Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/198

Anno 198

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Anno di Cristo CXCVIII. Indizione VI.
ZEFIRINO papa 2.
SETTIMIO SEVERO imperad. 6.
CARACALLA imperadore 1.
Consoli

SATURNINO e GALLO.

Perchè non paiono ben sicuri i prenomi di Tiberio e di Cajo, dati da taluno a questi due consoli, io non ho posto se non i loro cognomi. Certamente non era molto in uso di notare i consoli col prenome e cognome, lasciando andare i lor nomi. O sia che l’Augusto Severo nell’anno precedente, o pure nel presente s’inviasse in Levante, certo è che egli si mosse per fare una nuova guerra in quelle parti. Sì Erodiano1651 che Sparziano1652 pretendono che niuna necessità vi fosse in questa guerra, ed averla Severo intrapresa unicamente per la sua capricciosa voglia di volere un trionfo, giacchè i Romani non solevano trionfare per le vittorie ottenute nelle guerre civili. Ma qui si truova la storia in gravi imbrogli, non tanto per determinare i tempi di tali imprese, che sono scuri e controversi fra gli scrittori moderni, quanto per esporre le imprese medesime, essendo troppo discordi fra loro Dione, Erodiano e Sparziano, cioè le uniche nostre scorte per gli affari di questi tempi. Dall’ultimo di questi scrittori abbiamo che Severo da Brindisi traghettò l’esercito in Grecia, e per terra continuando la marcia, arrivò in Soria. E qui Dione1653 vien dicendo che, trovandosi occupato Severo nella guerra contro d’Albino, i Parti aveano agevolmente occupata la Mesopotamia, ed anche messo l’assedio alla città di Nisibi. Leto, che verisimilmente dopo la rotta data ad Albino, era stato spedito da Severo in quelle contrade, quegli fu che difese Nisibi. Però ecco contraddizione fra questo fatto e il dirsi da Erodiano e Sparziano che Severo, senza bisogno alcuno e per sola sete di gloria, entrò in questo nuovo cimento. E pur ciò è poco rispetto a quello che aggiugnerò. Scrive lo stesso Erodiano che il pretesto preso da Severo per tal guerra fu di vendicarsi del re d’Atra, che s’era dichiarato in favor di Pescennio Negro nella precedente guerra. Si partì egli dunque con pensiero di malmettere l’Armenia; ma prevenuto da quel re con regali, ostaggi e preghiere, comparve poi come amico in quel paese. Anche il re dell’Osroene Abgaro gli diede per pegno della sua fede i suoi figliuoli, e somministrò una gran copia di arcieri all’esercito romano. Poscia Severo, passato il paese degli Albeni, [p. 675 modifica]entrò nell’Arabia Felice (cosa dura da credere), e dopo aver espugnate molte città e castella, e dato il guasto a quelle contrade, si portò all’assedio di Atra, città fortissima, sì per le sue mura, come per essere situata sopra una montagna e guernita di bravi arcieri. Fecero una terribil difesa gli Atreni, bruciarono le macchine degli assedianti; perì quivi gran quantità di Romani per le spade e saette de’ nimici, ma più per le malattie che entrarono nel loro campo. Però fu forzato l’imperadore a levar l’assedio con rabbia e confusione incredibile, perchè, essendo avvezzo alle vittorie, ora gli parve d’essere vinto, perchè non avea vinto. Dipoi voltò l’armi contra dei Parti. Così Erodiano1654. Dione, all’incontro, scrive1655, che i Parti, senza aspettar l’arrivo di Severo, se n’erano tornati alle case loro: e che Severo giunse a Nisibi, dove trovò che un grossissimo cignale avea buttato giù da cavallo ed ucciso un cavaliere. Trenta soldati appresso tanto fecero che uccisero quella bestia, e la presentarono a Severo, il quale non tardò a portar la guerra addosso ai Parti, chiamando Vologeso quel re che da Erodiano vien appellato Artabano. Succedette dipoi, secondo Dione, l’assedio infelice d’Atra. Ma perchè il medesimo storico mette due assedii di quella città, situata non so dire se nella Mesopotamia non lungi da Nisibi, o pur nell’Arabia, come vuole lo stesso Dione, pare che il primo si possa riferire all’anno presente; e tanto più perchè quell’autore lo mette intrapreso dappoichè Severo fu entrato in essa Mesopotamia. Noi abbiam le storie di Dione troppo accorciate e sconvolte da Sifilino. Staccatosi da Atra l’Augusto Severo, se pur sussiste l’assedio suddetto nell’anno presente, mosse l’armi contra de’ Parti. Vuole Erodiano1656, che imbarcatesi le di lui soldatesche, fossero per accidente trasportate dall’empito dell’acque nel paese d’essi Parti, mentre quel re se ne stava con tutta pace senza aspettare ostilità alcuna dai Romani; laddove Dione1657 attesta che i Parti aveano poco prima fatto guerra nella Mesopotamia, e che Severo fece gran preparamento di barche leggere da mettere nell’Eufrate per assalire i medesimi Parti. Allorchè fu in ordine l’armamento navale, marciò l’armata romana, ed entrò in Seleucia e in Babilonia, abbandonate dai nemici, e poco appresso sorprese, o pur colla forza acquistò Ctesifonte, reggia in que’ tempi de’ Parti. Secondo Sparziano1658, ciò accade sul fin dell’autunno. Ne fuggì il re Vologeso, o sia Artabano, con pochi cavalli; furono presi i di lui tesori; permesso il sacco della città ai soldati, i quali, dopo un gran macello di persone, vi fecero centomila prigioni. Ma non si fermò molto l’imperadore in quella città per mancanza di viveri, e tornossene coll’armata piena di bottino indietro. Se non falla Sparziano1659, fu in questa occasione che gli allegri soldati proclamarono collega nell’imperio, cioè Imperadore Augusto, Marco Aurelio Antonino Caracalla, primogenito d’esso imperador Severo, e Cesare Geta suo secondogenito. Ora dai più si crede che solamente nel presente anno Caracalla conseguisse questo onore, e, per conseguente, il differire la presa di Ctesifonte all’anno di Cristo 200, come han fatto il Petavio, il Mezzabarba e il Bianchini, non sembra appoggiato ad assai forti fondamenti. Ho io rapportata1660 un’iscrizione dedicata XIII. KAL. OCTOBR. SATVRNINO ET GALLO COS., cioè in quest’anno in cui Caracalla si vede appellato Imperadore Augusto, e dotato dell’autorità tribunizia e proconsolare. V’ha qualche medaglia1661 che [p. 677 modifica]ci rappresenta Severo sotto quest’anno Imperadore per la decima volta; il che è segno (quando ciò sussista) della vittoria riportata contra de’ Parti. Con magnifiche parole diede Severo1662 un distinto ragguaglio di queste sue vittorie al senato e popolo romano, e ne mandò anche la descrizione dipinta in varie tavolette che furono esposte in Roma. Nè fu minore la diligenza del senato in accordargli tutt’i più onorevoli titoli delle nazioni ch’egli diceva d’aver soggiogate; e l’adulazione inventò allora quello di Partico Massimo, che si comincia a trovar nelle iscrizioni e medaglie. A lui fu decretato il trionfo. Se crediamo al suddetto Sparziano1663, senza saputa, non che consenso di Severo, seguì la proclamazione di Caracalla Augusto; e perchè il padre o seppe o s’immaginò ciò fatto perchè egli pativa delle doglie articolari, o pur delle gotte ne’ piedi, nè potea ben soddisfare ai bisogni della guerra, salito sul trono, e fatti venir tutti gli uffiziali dell’armata, volea gastigar chiunque era stato autore di quella novità. Ognun d’essi si gittò ginocchioni, chiedendo perdono. Terminò questa scena solamente in dir egli: Avete da conoscere in fine, essere la testa che comanda, e non i piedi. Al Salmasio questa parve una frottola di Sparziano. Il Tillemont1664 cerca di renderla verisimile con dire che Caracalla dovette far questo maneggio per escludere Geta suo fratello: il che dispiacque a Severo. O pure che ciò potè accadere nell’ultima guerra da lui fatta nella Bretagna, siccome vedremo. Son plausibili le di lui riflessioni; ma come sarà poi vero che Caracalla acquistasse nell’anno presente il titolo d’Augusto?