Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/192
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Anno di | Cristo CXCII. Indizione XV. VITTORE papa 7. COMMODO imperadore 13. |
MARCO AURELIO COMMODO AUGUSTO per la settima volta e PUBLIO ELVIO PERTINACE per la seconda.
Guastandosi ogni dì più il cervello a Commodo imperadore, andavano crescendo le sue perverse azioni e, per conseguente ancora, l’odio del popolo, e specialmente de’ buoni contra di lui. A capriccio egli faceva uccidere le persone. Alcuni tolse dal mondo, perchè incontratosi in loro, osservò ch’erano vestiti di abito straniero1519; altri perchè parevano più belli di lui. Saputo che certuno avea letta la vita di Caligola, scritta da Svetonio, il diede in preda alle fiere, perchè egli era nato lo stesso dì che Caligola. Tralascio altre simili sue crudeltà, narrate da Lampridio. Nè minori di numero erano le sue inezie, che si tiravano dietro le risate di ognuno. Guai nondimeno, se si accorgeva di chi il burlasse e deridesse, perchè tosto il faceva consegnare alle bestie feroci. E pur egli non si guardava dal comparire ridicolo in faccia di tutti, lasciandosi vedere in pubblico vestito ora da donna, ora da Ercole colla clava, ora da Mercurio col caduceo in mano. Ma il colmo delle sue pazzie quel fu d’intestarsi di essere il più bravo ed esperto gladiatore e cacciatore che fosse sopra l’universa terra1520. E veramente confessano tutti gli storici, maravigliosa essere stata la destrezza sua nell’uccidere le fiere o lanciando l’asta contra di esse, o scagliando frecce e dardi. Con tal giustezza scaricava i colpi che feriva quasi sempre dove avea presa la mira. Questo fu il solo de’ pregi ch’egli ebbe: che per altro differenza non si scorgeva tra lui e un vero coniglio. S’era egli avvezzato a queste cacce in Lanuvio, e ne’ suoi palazzi di villa, dove dicono che ammazzò in varii tempi migliaja di esse fiere. Per conto dei gladiatori infinite pruove avea fatto in quell’infame mestiere, combattendo con essi armato di spada e scudo, nudo o pur vestito, facendo anche tutti i giuochi de’ reziarii e dei secutori, ch’erano specie di gladiatori. Di sua mano uccise egli talvolta i competitori, senza che alcun di essi ardisse di torcere a lui un capello. Ordinariamente dopo aver quella canaglia sostenuto alquanto gli assalti e riportata talora qualche ferita, se gli dava per vinto, chiedendogli la vita in dono, ed acclamandolo pel più forte imperadore che Roma avesse mai prodotto. S’invanì tanto per tante sue lodi e per la stupenda sua bravura il folle Commodo, che, per attestato di Mario Massimo, le cui storie si sono perdute, ma esistevano a’ tempi di Lampridio, ordinò che negli atti pubblici si registrassero queste sue ridicole vittorie, come già si facea delle campali riportate dagli eserciti romani; e queste ascendevano a migliaja e migliaja. Arrivò egli sì oltre (cotanto si era ubbriacato di questa vergognosa gloria), che più non curando il nome di Ercole, s’invogliò di quello di primo fra i gladiatori, con prendere anche il nome di un Paolo già defunto, e stato mirabile a’ suoi dì nell’arte obbrobriosa de’ gladiatori. Ma troppa lieve parve in fine quella gloria a Commodo, perchè ristretta nei suoi privati palagi e nelle scuole gladiatorie. Gli venne in capriccio di farsi anche ammirare da tutto il popolo romano; e però fece precorrer voce, che nei giuochi saturnali, soliti a celebrarsi nel dicembre1521, egli solo volea uccidere tutte le fiere, e combattere coi più bravi dell’arena. All’avviso di questa gran novità, incredibile fu il concorso, non solo del popolo romano, ma anche da varie parti d’Italia. Quattordici dì durarono questi spettacoli. Innumerabili e di varie specie furono le fiere e le bestie, fatte venir dall’India, dall’Africa e da altre contrade, che comparvero nell’anfiteatro, e molte di esse conosciute dianzi solamente in pittura. Si aspettava poi la gente di mirare il valoroso Augusto affrontar nell’arena lioni, pantere, tigri, orsi e somiglianti feroci animali. Ma il per altro pazzo Commodo ebbe tanto senno di far guerra a tali fiere da un corridore alquanto alto, che girava intorno alla platea dell’anfiteatro. Vero è nondimeno, ch’egli di là con tanta maestria e forza scagliava aste e dardi che feriva e trapassava gli animali, cogliendo nella fronte e nel cuor de’ medesimi senza fallare. Cento lioni in questa guisa per mano di lui rimasero estinti sul campo. Il popolo tutto andava gridando Bravo e Viva; per lo che si ringalluzziva sempre più il balordo Augusto. E qualora egli si sentiva stanco, Marzia, sua cara concubina, era pronta a porgergli una tazza di buon vino rinfrescato; e il popolo, e i senatori stessi, uno de’ quali era lo stesso Dione storico, come si fa nei conviti, gli auguravano salute e vita. Un altro dì lo spettacolo fu di lepri, cervi, daini, tori e di altre1522 bestie da corno. Commodo, calato nella piazza dell’anfiteatro, ne fece una grande strage. In altri giorni uccise una tigre, un cavallo marino, un elefante ed altre bestie. E fin qui se gli potea pur perdonare. Ma da che spiegò di voler anche combattere da gladiatore, non si potè contenere Marzia dal buttarsegli ai piedi, e dal supplicarlo colle lagrime agli occhi di non isvergognare la dignità di un imperadore con quell’infame mestiere. Se la levò egli d’attorno con dirle delle villanie. Chiamati poi Quinto Emilio Leto prefetto del pretorio, ed Eletto mastro di camera, ordinò loro di preparar tutto il bisognevole. Anch’essi con forti ragioni lo scongiurarono di non andarvi; ma indarno sempre. Ad altro non servì la loro resistenza, se non a suscitargli un odio grave contra di loro, quasi che gl’invidiassero la gloria che era per acquistarsi. Erodiano non iscrive che Commodo andasse al combattimento; ma Dione, che v’era presente, ci assicura che vi comparve più volte, e combattè in quella indecente figura; e che i gladiatori fecero battaglia fra loro colla morte di molti di essi, ed anche di parecchi spettatori, che per la gran folla non poteano tirarsi indietro. I senatori, siccome era stato loro imposto erano forzati a gridare: Viva il Signore: Viva il vincitor di tutti: Viva l’Amazonio. Per altro molti della plebe non si azzardarono d’intervenire a quegli spettacoli, parte per l’orrore di mirar un Augusto sì delirante ed avvilito, e parte per una voce corsa, che Commodo volea regalarli di colpi di frecce, come Ercole avea fatto alle Stinfalidi; e tanto più perchè ne’ giorni addietro esso Augusto raunati tutti i poveri mancanti di piedi, e fattili vestir da giganti, colla clava gli avea tutti morti, per rassomigliarsi ad Ercole anche in questo. Puossi egli immaginare un più bestiale ed impazzito principe? Confessa Dione, che nè pur egli co’ suoi colleghi senatori andò esente da paura; imperciocchè Commodo, dopo aver tagliata la testa ad un passero (se pur tale fu), con essa in mano, e colla spada nell’altra andò alla volta dei senatori con torvo aspetto, ma senza aprir bocca, volendo forse far intendere che potea far loro altrettanto. A tutta prima molti di que’ senatori non sapeano contener la risa, ed erano perduti se Commodo se ne accorgea. Dione, col mettersi a masticar delle foglie di lauro, insegnò agli altri di moderarsi, e poco poi stettero ad avvedersi del corso pericolo. L’aver Commodo in appresso comandato che i senatori venissero all’anfiteatro nell’abito che solamente si usava nello scorruccio del principe, e l’essere stata nell’ultimo dì dei giuochi portata la di lui celata alla porta, per dove uscivano i morti, diede a pensare a tutti, che fosse imminente il fine della di lui vita; e così fu. Altri augurii, a’ quali badavano forte i superstiziosi Romani, racconta Lampridio1523, ch’io tralascio come cose vane. Non van d’accordo1524 Erodiano e Dione1525 in assegnare i motivi e le circostanze della morte di Commodo. Scrive il primo, che irritato il pazzo Augusto contro Marzia, Leto ed Eletto, perchè gli aveano contrastata la sconvenevol comparsa nel campo de’ gladiatori, scrisse in un biglietto l’ordine della lor morte, colla giunta di parecchi altri, e pose la carta sul letto. Entrato un nano suo carissimo in camera, avendo preso quello scritto, uscì fuori, ed incontratosi in Marzia, questa gliel tolse di mano, imaginandosi che fosse cosa d’importanza. Vi trovò quel che non voleva. Avvisatine Leto ed Eletto, concertarono tutti e tre di esentarsi da quel temporale con prevenire la mala volontà dell’iniquo principe. Nulla dice Dione di questa particolarità, ed intanto il lettore si ricorderà, aver quello storico narrato un simil fatto nella morte di Domiziano. Certamente uno di questi due racconti ha da essere falso; ed il presente ha qualche più di verisimiglianza. Dione e Lampridio scrivono che Leto ed Eletto, per timore della propria vita, sì perchè aveano davanti più specchi della somma facilità con cui Commodo la toglieva ai capitani delle sue guardie e a’ suoi mastri di camera, e sì ancora perchè conoscevano di averlo disgustato colla ripugnanza alle sue bestialità, unitisi a Marzia, tentarono prima la via del veleno, con darglielo in una tazza di vino ch’egli soleva prendere dopo il bagno. Occupato da lì a poco da gravezza di capo e da sonnolenza, Commodo entrò in letto. Era l’ultimo dì dell’anno. Venuta la notte, si svegliò, e fosse la sua robusta complessione, o pure il molto mangiar e bere dianzi da lui fatto, che l’aiutasse, cominciò a vomitare, e per secesso ancora ad alleggerirsi dell’interno nemico. Allora i congiurati, apprendendo più che mai il rischio loro, introdussero Narciso robustissimo atleta, comperato con promessa di gran regalo, che serrategli le canne del fiato, il soffocò. Sparsero poi voce, ch’egli fosse morto per accidente apopletico. In questa maniera terminò Commodo la vita sua sì malamente1526 menata, in età non più che di trentadue anni, senza lasciar dopo di sè figliuoli. Fu poi detto, ch’egli avea comandato di bruciar Roma, e che ne sarebbe seguito l’effetto, se Leto non lo avesse trattenuto. Sparsero inoltre voce aver egli avuto in animo di uccidere Erucio Claro e Socio Falcone, consoli designati1527, che doveano far l’entrata nel giorno seguente, e di proceder egli console con prendere per collega uno dei gladiatori. Dione par che lo creda; ma morto chi è odiato da tutti, nè più può far paura, a mille ciarle si scioglie la lingua. In quest’anno probabilmente avvenne ciò che narra Capitolino1528. Comandava Clodio Albino alle armi romane nella Bretagna. Fu portata colà una falsa nuova che Commodo era morto; Commodo, dissi, quale il tanta fede avea in lui, che gli avea dianzi mandato il titolo di Cesare, cioè un segno di volerlo per successore. Albino non l’accettò; venuta poi quella falsa voce, egli parlò all’esercito britannico, esortando tutti a ritornare la repubblica romana nell’antico suo stato, e ad abolir la monarchia, con toccar i disordini venuti per cagion degl’imperadori, senza risparmiare lo stesso Commodo. Di questa sua disposizione ed aringa avvertito Commodo, ch’era ancor vivo, mandò Giulio Severo al comando1529 dell’armata britannica, e richiamò Albino; ma per la morte d’esso Commodo non dovette aver esecuzione quell’ordine. Gran credito con ciò Albino si guadagnò presso il senato. Nè si dee tacere, che quando poi da Roma furono spediti pubblici messaggeri alle provincie per dar avviso che più non viveva Commodo, quasi tutti furono messi in prigione dai governatori, per paura che questa fosse una nuova falsa a fine di tentar la lor fede, quantunque tutti sospirassero che fosse vera, siccome dipoi si trovò.