Andromaca (Euripide - Romagnoli)/Terzo episodio

Terzo episodio

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Euripide - Andromaca (420 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1931)
Terzo episodio
Secondo stasimo Terzo stasimo


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Si avanzano Andromaca con le mani crudelmente avvinte, e Molosso, in mezzo ad uno stuolo di guardie.

corifeo

Questa coppia dai vincoli stretta
dell’amore, dinanzi alla casa,
vedo io, condannata alla morte.
O donna infelice, e tu misero
fanciullo, che muori pel talamo
di tua madre, e di nulla colpevole
tu sei, né i sovrani offendesti.

andromaca

Strofe
Son qui: le mani insanguina
il laccio che le serra:
così scendo sotterra.

molosso

Madre, anch’io vi precipito,
che all’ali tue riparo.

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andromaca

Duplice è l’ostia, o príncipi
di Ftia!

molosso

Vieni a soccorrere,
padre mio, chi t’è caro.

andromaca

Giaci or sotto la terra, fra i cadaveri
cadaveri, sul petto
di tua madre, o diletto.

molosso

Che posso fare? Oh te,
oh me misero! Ahimè!

menelao

Scendete sotterra: ché figli
voi siete d’estranëa terra.
Due siete, e morrete per duplice
sentenza: te uccide il mio voto,
e quello d’Ermíone mia figlia
uccide tuo figlio. Follia
sarebbe ai piú acerbi nemici
lasciare la vita, quand’è
possibile ucciderli,
e la casa sgombrar dal terrore.

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andromaca

Antistrofe
Oh sposo, oh sposo! E lancia
e man t’avessi, o figlio
di Priamo, in tal periglio!

molosso

Qual canto trovo, o misero,
ond’io la sorte schivi?

andromaca

Ai ginocchi del principe
stringiti!

molosso
Si gitta ai piedi di Menelao e gli abbraccia le ginocchia.

                              O caro, lasciami
o caro, ancor tra i vivi!

Menelao lo respinge.

andromaca

Dal ciglio giú mi cadono le lagrime,
come di linfa cupe
stille da un’erta rupe.

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molosso

Ahi, qual rimedio, quale
trovar posso al mio male?

menelao

Perché mi ti prostri dinanzi?
È come volgessi la prece
a un flutto, a uno scoglio marino.
Per dare soccorso ai miei cari
venuto io son qui: niun affetto
per te nutro in cuore: ché io
gran parte perdei della vita
per prendere Troia e tua madre.
Adesso tu godine,
e seco in Averno discendi.
I satelliti di Menelao si apprestano ad uccidere la madre e il figlio.

coro

Già presso a noi veggo Pelèo, che in fretta
l’antico piede a questa parte volge.
Giunge Peleo, su un cocchio, e ancor da lontano comincia a parlare.

peleo

A voi dico, ed a te, che in atto sei
già di colpir, che avvenne mai? Qual morbo
piombò su questa casa? Una condanna

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senza giudizio macchinate. E come?
Férmati, Menelao, non affrettarti
senza processo.
(all’auriga).

                              E tu muovi piú rapido,
ché non è, par, tempo d’indugi; ed anzi,
ora come non mai, recuperare
vorrei le forze giovanili. E prima
m’avvicino a costei, come alle vele
prospera brezza. Di’, per qual delitto,
mentre il tuo sposo ed io lungi eravamo,
t’han di lacci costor le mani avvinte,
e te col tuo figliuol traggono? A morte
vanno cosí la pecora e l’agnello.

andromaca

Questi col figlio a morte mi trascinano,
come tu vedi. E che mai dirti, o vecchio?
Negligente io non fui, né un solo appello
io ti mandai, ma mille e mille araldi.
Forse conosci, udita l’hai, la lite
con la figliuola di costui, la causa
per cui muoio, conosci. Ed or, dall’ara
di Tètide, che tu veneri e pregi,
onde ti nacque il tuo bennato figlio,
m’hanno strappata, e a morte mi trascinano,
senza giudizio alcuno, e senza attendere
quei che son lungi, anzi cogliendo il punto
ch’io soletta ero qui col figlio mio
ch’è d’ogni colpa immune, eppure uccidere
lo vogliono con me misera. O vecchio,

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or ti scongiuro, e cado ai tuoi ginocchi,
ché le mani appressar non m’è concesso
alle tue guance venerate, salvami
in nome degli Dei: se no, morremo
per mia sciagura, e per vergogna vostra.

peleo

Sciogliete i lacci, ve l’impongo, prima
che debba ancor versare pianto: entrambe
le mani di costei sien rese libere.

menelao

Io lo vieto; e di te non valgo meno,
ed ho sopra costei maggior diritto.

peleo

Come? A fare il padrone in casa mia
vieni? Di Sparta non ti basta il regno?

menelao

Schiava di guerra è mia: l’ho presa a Troia.

peleo

Il figlio di mio figlio in premio l’ebbe.

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menelao

Sue non son le mie cose, e mie le sue?

peleo

Pel bene oprar, non per dar morte a forza.

menelao

Mai non potrai strapparla alle mie mani.

peleo

Con questo scettro il capo ora t’insanguino.

menelao

Toccami, accanto a me fatti, e vedrai.

peleo

E dunque, mai non conterai per uomo,
tristo fra i tristi? Il senno in te dov’è,
degno d’un uomo? Ti rapí la sposa
un amante di Frigia: ché i tuoi lari
senza schiavi lasciasti e senza servi,
come se in casa la piú saggia sposa
lasciata avessi, ed era la piú perfida
di tutte. E già, neppur volendo, a Sparta

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restar potrebbe onesta una fanciulla:
ché, lasciate le case, insiem coi giovani,
nude le gambe, alto succinti i pepli,
hanno comuni — usanza insopportabile —
stadî e palestre. E allor, che meraviglia
se le fanciulle oneste non vi crescono?
Dimandane, se puoi, novelle ad Elena,
che dai tuoi lari, abbandonato il Giove
tutor dei matrimonî, in terra estranea
andò, con un amante, a bel sollazzo.
E tu, per lei, tal turba accolta d’Èlleni,
ad Ilio andasti; e non dovevi lancia
muovere, ma, poiché scoperta s’era
trista cosí, sputarle dietro, e dove
si trovava lasciarla, anzi pagare
per non piú riaverla, una mercede.
Ma d’altri venti al soffio i tuoi pensieri
tu rivolgesti, e molte eroiche vite
sacrificasti, e molte vecchie prive
dei lor figli rendesti, e molti padri
canuti; ed io sono un di questi, o misero:
ché come l’assassino io ti considero
d’Achille, come il suo genio malefico:
ché da Troia tu sol tornato sei
senza ferite, e l’armi tue bellissime
come te le portasti entro i lor foderi
belli, cosí l’hai riportate. Ed io
dissi al nipote mio che non stringesse
parentela con te, che non lasciasse
entrar la figlia d’una trista madre
in casa nostra: ché per dote portano
le vergogne materne. A ciò badate,
voi che alle nozze v’accingete: a scegliere

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sposa la figlia d’una donna onesta.
E quanti oltraggi a tuo fratello poi
non rivolgesti, e lo sforzasti, stolto
piú d’ogni stolto, a uccidere la figlia:
tanto temevi rimanere orbato
d’una trista consorte. A un altro punto
ora verrò: quando fu presa Troia,
non uccidesti quella donna, quando
l’avesti in pugno; ma, veduto appena
il seno suo, gittasti via la spada,
e cercasti il suo bacio, e carezzasti
la traditrice cagna, e ti lasciasti,
fior di briccone, intenerir da Cípride.
E poi, venuto in casa di mio figlio,
mentr’egli è lungi, la metti a soqquadro,
e a morte infame questa donna misera
hai condannata, e il figlio suo, che a te
piangere amare lagrime farà
ed alla figlia tua, fosse bastardo
anche tre volte. Spesso arida terra
dà ricolto miglior di quella pingue,
ed i bastardi meglio dei legittimi
valgono spesso. E tu, pòrtati via
la tua figliuola. Un suocero, un amico,
è molto meglio averlo onesto e povero,
che ricco e tristo. E tu non vali nulla.

coro

Da piccoli princípî una gran rissa
genera spesso la parola: i savî
con gli amici perciò schivan contendere.

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menelao

Chi saggi proclamar potrebbe i vecchi
e quei che saggi un dí parvero agli Èlleni,
se tu, che sei Pelèo, nato di nobile
padre, e che meco imparentato sei,
contro te stesso vituperi avventi,
e contro noi, per una donna barbara,
che tu bandir dovresti oltre le rive
del Nilo, ed oltre il Fasi, ed esortare
a scacciarla anche me: ch’ella proviene
dalla terra Asïàna, ove de l’Eliade
e mille e mille figli spenti caddero
sotto le lancie; e anch’essa è responsabile
del sangue di tuo figlio. E invece, tu
vivi con lei sotto lo stesso tetto,
siedi alla stessa mensa, e in casa tolleri
che ti generi figli inimicissimi.
Or, mentre pel tuo ben, vecchio, e pel mio,
uccidere la voglio, io me la vedo
tolta di mano. Or tu ragiona: ché
non è vergogna ragionar. Se sterile
resta mia figlia, e figli avrà costei,
della terra di Ftía vorresti forse
eleggerli signori, ed essi barbari
comanderanno agli Èlleni? E di senno
privo sono io, che l’ingiustizia aborro,
e tu sei savio? E questo anche considera:
se tu sposata ad un dei cittadini
tua figlia avessi, e ricevesse simili
torti, staresti muto? Io non lo credo.
E tali ingiurie ai suoi congiunti scagli
per una straniera? Eppure, simili

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l’uomo e la donna hanno diritti: questa
quando lo sposo le fa torto: quello
quando la donna gli folleggia in casa.
Ma quello in mano ha una gran forza: questa
sui genitori conta e sugli amici.
Dunque, giusto non è che i miei soccorra?
Vecchio sei, vecchio. E quando tu la mia
spedizïon rammenti, assai mi giovi
piú che se taci. Ed Elena fallí
non per sua volontà, bensí dei Numi,
e assai giovò con quel suo fallo agli Èlleni,
che dell’armi inesperti e della guerra
erano, e quivi ad esser prodi appresero:
poiché di tutti gli uomini maestra
è sperïenza. E s’io, giunto al cospetto
della mia sposa, trattenermi seppi,
e non l’uccisi, saggio fui. Cosí
tu Foco1 ucciso non avessi un giorno!
Non per impeto d’ira a te rivolgo
queste rampogne, ma pel bene: quando
l’animo tuo s’infuria, a te piú piace
l’aspro linguaggio: a me giova prudenza.

coro

Cessino omai queste parole vane,
ché meglio vale: o mal ne avrete entrambi.

peleo

Ahimè, quanto il giudizio erra degli Èlleni!
Quando il trofeo dei vinti alza un esercito,

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non a chi travagliò lode ne spetta,
ma tutto il generale usurpa il merito,
che la lancia fra mille altri vibrando,
non piú compié di quanto un uomo compie,
e n’ha fama piú grande. E quei che in carica
nelle città solennemente seggono,
credon superïori essere al popolo,
e son gente da nulla. E mille volte
piú assennato di lor sarebbe il popolo,
se con senno congiunto avesse ardire.
Come ora tu col fratel tuo, di boria
gonfi per Troia andate, e pel comando
avuto là, che diveniste grandi
per le fatiche e pei travagli altrui.
Ma io t’insegnerò, ché tu non creda
che un giorno a te l’Idèo Pàride fosse
maggior nemico di quanto or ti sia
Pelèo, se tu non t’allontani súbito
da questa casa, alla malora, e teco
la tua figlia infeconda; e già di casa
la scaccerà, ghermendola alle chiome,
il mio nipote: ché, giovenca essendo
sterile, ch’altre donne partoriscano
non vuol, quando essa non ha figli. E noi,
perché fortuna non l’assiste, privi
starem di figli? O servi, allontanatevi
da lei, ch’io veda chi m’impedirà
di scioglierle le mani. E tu sollèvati,
ché le funi ritorte, io, sebben tremulo,
ti scioglierò. Cosí, tristo ribaldo,
hai le sue mani deturpate? Un bove
forse, un leone trascinar pensavi?
Che la spada impugnasse a far contrasto

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forse temevi? — Vieni qui, fanciullo,
del mio braccio al riparo, e meco sciogli
i lacci di tua madre. In Ftía, fierissimo
nemico a questi due, t’educherò.
Se della lancia il pregio, e della guerra
vi si toglie il cimento, in nulla, siatene
certi, o Spartani, prevalete agli altri.

coro

È la stirpe dei vecchi al freno indocile,
né trattener li puoi, quando s’infuriano.

menelao

Troppo alle ingiurie sei proclive. A Ftía
non venni a far sopruso, e indegnità
commettere non voglio, e non patirle.
Ora, perché tempo non ho d’avanzo,
torno alla patria mia. C’è, presso a Sparta
una città, che innanzi amica m’era,
e adesso da nemica opera. Io stringerla
voglio d’assedio, e in mio potere averla.
E quando avrò secondo il mio volere
disposte ivi le cose, tornerò.
E a faccia a faccia, allora, con mio genero
dirò le mie ragioni apertamente
e udrò le sue. Se punirà costei,
se d’ora in poi riguardo avrà per noi,
riguardo avrò per lui: se giunge irato,
troverà l'ira nostra: avrà ricambio

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conforme agli atti suoi. Quanto alle tue
parole, sopportarle è per me facile:
ché voce hai da parlar, ma un’ombra sei,
un invalido sei, ciancia e null’altro.
Parte.

peleo

Vien sotto il braccio mio. séguimi, o figlio;
e tu meschina: da selvaggio turbine
còlta, or sei giunta ad un tranquillo ormeggio.

andromaca

I Numi, o vecchio, a te fortuna accordino
ed ai tuoi cari: ché salvezza a me
recasti, e al figlio mio. Vedi, però,
che i servi di costui, tesa un’insidia
in qualche strada solitaria, a forza
non m’abbiano a rapir, vedendo te
vecchio, me senza forza, e questo pargolo
che ancor balbetta: vedi che non debbano,
sfuggita or ora, nuovamente prendermi.

peleo

La vuoi finir con questi lagni vili,
da femminetta? E chi vi toccherà?
Ne dovrebbe versare amare lagrime.

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Mercè dei Numi, e d’una fitta schiera
di cavalieri e opliti, in Ftía son re.
E in piedi ancora sto, non sono invalido,
come a te pare; e in fuga, al sol guardarlo,
metto quell’uomo. Un vecchio, quando ha fégato,
vai piú di molti giovani. A che serve
aver valide membra, ed esser vile?
Esce insieme con Andromaca e Molosso.

Note

  1. [p. 312 modifica]Foco, figlio di Eaco e della Nereide Psamate.