettanti a Licinio Augusto, fecero colà una grande incursione, saccheggiando e menando in ischiavitù una gran moltitudine di gente. Fossero costoro passati anche nelle terre dipendenti da Costantino, o pur temendo egli che vi passassero, nè veggendo egli provvisione al bisogno dalla parte di Licinio, mosse l’armi sue contra di que’ Barbari da Tessalonica; e con tal empito giunse loro addosso, ch’ebbero per grazia il poter impetrar da lui la pace colla restituzion dei prigioni. Due leggi3190 da lui date sul fine di aprile, dove parla delle scorrerie de’ Barbari e de’ saccheggi familiari a quelle nazioni, con imporre fra le altre cose gravissime pene a chiunque tenesse mano alle loro violenze e bottini, han fatto credere che ne’ primi mesi dell’anno corrente succedesse questa barbarica irruzione. Ma perciocchè Costantino o andasse ad assalir costoro nelle giurisdizion di Licinio, o pur vi entrasse per necessità d’inseguirli, Licinio, in vece di ringraziarlo pel benefizio fatto a’ sudditi suoi, con liberarli dall’oppression dei Goti, ne fece un’amara querela, come se Costantino avesse violati i patii, ed esercitata una prepotenza nel paese non suo. Fece quanto potè Costantino per giustificar l’azione sua, e mostrar indiscreti que’ lamenti. A nulla giovarono le lettere e deputazioni. Licinio non ammettendo scuse, più che mai parlava alto col cognato Augusto, di maniera che Costantino, perduta la pazienza, alzò anch’egli la testa, e non facendo frutto le minaccie, venne in fine a guerra aperta con esso Licinio. Era già assai tempo che si conoscevano raffreddati gli animi di questi due Augusti e cognati. Licinio, se crediamo all’apostata Giuliano3191, era odiato da Dio e dagli uomini per l’abbondanza ed enormità de’ suoi vizii. Imperocchè, per attestato d’Eusebio3192 e di Aurelio Vittore3193, la brutalità sua nella libidine si tirava dietro la detestazione d’ognuno, perchè non era sicura l’onestà di persona alcuna o vergine o maritata, dalle di lui violenze; nè bastando a lui di svergognar dal suo canto le famiglie più nobili, permetteva anche ai suoi cortigiani di saziar, come volevano, le lor voglie impure senza rispetto alcuno alle case più riguardevoli. Di tutto ciò è da credere che fosse ben mal contento l’Augusto Costantino, da che a lui avea conceduta Costanza sua sorella in moglie. Superiore nulladimeno alla di lui sfrenata libidine era l’avarizia, febbre sua oltre modo cocente. Da questa provenne un’infinità di mali, perchè per adunar danari s’inventavano ogni dì nuovi pretesti; e gran disavventura si riputava allora l’essere facoltoso, perchè non mancavano mai accusatori e delitti da gastigare, cioè da spogliare gl’innocenti de’ loro beni. Non mancavano già aggravii reali e personali ai popoli; ma Licinio sapea far3194 ben crescere questa gravosa mercatanzia, coll’inventar nuovi estimi, e far trovare più campi dove non erano, e far risuscitare chi da gran tempo più non si contava tra i vivi. Seppe anche trovar la sua avarizia delle insolite gravezze per cavar dai testamenti e dai maritaggi grosse somme di danaro. E pure con tutto il suo succiar continuamente il sangue de’ suoi popoli, ed ammassar tesori, il bello era che tutto dì egli si lagnava di essere poverissimo e miserabile, come in fatti son tutti gli avari, i quali non godono quel che hanno, e muoiono sol di voglia di quel che non hanno. Osservavasi oltre a ciò in lui un’esecrabile crudeltà, col non volere che alcuno assistesse ai prigioni, sotto pena d’essere cacciato nelle medesime carceri, e proibendo l’aver compassione d’essi, e il somministrar da mangiare a chi si moriva di fame, facendo con ciò diventare un delitto le opere della misericordia. Se un principe tale fosse amato da’ sudditi suoi, non occorre ch’io lo ricordi ai lettori. Tutto il rovescio era l’Augusto Costantino, di modo che Eusebio3195, scrittore che fioriva in questi tempi, ebbe a dire che l’imperio romano, diviso allora fra questi due principi, parea simile al dì e alla notte. La parte di Costantino, cioè l’Occidente, compariva un bel giorno sereno; ma l’Oriente, dominato da Licinio, si poteva affatto assomigliare alla notte.
Ma ciò che maggiormente a Costantino riuscì dispiacevole, e da non sofferire nell’indegno suo cognato Licinio, fu la persecuzione da lui mossa contra dei Cristiani, il numero de’ quali nelle provincie dell’Asia e dell’Egitto di gran lunga a proporzione superava quei dell’Occidente. Già dicemmo ch’egli cacciò di sua corte chiunque professava la religione cristiana. Ordinò poscia che i vescovi non potessero celebrar concilio alcuno; che il popolo cristiano non potesse raccogliersi nelle chiese per fare le sue divozioni, ma che loro fosse lecito solamente a cielo aperto: perchè si figurava che le loro orazioni avessero per iscopo la salute e felicità di Costantino, e non già la sua, e che tramassero sempre delle congiure contra di lui. Fece inoltre cassare chiunque de’ soldati non sagrificava agl’idoli; cacciò in esilio i nobili professanti la legge di Cristo; e passò in fine a minacciar la morte a chiunque abbracciasse questa santa religione3196. Ma perciocchè la paura che egli aveva di Costantino il riteneva dal muovere una pubblica persecuzione contra de’ Cristiani, prese a farla il più cautamente o segretamente che poteva, con insidie e calunnie, le quali costarono la vita a molti innocenti vescovi, e l’atterramento di non poche chiese in Amasia ed in altre città, senza volersi riflettere all’infausto fine di tanti suoi predecessori, persecutori della Chiesa di Dio. Tutto questo non poteva se non dispiacere al piissimo Costantino, perchè contrario agli editti concordemente pubblicati in favor della religione cristiana, ed insieme ai patti della pace stipulata dopo la battaglia di Cibala; e tanto più che ciò parea fatto per far dispetto ad esso Augusto, professore e protettore di questa religione. Perciò a questi dissapori aggiunto l’altro che di sopra accennai della guerra coi Goti, si venne all’armi, ed ognun degli Augusti gran preparamento fece per terra e per mare. Zosimo3197 minutamente descrive la flotta allestita da Licinio consistente in trecentocinquanta galee raccolte dall’Egitto, Fenicia, Cipro, Bitinia ed altri luoghi, e in quasi centocinquanta mila fanti, e quindici mila cavalli cavati dalla Frigia e Cappadocia. Costantino, all’incontro, unì dugento grossi legni, due mila altri da carico, cento venti mila pedoni, con circa dieci mila cavalli. Che nel di lui esercito si contassero moltissimi Goti ausiliarii, lo abbiamo da Giordano3198. Venne Licinio a postarsi ad Adrinopoli con tutte le sue forze. Costantino anch’egli marciò da Tessalonica a quella volta colle sue, menando seco non già de’ maghi, indovini ed altri ciurmatori, come facea Licinio, ma dei santi vescovi e ministri della Chiesa, perchè delle orazioni loro più che mai avea allora bisogno, e in queste più che nelle armi metteva la sua fidanza. Per lo contrario strideva Licinio a tutto pasto della divozione di Costantino e de’ suoi cherici; e perchè a lui i suoi falsi aruspici e sacerdoti promettevano senza fallo vittorie, tutto altero e coraggioso si dispose alla pugna. Ma prima fece di molti sagrifizii in un sacro bosco ai suoi idoli, e tenne un ragionamento ai suoi cortigiani, proponendo che si vedrebbe ora chi avesse più forza, o tanti antichi suoi dii, o pure il nuovo e vergognoso Dio di Costantino. Stettero qualche dì le due armate a vista, ma separate dal fiume Ebro nella Tracia. Costantino, impaziente di venir alle mani, finse di voler gittare un ponte ad un passo stretto con preparar gran copia di materiali3199; ma un dì condotta seco parte dell’esercito suo, passando per mezzo ad una folta selva, andò a trovar un guado dianzi adocchiato in quel fiume. Passò egli arditamente con soli dodici cavalieri, ed immantenente si scagliò contro i primi delle guardie nemiche ivi esistenti, che sbalordite per l’impensato assalto, parte restarono trucidate, parte diedero alle gambe. Ebbe con ciò comodo la di lui armata di passar tutta di là dal fiume; e in quello stesso giorno, come sembra indicare lo storico Zosimo, o pure in altro dì, egli è fuor di dubbio che si venne dipoi ad una giornata campale. Secondo il calendario del Bucherio3200, nel dì 3 di luglio accadde quel memorabil e sanguinoso conflitto, in cui il segnale dato ai soldati dalla parte di Costantino fu Dio Salvator nostro3201, e coll’ aiuto d’esso il pio Augusto riportò in fine una segnalata vittoria. Ci assicura Eusebio d’aver inteso dalla bocca del medesimo imperadore, che cinquanta delle sue guardie, tutti cristiani, furono scelti per portare l’insegna della Croce santa per mezzo l’esercito suo, e che dovunque compariva questa sacra bandiera, restavano sbaragliati i nemici. Trentaquattro mila persone rimasero estinte sul campo, la maggior parte di quei di Licinio, e molti con arrendersi salvarono le vite. Lo stesso Costantino che si cacciò anche egli nella mischia, ne riportò una lieve ferita. Verso la sera furono presi gli alloggiamenti nemici, e nel dì seguente essendosi trovati più branchi di soldati fuggiti di Licinio qua e là sparsi, parte volontariamente venne all’ubbidienza di Costantino, e parte ostinata fu messa a filo di spada. Raccomandatosi alle gambe d’un poderoso destriero fuggì Licinio a Bisanzio: e quivi si afforzò per sostenere un assedio3202, confidato spezialmente nella flotta sua, comandata da Abanto, ossia da Amando, uffiziale di molta sperienza e valore. Ma lento non fu il vittorioso Costantino ad inseguire co’ suoi il fuggitivo nemico, e ad imprendere l’assedio di Bisanzio. Conoscendo poi l’impossibilità di riuscir nell’impresa, finchè l’armata navale di Licinio mantenesse la comunicazion dell’Asia con quella città; ordinò a Crispo Cesare suo figliuolo di far vela colla sua flotta, per venire a nuova battaglia in mare. Trovaronsi a fronte le due armate navali nello stretto di Gallipoli; quella di Licinio era composta di dugento navi; e i capitani di Costantino ne scelsero solamente ottanta delle meglio corredate e più forti. Derideva Abanto, generale di Licinio, il poco numero dei legni nemici, e si credeva d’ingoiarli col tanto superiore de’ suoi; ma alle pruove si trovò ingannato. Con ordine procedevano quei di Costantino alla pugna; senza ordine gli altri; e la moltitudine di tante navi non servì loro se non d’imbroglio, perchè urtandosi nel sito stretto l’una con l’altra, cagion fu che molte d’esse coi soldati e marinari perissero. La notte separò la zuffa. Fatto poi giorno, pensava Abanto di venire al secondo combattimento, quando levatosi un vento furioso spinse la di lui flotta con tal empito ne’ sassi e lidi dell’Asia, che perirono cento e trenta delle sue navi e circa cinque mila de’ suoi soldati, combattendo in questa maniera Dio contra di chi era nemico del suo nome3203. Se ne fuggì Abanto, e lasciò aperto il varco alla flotta di Costantino, se voleva inoltrarsi e passare anch’essa ad assediar Bisanzio per mare. Ma Licinio, ravvisato il pericolo, colle migliori sue milizie e coi tesori si ritirò, e andò a piantarsi in Calcedonia dell’Asia, con isperanza di rimettere in piedi una nuova armata, e di trovare in altri incontri più propizia la sorte. Aveva egli stando in Bisanzio, secondo l’Anonimo del Valesio, dichiarato Cesare3204 Martiniano sopraintendente a tutti gli uffiziali della sua corte, per valersi di questo campione a riparar le sue perdite. Zosimo3205 e l’altro Vittore3206 scrivono che tal determinazione fu da lui presa, dappoichè si fu ritirato a Calcedonia. Abbiamo medaglie3207, dove il troviamo appellato Marco Martiniano, e decorato, non solamente del titolo di Cesare, ma anche d’Augusto: il che discordando dagli antichi storici ci può far giustamente dubitar d’impostura in quelle medaglie; giacchè (convien pure ripeterlo) non sono mancati ne’ due ultimi secoli fabbricatori d’iscrizioni e medaglie, rivolti a far mercato della curiosità degli eruditi. Fu spedito Marciniano a Lampsaco per impedire il passaggio della flotta di Costantino; ma l’assennato e prode Augusto, in vece di valersi delle navi grosse da carico, si servì di alcune centinaia di barchette, ed empiutele di soldatesche, felicemente le fece passar lo Stretto, e andò a sbarcar nella Bitinia circa trenta miglia lungi da Calcedonia, dove soggiornava Licinio. Benchè Costantino desse tanto tempo al cognato da ravvedersi e da chiedere pace, egli non si era saputo fin qui umiliare; perchè tante volte ingannato dai suoi falsi dii e sacerdoti, pure cercava dei nuovi dii che gli recassero aiuto: laddove Costantino non di altro si fidava che della protezione del vero Dio, e a lui continuamente ricorreva con preghiere. Contuttociò si raccoglie da Eusebio3208 che qualche trattato e concordia seguì fra loro; ma non sincera dalla parte di Licinio, il quale cercò in questa maniera di addormentar Costantino, per unire intanto una poderosa armata. Non furono occulti i di lui disegni, e si venne a scoprire ch’egli da tutte le nazioni barbare cercava soccorsi, ed in fatti ottenne un grosso rinforzo dai Goti: il perchè Costantino determinò di schiacciar la testa, se poteva, a questo serpente, con venire ad una nuova battaglia, se pur non fu lo stesso Licinio il primo a volerla, siccome risulta da Eusebio. Abbiamo da Zosimo3209, che nell’armata di Licinio si contavano cento trenta mila combattenti, avendo egli richiamato Martiniano da Lampsaco colle milizie inviate colà. Con quanta gente procedesse a quel fatto d’armi Costantino, nol sappiamo. Si venne alle mani. Licinio facea portar fra le schiere le statue de’ suoi falsi dii per incoraggiare i suoi. Le insegne di Costantino colla croce quelle erano che promettevano sicura vittoria a lui: e così fu. S’affrontarono le armate a Crisopoli3210 in poca distanza da Calcedonia nel dì 18 di settembre; andò in rotta ben presto quella di Licinio; e tale strage ne fu fatta, che Zosimo3211 giunse ad aprir ben la bocca con dire, esservi periti cento mila de’ suoi. Ma più sicuro sarà l’attenersi all’Anonimo di Valesio, che mette solamente venticinque mila stesi morti sul campo. Questa insigne vittoria si tirò dietro la presa di Bisanzio, e poi di Calcedonia. Ritirossi Licinio con que’ pochi che potè raunare a Nicomedia; ma incalzato dall’armi vittoriose di Costantino, senza dimora assediato in quella città, altro scampo non ebbe che d’inviar supplichevole Costanza sua moglie al fratello Costantino. Andò essa, ed ottenne salva la vita al consorte. Venne poscia il medesimo Licinio nel campo a’ piedi di Costantino, in cui mano rimise la porpora imperiale; riconobbe lui per suo signore ed imperadore, ed umilmente dimandò perdono delle cose passate. Costantino il tenne seco a tavola, poscia il mandò come in luogo di rilegazione a Tessalonica, essendosi, per quanto scrive Zosimo, obbligato con giuramento alla sorella di conservargli la vita. Per conto di Martiniano Cesare, Aurelio Vittore3212 e Zosimo3213 scrivono che per ordine di Costantino dalle guardie fu immediatamente tagliato a pezzi. L’Anonimo Valesiano vuol che per allora gli fosse lasciata la vita, ma questa dopo qualche tempo tolta gli fu nella Cappadocia. Così il giovane Licinio, nipote di Costantino, perchè figliuolo di Costanza sua sorella, e di pochi anni di età, se crediamo a Teofane3214, restò spogliato della porpora e del titolo di Cesare; ma dopo tre anni, siccome vedremo, anch’egli fu ucciso. Alcune medaglie presso il Du-Cange3215 ed altri, cel rappresentano Cesare anche dipoi; ma della legittimità d’esse noi non siamo bastevolmente sicuri; e certo poco verisimile si scorge che a lui fosse lasciato un titolo di tanto decoro. Che a molti ancora de’ ministri ed uffiziali di Licinio, principali in addietro persecutori dei cristiani, fosse reciso il capo, non dimenticò di dirlo Eusebio3216. Per tali vittorie in pochissimo tempo tutte le provincie romane dell’Oriente coll’Egitto vennero all’ubbidienza di Costantino: con che l’antico romano imperio, dopo tante divisioni e vicende, si vide totalmente riunito sotto la signoria di un solo Augusto. E tutto ciò nell’anno presente 323, giacchè non pare sussistente l’opinione del Pagi3217, che vuol cominciata in questo e terminata nell’anno seguente la guerra suddetta. Che i popoli dell’Oriente, liberati dal pesante giogo di Licinio, si rallegrassero di tal mutazione, e che anche i pagani romani giubilassero al mirar saldate tante piaghe del loro imperio, si può facilmente immaginare. Ma non è già l’esprimere la allegrezza degl’innumerabili cristiani, sparsi per tutte le terre d’esso imperio, in vedere vittoriosa la Croce di tanti suoi nemici, e divenuto padrone di sì vasta monarchia un adoratore della medesima. Nè già tardò Costantino a liberar dalle carceri, a richiamar dall’esilio e dai metalli, e a rimettere in possesso dei lor beni, tanti d’essi cristiani che aveane provata la persecuzion di Licinio. Ed a coloro che, per esser seguaci di Cristo, era stato tolto il cingolo militare, fu permesso il rientrar, se volevano, nell’onore della milizia. Intorno a questi tempi venne a mettersi sotto la protezione dell’Augusto Costantino, Ormisda figlio primogenito di Ormisda II, re della Persia. Zosimo3218 è quello che ci ha conservati gli avvenimenti di questo principe. Perchè nel giorno natalizio del re suo padre i grandi non gli fecero quell’onore che era dovuto ad un principe ereditario, il giovane si lasciò scappar di bocca, che se arrivava alla corona, voleva far loro provare le sorte di Marsia. Non intesero quei magnati allora che volesse ciò dire; ma informati dipoi da un Persiano stato nella Frigia, significar ciò che sarebbono scorticati vivi, se la legarono al dito. Venuto dunque a morte il re suo padre, quando Ormisda si pensava di succedergli, scoppiò la congiura de’ grandi, che lui preso confinarono in un castello, con crear poscia re Sapore, suo fratello minore. Questi, se vogliam credere ad Agatia3219, non era per anche nato; ma perchè la regina si trovava incinta, e i magi predicevano che nascerebbe un maschio, i Persiani misero la tiara, ossia la corona sul ventre della madre, che in fatti partorì un fanciullo. Ma dopo qualche tempo l’industriosa moglie d’Ormisda trovò la maniera di liberarlo, inviandogli, per mezzo di un fidato eunuco, un grosso pesce, nel cui ventre stava nascosa una lima, e facendogli sapere di mangiarne, allorchè niun fosse presente, e di valersi del ventre di quel pesce. Nello stesso tempo inviò gran copia di vivande e di vini ai guardiani delle carceri, i quali abborracchiati ben bene, ne rimasero tutti ubbriachi. Allora il prigioniero Ormisda, aperto il pesce e trovata la lima, segò i ceppi, e per mezzo de’ balordi custodi uscì fuori, e si rifugiò nella Armenia. Quivi fu ben ricevuto da quel re suo amico, e con una scorta inviato a Costantino, che l’accolse con onore, e trattollo sempre da par suo colla moglie, a lui, secondo Zonara3220, rimandata dai Persiani. Ma Costantino niun altro impegno volle mai prendere in favore di lui. Attesta Ammiano3221 che in molta considerazione fu esso Ormisda anche sotto Costanzo Augusto per la sua saviezza. Allorchè esso Costanzo, nell’anno di Cristo 356, fu a Roma, in osservare la mirabil piazza di Traiano, e la suntuosa statua a cavallo del medesimo Augusto, disse ad Ormisda, di voler fare per sè una somigliante cavallo. Gli rispose Ormisda: Signore, fate prima una stalla uguale a questa, se potete, acciocchè vi stia bene il cavallo che pensate di fare. Interrogato ancora del suo sentimento intorno alle grandiosità e alle mirabili cose di Roma rispose: Solamente essergli piaciuto (vi ha chi crede che dicesse dispiaciuto) d’aver imparato che anche in Roma gli uomini morivano. Benchè ci sieno delle dispute fra gli eruditi3222 intorno al tempo, in cui Costanzo, secondo figliuolo di Costantino Augusto e di Fausta, fu creato Cesare dal padre: pure sembra opinione più ricevuta il credere che in quest’anno nel dì 3 di novembre fosse a lui conferita quella dignità3223. Era egli in età di sei o sette anni, perchè nato nell’agosto dell’anno 317.