Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/230
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Anno di | Cristo CCXXX. Indizione VIII. PONZIANO papa 1. ALESSANDRO imperadore 9. |
LUCIO VIRIO AGRICOLA e SESTO CATIO CLEMENTINO.
Il secondo console in qualche testo è chiamato Clemente1979, e in una iscrizione riferita del Cupero, Clemenziano. Se questa è legittima, può essa prevalere agli antichi codici. Credesi che in questi tempi santo Urbano papa gloriosamente compiesse i suoi giorni con ricevere la corona del martirio. Ebbe per successore Ponziano. Tempo è ora di parlare di una strepitosa rivoluzion di cose accaduta in Oriente. La Persia, conquistata alcuni secoli prima da Alessandro il Grande, durò per qualche tempo sotto il dominio dei re della Siria, ossia della Soria, successori del Macedone. Arsace, famoso re de’ Parti, loro la tolse circa ducento cinquant’anni prima dell’era cristiana, e continuò ivi a signoreggiare la schiatta degli Arsacidi sino ad Artabano re di quelle contrade, e regnante a’ tempi dell’Augusto Alessandro1980. Contra di Artabano si ribellò un uomo di basso affare, ma di gran coraggio, chiamato Artaserse, discendente dagli antichi Persiani; il quale messa in armi la nazione sua, e collegato con altri popoli vicini, tre volte diede battaglia ad Artabano, ed altrettante ancora lo sconfisse, ed in fine gli levò la vita. Abbattuto dunque il regno de’ Parti, ritornò la corona in capo ad Artaserse Persiano, e si rinnovò la potenza di quella nazione, la quale troveremo, andando innanzi, terribile ai Romani, poi soggiogata dagli Arabi, e di tal possanza anche oggidì dopo incredibili peripezie che fa paura al potentissimo Sultano de’ Turchi, e più che paura ha fatto, pochi anni sono, al Mogol, grande imperadore delle Indie orientali. Mise1981 il vittorioso Artaserse l’assedio alla fortezza di Atra; ma perdutavi indarno molta gente, passò nella Media, e ne conquistò la maggior parte. Rivolse poi le sue forze contro l’Armenia, dove quel popolo assistito dai Medi e dai figliuoli di Artabano, colà rifugiati, il costrinse con suo poco gusto a battere la ritirata. Pretende il padre Pagi1982 che nell’anno di Cristo 226, Artaserse sulle rovine del regno de’ Parti piantasse il trono de’ Persiani, citando in pruova di ciò lo storico Agatia; e che nel seguente anno, o pure nel 228, egli incominciasse la guerra contra dei Romani. Non è Agatia uno scrittore sicuro per tempi sì lontani da lui. Abbiamo di certo da Dione1983 che nell’anno 229 grande apprensione recava Artaserse ai Romani, con minacciare di assalir la Mesopotamia e la stessa Soria, pretendendo di voler ricuperar tutto quanto appartenne una volta ai re di Persia1984, l’imperio de’ quali arrivava sino al Mediterraneo e all’Egeo. Vuole il suddetto Pagi che nell’anno precedente l’Augusto Alessandro, per frenare questo minaccioso torrente, si portasse coll’esercito ad Antiochia. Monsignor Bianchini1985 differisce la di lui andata al presente anno, il Tillemont1986 sino all’anno 232. A me sembra più probabile che in quest’anno Alessandro si mettesse in viaggio, giacchè abbiamo una moneta1987, spettante all’anno IX della di lui podestà tribunizia, dove si legge PROFECTIO AVGVSTI. Scrive Erodiano1988, che arrivato Alessandro all’anno tredicesimo del suo imperio (numero senza fallo scorretto), si svegliò la guerra coi Persiani, ed avere esso Augusto sulle prime creduto bene di scrivere lettere ad Artaserse, per esortarlo a desistere dalle novità, e a contentarsi del suo, perchè non gli andrebbe così ben fatta, volendo combattere coi Romani, come gli era accaduto con altri popoli, ricordandogli le imprese di Augusto, Lucio Vero e Settimio Severo in quelle parti. Si rise l’orgoglioso Artaserse di queste lettere, e la risposta che diede, fu coll’entrare armato nella Mesopotamia, e dar principio ad assedii e saccheggi nel paese romano. Venute queste nuove a Roma, benchè Alessandro fosse allevato nella pace, pure, per parere ancora de’ suoi consiglieri, fu creduta necessaria la di lui presenza alle frontiere della Soria. Gran leva dunque di gente si fece per l’Italia e per tutte le altre provincie; e formato un poderosissimo esercito coll’unione de’ pretoriani ed altri soldati di Roma, si congedò Alessandro dal senato, ed imprese il viaggio alla volta di Levante. Attesta il medesimo Erodiano che niuno vi fu dei senatori e de’ cittadini romani che potesse ritener le lagrime al vedere allontanarsi da loro un principe sì buono, sì amato ed adorato da tutti. Fece il viaggio per terra coll’armata, e data nell’Illirico la revista a quelle legioni seco le prese. Passato poscia lo stretto della Tracia, continuò il suo viaggio sino ad Antiochia, capitale della Soria, dove attese a far i preparativi necessarii per così pericolosa guerra. Racconta Lampridio1989 la bella maniera tenuta da lui nella marcia dell’esercito suo. Prima di muoversi di Roma, fece attaccare ne’ pubblici luoghi in iscritto la disposizione del viaggio, indicando il giorno della partenza, e di mano in mano assegnando i luoghi, dove l’armata dovea far alto nelle notti, o prendere il riposo di un giorno. Mandati innanzi tali avvisi, si trovava dappertutto preparata la tappa, cioè la provvisione de’ viveri; nè vi fu verso ch’egli volesse mai mutare alcuna delle posate prescritte, per paura che i suoi uffiziali non facessero traffico delle marcie, per guadagnar danaro. Non altro cibo prendeva egli che l’usato dagli altri soldati, pranzando e cenando colla tenda aperta, affinchè ognuno il potesse vedere. Gran cura si prendeva egli perchè nulla mancasse di vettovaglia, di armi, di abiti, di selle e di altri arnesi alle soldatesche; ed in tutto esigeva la pulizia, di maniera che si concepiva, in mirar quelle truppe sì ben guarnite, un’alta idea del nome romano. Più di ogni altra cosa poi gli stava a cuore la disciplina militare, e che niun danno fosse inferito agli abitanti e alle campagne per dove passava l’armata. Visitava egli in persona le tende, nè permetteva che nella marcia alcuno, anche degli uffiziali non che de’ soldati, uscisse di cammino. Se taluno trasgrediva l’ordine, le bastonate o altre convenevoli pene erano in pronto. E ai principali dell’esercito, che avessero mancato in questo, e danneggiato il paese, faceva una severa correzione, con intonar loro la massima imparata da’ Cristiani, cioè con dire: Avreste voi caro che gli altri facessero alle terre vostre quel che voi fate alle loro? Perchè un soldato maltrattò una povera vecchia, il cassò e il diede per ischiavo ad essa donna, acciocchè col mestiere di falegname, ch’egli esercitava1990, la mantenesse. Ed avendo fatta doglianza di ciò gli altri soldati, fece lor conoscere la giustizia di questo gastigo, che servì a tenere gli altri in freno. Per così bei regolamenti, e col tenere sì forte in briglia le milizie, dappertutto dove queste passavano, si dicea, che non già de’ soldati, ma dei senatori erano in viaggio; ed ognuno, in vece di fuggirli, gli amava, vedendo tanta modestia e sì bell’ordine in gente non avvezza se non a far del male, con benedire Alessandro, come se fosse stato un dio. Veramente Zosimo1991 scrive che i soldati erano malcontenti di Alessandro per questo rigore di disciplina; e vedremo in fine che fu così. E pure Lampridio, scrittore più antico, e che avea bene studiato le precedenti storie, attesta ch’egli era amato da essi, come lor fratello e lor padre. Aggiugne questo medesimo storico1992, che arrivato il giovine imperadore ad Antiochia, e trovato che alcuni soldati di una legione si perdevano nelle delizie, e andavano ai bagni colle donne, li fece tosto mettere in prigione. Cominciò per questo tutta la legione a far tumulto e doglianze. Allora Alessandro salito sul tribunale, si fece condurre davanti quei prigioni alla presenza di tutti gli altri ch’erano in armi, e parlò con vigore intorno alla necessità di mantener la disciplina, e che il supplicio di coloro dovea insegnare agli altri. Grande schiamazzo allora insorse; ed egli più franco che mai ricordò loro, dover essi alzar le grida contra dei Persiani, e non contra il proprio imperadore, che cava il sangue dai popoli per vestire, nudrire ed arricchir le milizie. Li minacciò ancora, se non dimettevano, di cassarli tutti, e che forse non si cotenterebbe di questo, rimproverando loro, che dimenticavano di essere cittadini romani. Più forte cominciarono essi allora a gridare ed a muovere l’armi, come minacciandolo. Ma egli, non istate, soggiunse, a bravare. L’armi vostre han da essere contro i nemici di Roma. Nè vi avvisaste di farmi paura. Quand’anche uccideste un par mio, alla repubblica non mancherà un nuovo Augusto per governar lei e punire voi altri. E perciocchè non si quetavano, con gran voce gridò: Cittadini romani, deponete l’armi e andatevene con Dio. Allora (e par cosa da non credere) tutti, posate l’armi, le casacche militari e le insegne, si ritirarono. Gli altri soldati e il popolo raccolsero quelle armi e bandiere, e portarono tutto al palazzo. Di là poi ad un mese, pregato, rendè loro l’armi, con far nondimeno morire i lor tribuni, per negligenza de’ quali erano caduti in tanta effeminatezza quei soldati. Questa legione dipoi si segnalò sopra le altre nella guerra contro i Persiani. Formò Alessandro di sei legioni una falange di trenta mila combattenti: il che ci fa intendere che allora ogni legione era composta di cinque mila armati. Altre guardie ancora avea con gli scudi intersiati d’oro e d’argento. A tutti dopo la guerra di Persia fu data maggior paga che agli altri soldati.