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suoi privati palagi e nelle scuole gladiatorie. Gli venne in capriccio di farsi anche ammirare da tutto il popolo romano; e però fece precorrer voce, che nei giuochi saturnali, soliti a celebrarsi nel dicembre1521, egli solo volea uccidere tutte le fiere, e combattere coi più bravi dell’arena. All’avviso di questa gran novità, incredibile fu il concorso, non solo del popolo romano, ma anche da varie parti d’Italia. Quattordici dì durarono questi spettacoli. Innumerabili e di varie specie furono le fiere e le bestie, fatte venir dall’India, dall’Africa e da altre contrade, che comparvero nell’anfiteatro, e molte di esse conosciute dianzi solamente in pittura. Si aspettava poi la gente di mirare il valoroso Augusto affrontar nell’arena lioni, pantere, tigri, orsi e somiglianti feroci animali. Ma il per altro pazzo Commodo ebbe tanto senno di far guerra a tali fiere da un corridore alquanto alto, che girava intorno alla platea dell’anfiteatro. Vero è nondimeno, ch’egli di là con tanta maestria e forza scagliava aste e dardi che feriva e trapassava gli animali, cogliendo nella fronte e nel cuor de’ medesimi senza fallare. Cento lioni in questa guisa per mano di lui rimasero estinti sul campo. Il popolo tutto andava gridando Bravo e Viva; per lo che si ringalluzziva sempre più il balordo Augusto. E qualora egli si sentiva stanco, Marzia, sua cara concubina, era pronta a porgergli una tazza di buon vino rinfrescato; e il popolo, e i senatori stessi, uno de’ quali era lo stesso Dione storico, come si fa nei conviti, gli auguravano salute e vita. Un altro dì lo spettacolo fu di lepri, cervi, daini, tori e di altre1522 bestie da corno. Commodo, calato nella piazza dell’anfiteatro, ne fece una grande strage. In altri giorni uccise una tigre, un cavallo marino, un elefante ed altre bestie. E fin qui se gli potea pur perdonare. Ma da che spiegò di voler anche combattere da gladiatore, non si potè contenere Marzia dal buttarsegli ai piedi, e dal supplicarlo colle lagrime agli occhi di non isvergognare la dignità di un imperadore con quell’infame mestiere. Se la levò egli d’attorno con dirle delle villanie. Chiamati poi Quinto Emilio Leto prefetto del pretorio, ed Eletto mastro di camera, ordinò loro di preparar tutto il bisognevole. Anch’essi con forti ragioni lo scongiurarono di non andarvi; ma indarno sempre. Ad altro non servì la loro resistenza, se non a suscitargli un odio grave contra di loro, quasi che gl’invidiassero la gloria che era per acquistarsi. Erodiano non iscrive che Commodo andasse al combattimento; ma Dione, che v’era presente, ci assicura che vi comparve più volte, e combattè in quella indecente figura; e che i gladiatori fecero battaglia fra loro colla morte di molti di essi, ed anche di parecchi spettatori, che per la gran folla non poteano tirarsi indietro. I senatori, siccome era stato loro imposto erano forzati a gridare: Viva il Signore: Viva il vincitor di tutti: Viva l’Amazonio. Per altro molti della plebe non si azzardarono d’intervenire a quegli spettacoli, parte per l’orrore di mirar un Augusto sì delirante ed avvilito, e parte per una voce corsa, che Commodo volea regalarli di colpi di frecce, come Ercole avea fatto alle Stinfalidi; e tanto più perchè ne’ giorni addietro esso Augusto raunati tutti i poveri mancanti di piedi, e fattili vestir da giganti, colla clava gli avea tutti morti, per rassomigliarsi ad Ercole anche in questo. Puossi egli immaginare un più bestiale ed impazzito principe? Confessa Dione, che nè pur egli co’ suoi colleghi senatori andò esente da paura; imperciocchè Commodo, dopo aver tagliata la testa ad un passero (se pur tale fu), con essa in mano, e colla spada nell’altra andò alla volta dei senatori con torvo aspetto, ma senza aprir bocca, volendo forse far intendere che potea far loro altrettanto. A tutta