Correndo poi fuggir l’aspra figura 50Del padre la vedea, che conosciuta
Avea l’abominevole mistura.
Albero la vedeva divenuta,
Che ’l suo nome ritien, sempre piangendo
O ’l fallo o forse la gioia compiuta. 55Narciso vid’io quivi ancor sedendo
Sopra la nitida acqua a riguardarsi,
Di sè oltre ’l dovuto modo ardendo.
Deh quanto quivi nel rammaricarsi
Nel suo aspetto mi parea pietoso, 60E talor seco sè stesso crucciarsi:
Oimè, dicendo, tristo doloroso,
La molta copia ch’io ho di me stesso,
Di me m’ha fatto, lasso, bisognoso.
Cefalo poi alquanto dietro ad esso 65Vid’io posati aver l’arco e li strali,
E riposarsi per lo caldo fesso.
O Aura, deh vien colle fresche ali,
Entra nel petto nostro; tutto steso
Stava dicendo parole cotali; 70Ma questo avendo già Procris inteso,
Cui, ascosa, vedea tra l’erbe e’ fiori
In quella valle con l’udire inteso,
Essendo in sospezion de’ nuovi amori,
Credendo forse ch’allora venisse, 75Volle, e nol fece, intanto farsi fuori;
Tutta l’erba si mosse, e cefal fisse
Gli occhi colà, credendo alcuna fiera,
E preso l’arco suo lo stral vi misse,