Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/267
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Anno di | Cristo CCLXVII. Indizione XV. DIONISIO papa 9. GALLIENO imperadore 15. |
PATERNO e ARCESILAO.
Fin qui il valoroso Odenato da Palmira, dichiarato Augusto in Oriente, mostrava bensì unione con Gallieno imperadore, ma verisimilmente si facea conoscere per solo padrone delle provincie romane dell’Asia. Seguitava egli a far vigorosamente guerra ai Persiani, quando fu ucciso. Si disputa tuttavia intorno al tempo, al luogo e all’uccisore. Chi crede succeduta la di lui morte nell’anno precedente, chi nel presente. Certo è che circa questi tempi i Goti, o sieno gli Sciti, fecero un’irruzione nell’Asia2414, e giunsero fino ad Eraclea, saccheggiando tutto il paese. Secondo Sincello2415, Odenato prese la risoluzione di portar l’armi contra di costoro, e giunto ad Eraclea, vi fu ferito e morto. Zosimo2416, all’incontro, scrive ch’egli soggiornava in Emesa, dove, celebrando un non so qual giorno natalizio, a tradimento restò privato di vita. V’ha chi il fa ucciso2417 da un altro Odenato suo nipote, chi da Meonio suo cugino; e sospettò anche taluno che Zenobia sua moglie tenesse mano al misfatto per gelosia di veder anteposto a’ proprii figliuoli Erode, nato da una prima moglie ad esso Odenato, e da lui creato Augusto. Certo è che questo Erode, nominato anche Erodiano in qualche medaglia, della cui legittimità non so se possiam dubitare, perdè anch’egli la vita col padre. Era giovane portato al lusso, alla magnificenza, ai piaceri, e il padre gli lasciava far tutto. E questo infelice fine ebbe Odenato, principe de’ più gloriosi del Levante, perchè gran flagello de’ Persiani, e perchè conservò all’imperio romano le pericolanti provincie dell’Asia. Arrivò Trebellio Pollione2418 a dire che Dio veramente si mostrò irato contra del popolo romano, perchè toltogli Valeriano Augusto, non gli conservò Odenato. Egli intanto il mette fra’ tiranni, ma con ingiuria al vero, e contraddicendo a sè stesso2419. Quanto a Meonio, che lo stesso Pollione ci rappresenta come d’accordo con Zenobia per togliere la vita a Odenato, dicono che fu con consenso di lei proclamato imperadore; ma non andò molto che i soldati, nauseati per la di lui sporca lussuria, gli levarono insieme coll’imperio la vita. Lasciò Odenato dopo di sè tre figliuoli, cioè Hereniano, Timolao ed Uhaballato, che presero il titolo di Augusti, e si trovano mentovati nelle medaglie2420. Ma perciocchè erano in età non ancora capace di governo, Settimia Zenobia lor madre Augusta prese essa le redini a nome de’ figliuoli, siccome donna virile, e fece dipoi varie gloriose imprese, del che parleremo andando innanzi. Dissi che gli Sciti, o vogliam dire i Goti, aveano portata la desolazione in varie provincie dell’Asia, e massimamente della Cappadocia2421. Ora si vuol aggiugnere che costoro, udito che loro si appressava colle armi Odenato Augusto, non vollero già aspettarlo, e si affrettarono per tornarsene ai loro paesi collo immenso bottino fatto. Nondimeno sul mar Nero ne perirono non pochi, perchè assaliti dalle truppe e navi romane. Ma non passò gran tempo, ch’entrati per le bocche del Danubio nelle terre dello imperio, vi fecero un mondo di mali. Sulle rive del mar Nero fu data loro una rotta dalla guarnigione romana di Bisanzio, ma senza che cessassero per questo dal bottinare in quelle parti. Nè da lor soli vennero cotanti affanni. Anche gli Eruli passati dalla palude Meotide nel mar Nero con cinquecento vele sotto il comando di Naulobat loro capitano, per mare vennero fino a Bisanzio e a Crisopoli. In una battaglia loro data restò superiore l’esercito romano; e però tumultuosamente si ritirarono2422. Ma ecco tornar di nuovo i Goti, che son chiamati Sciti da altri, i quali andati alla ricca città di Cizico, la spogliarono. Indi si portarono alle isole di Lenno e di Suero nell’Arcipelago, ed arrivati sino all’insigne città di Atene, la bruciarono, con far lo stesso barbaro trattamento a Corinto, Sparta, Argo, e a quasi tutta l’Acaia, senza trovar persona che osasse di loro opporsi. Tuttavia, messisi gli Ateniesi in una imboscata, con aver per loro capitano Desippo istorico, ne fecero un gran macello. (Si vedrà qui sotto all’anno 269 un’altra presa di Atene, e forse solamente a que’ tempi è da riferire la disgrazia di quella città.) E pure non finì la faccenda, che scorrendo per l’Epiro, per la Acarnania e per la Beozia, recarono anche a quelle parti de’ gran malanni. Zonara2423 sembra riferir questo flagello ai tempi di Claudio successore di Gallieno. Mentre sì fiero temporale spremeva da ogni banda le grida dei popoli afflitti, non potè di meno che non si svegliasse l’imperador Gallieno, e non si movesse da Roma per accorrere al soccorso delle malconce provincie. Arrivato ch’egli fu nell’Illirico, non pochi di que’ Barbari caddero sotto le spade romane; laonde gli altri presero la fuga pel monte Gessace. Marziano ed Eracliano suoi capitani con altre prodezze liberarono in fine da quei Barbari le provincie dell’imperio. Ebbe parte in tali imprese anche Claudio, che fu dipoi imperadore; e i due primi generali divisando fra loro come si potesse sollevar la repubblica dall’inetto e crudel governo di Gallieno, misero per tempo gli occhi sopra di esso Claudio per adornarlo della porpora imperiale. Diedero probabilmente la spinta a questi lor disegni l’essere2424, a mio credere, succeduto in questi tempi ciò che narra Trebellio Pollione2425 con dire, che quando si credeva che Gallieno fosse ito coll’esercito per cacciare i Barbari, egli si fermò ad Atene per la vanità di prendere la cittadinanza di quell’illustre città, di esercitar ivi la carica di arconte, cioè del magistrato supremo, di essere arrolato fra i giudici dell’Areopago, e di assistere a tutti i loro sagrifizii, con vitupero della dignità imperiale. Poco fa ho detto, potersi dubitare che non accadesse verso questi tempi la presa e l’incendio di Atene. Viene maggiormente confermato questo dubbio dall’andata colà di Gallieno. Questa ridicola gloria, questa trascuratezza de’ pubblici affari nel bisogno, in cui si trovavano allora le provincie romane, fece perdere ai soldati la pazienza e il rispetto verso di un principe sì disattento e vile, e trattar fra loro di eleggere un degno imperador di Roma. Lo seppe Gallieno, cercò di placarli, e non potendo, ne fece uccidere qualche migliaio: risoluzione che indusse anche i generali a desiderar e procurare la di lui rovina, come vedremo all’anno seguente.