Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/218

Anno 218

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Anno di Cristo CCXVIII. Indizione XI.
CALLISTO papa 2.
MACRINO imperadore 2.
ELAGABALO imperadore 1.
Consoli

MARCO OPELLIO SEVERO MACRINO AUGUSTO ed OCLATINO ADVENTO.

Questo Advento console quel medesimo è che in compagnia di Macrino era dianzi prefetto del pretorio, ed avea ricusato l’imperio. Macrino il compensò con quest’onore, benchè fosse anch’egli di bassissima sfera. Non si può ben chiarire il di lui prenome e nome. Il Relando1868, con produrre una iscrizione assai logora del Fabretti, il nomina Q. M. Coclatino Advento per la seconda volta. Non è da credere ch’egli usasse due prenomi, o che il suo nome fosse designato1869 con un solo M. Molto meno sussiste ch’egli fosse stato console un’altra volta1870. Dai frammenti di Dione abbiamo che fu [p. 747 modifica]ripreso Macrino per aver creato senatore, collega nel consolato e prefetto di Roma Advento, uomo già soldato gregario, poscia corriere e, poco fa, procuratore. In vigore di due iscrizioni, da me1871 altrove pubblicate, è sembrato a me più verisimile il suo nome Oclatino che Coclatino. Almen dubbioso, se non falso, parimente sembra che Macrino fosse chiamato console per la seconda volta, come giudicò il Relando. Ci sono medaglie1872 che il nominano solamente console in quest’anno; però è da vedere se legittime sieno l’altre che ci rappresentano il secondo suo consolato. Passò Macrino Augusto il verno in Antiochia, ma senza prender ben le sue misure per assodar la sua fortuna sul trono. Era desiderato, era sollecitato a venirsene a Roma, dove, non ostante i difetti della sua nascita, si era conceputa non lieve stima ed amore per lui, sapendo ch’era uomo di genio moderato ed inclinato alla giustizia e a far del bene. Fallò egli non poco1873 col perdersi tanto nelle delizie di Antiochia1874. Ad errore ancora gli fu attribuito l’aver lasciato troppo tempo unita l’armata senza dividerla, e senza mandare i differenti corpi alle loro provincie, giacchè più non si parlava di guerra. Oltre a ciò, in vece di studiar la maniera di farsi amare, affettava una aria di gravità e di altura non convenevole a chi era salito tant’alto dal basso; nè si mostrava assai cortese verso i soldati. Capitolino1875, che unì tutto quel che seppe per iscreditare la di lui memoria, cel rappresenta crudele anche nello stesso far la giustizia, e troppo rigoroso nell’esigere la militar disciplina. Diedesi inoltre a far degli eccessi di gola, e divertirsi nei teatri, e dar poche udienze. Può essere che tale storico alterasse la verità in più d’un capo. Oltre di che, Lampridio1876 scrive che Elagabalo fece dire dagli storici d’allora quanto male mai seppe di esso Macrino. Tuttavia, per attestato di Dione1877, noi sappiamo che esso Macrino conferiva i magistrati a persone inabili ed indegne, e che le sue parole, al pari dei fatti, non mostravano ch’egli avesse mai testa e spalle per sostener con decoro e con utile del pubblico una sì gran dignità. Ma quello che finalmente diede il tracollo alla di lui fortuna, fu che, a riserva de’ pretoriani, il resto dell’armata, la quale mal volentieri aveva accettato dalle mani di essi pretoriani questo nuovo Augusto, sempre più si andò alienando da lui; perchè osservava in Macrino uno spietato rigore nel voler rimettere l’antica disciplina nelle truppe, costringendoli ad alloggiar sotto le tende anche nel verno, e sì perchè non cadevano più le frequenti rugiade di regali, usate verso di loro dal prodigo Caracalla; ed aveva anche preso piede il sospetto ch’egli avesse tolto dal mondo quell’Augusto loro sì caro. Con questo cuor guasto andavano fra loro sparlando di Macrino, e trapelava dalle parole della maggior parte d’essi una inclinazione a ribellarsi. Solamente mancava chi alzasse il dito e si facesse capo; ma questo tale non tardò a presentarsi. Ebbe Giulia Domna Augusta, madre di Caracalla, Soriana, siccome già vedemmo, di nazione, una sorella in quelle parti, appellata Giulia Mesa, da cui erano nate due figliuole, l’una Giulia Soemia, e l’altra Giulia1878 Mammea1879. Fu maritata la prima di esse con Vario Marcello, la seconda con Genesio Marziano, amendue ricchi signori in Soria, e già mancati di vita. Giulia Mesa, che tuttavia era in buona età, stando in addietro alla corte in compagnia di Giulia Augusta sua sorella, vi aveva ammassata [p. 749 modifica]gran copia di ricchezza; e siccome donna accorta e spiritosa, gran provvisione avea fatta di disinvoltura e sperienza negli affari del mondo. Lasciolla Macrino in pace, nè tolse un soldo dei tesori da lei accumulati: laonde ella, dappoichè fu morta la sorella Augusta, si ritirò nella città di Emesa, patria sua, colle due sue figliuole vedove, e con due nepoti, figliuoli delle medesime. Quello di Giulia Soemia si appellava Vario Avito Bassiano (Dione, non so perchè, lo chiama Lupo: fors’era un soprannome), che noi vedremo fra poco imperadore col soprannome di Elagabalo. L’altro, nato da Giulia Mammea, portava il nome di Alessiano, il quale, giunto anch’esso all’imperio, sarà da noi conosciuto col nome di Severo Alessandro. Bassiano, giunto all’età di quattordici anni1880, era bellissimo giovinetto, e sacerdote del tempio del dio Elegabalo, cioè del Sole, benchè altri dicano di Giove o di Serapide, adorato in quella città, non già in qualche immagine o statua, ma in una pietra che avea la figura di cono o sia di un pane di zucchero, pietra caduta dal cielo per felicità di quel popolo. I soldati acquartierati fuori di Emesa, coll’andare a quel tempio, e veder in esso e fuori di esso in superbe vesti e con corona gioiellata in capo il vaghissimo sacerdote Bassiano, se n’erano mezzo innamorati. Crebbe poi a dismisura questo amore, da che l’accorta Giulia Mesa fece spargere voce1881 che questo bel giovine era figliuolo di Caracalla Augusto, mercè del commercio da lui avuto con Giulia Soemia figliuola di lei, allorchè dimoravano tutte in corte. Vera o falsa che fosse questa voce, commosse non poco i soldati tra per lo amore che tuttavia nudrivano verso Caracalla, e per l’odio che portavano a Macrino. Si aggiunse la fama delle grandi ricchezze di Giulia Mesa, la quale ne facea loro una generosa offerta, se volevano promuovere al trono il giovine Bassiano. Fatto il concerto, ed uscita ella una notte di Emesa, condusse il nipote al campo de’ soldati, che immediatamente lo acclamarono Imperadore, e vestirono di porpora nel dì 16 di maggio, dandogli il nome di Marco Aurelio Antonino, soprannominato dipoi Elagabalo per cagione del suddetto suo sacerdozio. Da Capitolino e da altri è chiamato Heliogabalo; sono d’accordo ora gli eruditi in appellarlo Elagabalo. Dione1882, all’incontro, lasciò scritto, essere stata l’esaltazione di questo mentito figlio di Caracalla opera e maneggio solamente di Eutichiano, soprannominato Comazonte a cagion del suo umore allegro e buffone, già figliuolo di uno schiavo, e poi liberto degl’imperadori, uomo screditato al maggior segno per varii vizii. Costui (seguita a dire Dione) arditamente trattò l’affare senza che lo sapessero nè la madre, nè l’avola di Elagabalo; ma sembra ben più verosimile il racconto di Erodiano, che mette incitati i soldati alle sedizione specialmente per la speranza de’ tesori loro esibiti da Giulia Mesa. Portata a Macrino questa nuova, mostrò egli nel di fuori di non farne conto, anzi di ridersene, considerato per uno scioccherello e ragazzo Elagabalo, ed atteso particolarmente il nerbo de’ suoi pretoriani e delle altre milizie che il fiancheggiavano. Scrisse nondimeno questa novità al senato, e con lettera appellata puerile da Dione. S’egli fosse stato uomo di testa e provveduto di coraggio, nulla più facile era che di affogar quella ribellione, marciando tosto con tutte le sue forze contro quel corpo di armata ribelle, troppo inferiore alla sua, e col promettere ai soldati il bottino delle ricchezze di Giulia Mesa. Gli parve sufficiente rimedio al male lo spedir colà Ulpio Giuliano perfetto del pretorio con parte delle milizie1883. Appena arrivato colà questo uffiziale, ruppe alcune porte [p. 751 modifica]della città, dove si erano ritirati e fortificati i ribelli; ma non vi volle entrar per forza, sperando di veder di momento in momento esposta bandiera bianca. Questa bandiera non comparve, e durante la notte si fortificarono così bene i soldati di dentro, che quando Giuliano, venuta la mattina, fece dare l’assalto alle mura, trovò una insuperabile resistenza negli assediati. Inoltre, si lasciò vedere quel bel fantoccio di Elagabalo magnificamente abbigliato sui merli delle mura e delle torri, gridando i suoi soldati: Ecco il figliuolo di Antonino, cioè di Caracalla, e mostrando nel medesimo tempo i sacchi dell’oro e dell’argento loro dati da Giulia Mesa. Quella bella vista, passando in cuore di chi tanto bene avea ricevuto da Caracalla, servì d’incanto ai soldati di Macrino, che, ammutinati anch’essi, trucidarono i più dei loro uffiziali, e si unirono con quei di Elagabalo. Giuliano fuggì, ma raggiunto perdè la vita; e fu così ardito un soldato, che, posta la di lui testa entro un sacchetto sigillato col sigillo del medesimo Giuliano, la portò a Macrino, fingendo che fosse il capo di Elagabalo; e mentre quella si sviluppava, destramente se ne fuggì. Erasi inoltrato Macrino Augusto sino ad Apamea, aspettando l’esito della spedizion di Giuliano. Uditolo sinistro, credono alcuni1884 ch’egli creasse allora Augusto il figliuolo Diadumeniano. Altro non dice Dione1885, se non che il designò1886 Imperadore, e promise un grosso regalo ai soldati. Però le monete che ci rappresentano Diadumeniano Augusto prima di quel tempo e le lettere citate da Capitolino, o son false o non vanno esenti da sospetto. Anzi non pare che vi restasse tempo di battere nè pur monete in onore di questo nuovo Augusto, oltre al dirsi da Dione ch’egli fu designato1887 solamente, per aspettarne probabilmente il consenso dal senato. Erodiano il riconosce fregiato unicamente col titolo di Cesare. Non si fidò Macrino di fermarsi dopo la disgrazia di Giuliano in Apamea, e si mise in viaggio per ritornarsene ad Antiochia. Ma l’esercito di Elagabalo, ch’era per tanti desertori cresciuto a segno di poter fare paura a Macrino, uscì in campagna, e con isforzate marcie il raggiunse in un luogo distante circa trenta miglia da Antiochia1888. Bisognò venire ad un fatto d’armi correndo il dì 7 di giugno. I pretoriani, siccome bei pezzi di uomini e gente scelta, erano superiori di forze; ma i nemici con più furore combattevano, perchè, perdendo, si aspettavano la pena della lor ribellione. Contuttociò, prevalendo i primi, cominciarono a piegare e a prendere la fuga gli altri; se non che, scesa dal cocchio Giulia Mesa colla figlia Soemia, con lagrime e preghiere tanto fece, che li rispinse nella mischia. Lo stesso Elagabalo, il più vile uomo del mondo, comparve in questa occasione un Marte, perchè a cavallo e col brando in mano maggiormente animò i suoi alla pugna. Nulladimeno si sarebbe anche dichiarata la vittoria per Macrino, s’egli non fosse stato figliuolo della paura. Allorchè vide dubbioso il combattimento, per timore di essere preso, se restava rotto il suo campo, abbandonò i suoi per salvarsi ad Antiochia. Tennero saldo, ciò non ostante, i pretoriani, finchè Elagabalo, informato della fuga di Macrino, lo fece loro sapere, con promettere nello stesso tempo di conservare ad essi il grado loro, e di regalargli se si dichiaravano per lui, siccome seguì. Ciò saputosi da Macrino, travestito prese le poste alla volta di Bisanzio, dove se potea giugnere, facea poi conto di passare a Roma, e di rimettere in piedi la cadente sua fortuna. Si mise a passar lo stretto, ed era già presso a Bisanzio, quando un vento furioso il rigettò a Calcedonia, dove stette [p. 753 modifica]nascoso alcun poco, finchè giunti i corridori spediti da Elagabalo coll’avviso della vittoria, fu scoperto e messo in una carretta per condurlo vivo al vincitore; ma gittatosi dal carro, e rottasi una spalla ad Archelaide, città della Cappadocia, gli fu mozzato il capo e portato ad Elagabalo, che lo fece porre sopra una lancia, e girar per tutto il campo alla vista di ognuno. Terminò Macrino i suoi giorni in età di cinquantaquattro anni, dopo aver regnato quasi quattordici mesi. Mentre Diadumeniano suo figliuolo era in viaggio, sperando di salvarsi nel paese de’ Parti, raccomandato dal padre ad Artabano, fu preso anch’egli1889, ed ucciso in età di circa dieci anni, con che restò solo padrone del romano imperio Marco Aurelio Antonino, soprannominato Elagabalo, in cui andiamo a vedere il più vergognoso ed abbominevol uomo che sedesse mai sul trono de’ Cesari. Dopo l’union degli eserciti proclamato di nuovo Imperadore, entrò come trionfante in Antiochia. Pretendevano i soldati il sacco di quella innocente città: la salvò Elagabalo, con promettere loro cinquecento dramme per testa; somma che la dovettero pagare per loro men male i cittadini. Dai frammenti di Dione, pubblicati dal Valesio1890, abbiamo che esso Elagabalo, ovvero chi faceva per lui, scrisse al senato, mandando la lettera a Pollione console. S’intitolava egli imperadore Cesare Augusto, figliuolo di Antonino (cioè di Caracalla), nipote di Severo, Pio, Felice, dotato della podestà tribunizia e proconsolare; cosa contraria all’ordine e all’uso, perchè gli altri principi aveano aspettata questa autorità dal senato, almen per un atto di convenienza. Si può argomentare da ciò quanto abbiam detto di Diadumeniano creduto Augusto, perchè non vi fu tempo da poter ricevere questo titolo dal senato. In essa lettera Elagabalo sparlava forte di Macrino, prometteva gran cose di sè stesso, protestando di prendere per suo modello Augusto e Marco Aurelio. Tutte spampanate di lui o di chi dettò a lui quella lettera. Staremo poco ad avvedercene. E se ne accorsero allora i senatori, perchè egli a parte scrisse al console Pollione, che se alcuno facesse opposizione o resistenza, egli si servisse della forza e dei soldati ch’erano in Roma. Già erano afflitti essi senatori per aver perduto Macrino, principe che non doveva essere quel tanto sciagurato che Capitolino ci vuole far credere; e molto più per dover essere governati da uno sbarbatello Soriano, non conosciuto da alcuno, o almen da pochi: il quale senza verun legittimo titolo, e per una vergognosa finzione di bastardismo, si era intruso nel trono cesareo. Tuttavia bisognò chinare il capo, insegnare alla lor lingua le acclamazioni e gli elogi ad Elagabalo, e fino all’odiato Caracalla, vantato suo padre, e dichiarar nemico pubblico Macrino. Trovasi qualche iscrizione spettante a quest’anno in cui si veggono consoli Antonino ed Advento. Una specialmente ne produce il Fabretti1891: il che fa intendere, e lo conferma anche Dione, che Elagabalo, chiamato Marco Aurelio Antonino, di sua autorità si fece console in quest’anno, e ciò senza licenza del senato, con far anche radere dagli atti pubblici il nome di Macrino, e mettervi il suo, quasichè egli fin dalle calende di gennaio fosse stato console con Advento. Ma noi poco fa abbiam veduto console in quest’anno anche Pollione. Forse nelle calende di maggio era egli stato sostituito a Macrino in quella insigne dignità. Ardevano intanto di voglia Mesa e Giulia Soemia, madre del nuovo Augusto, di rivedere Roma, dove erano state in delizie ne’ tempi addietro, e però affrettarono verso quella parte Elagabalo1892. Giunto egli coll’armata a

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Nicomedia, per la stagion troppo avanzata, quivi si fermò, per proseguire il viaggio nella prossima ventura primavera.