Amorosa visione/Capitolo XLII

Capitolo XLII.

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CAPITOLO XLII.




Dove nel medesimo giardino trova un’altra danza, dov’era la figliuola di Carlo.


E mentre ch’io n’andava sì parlando
     Con questi due, ed ecco d’altra parte
     Molte donne gentili assai danzando.
Certo non credo che natura od arte
     5Bellezze tante formasser giammai,
     Quanto ne’ visi a quelle vidi sparte:
Tra me medesmo men maravigliai,
     Ma volto il viso a lor come venieno,
     Così nella memoria le fermai.
10Onde mi par, che quella cui seguieno,
     Danzando a nota d’una canzonetta,
     Che due di quelle cantando dicieno,
Raffigurando, era una giovinetta
     Dell’alto nome di Calavria ornata,
     15Di Carlo figlia, gaia e leggiadretta,
Reggendo quella, alla nota cantata
     Con molti degni passi a cotal danza,
     Come mi parve appresso seguitata,

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Ivi dall’alta ed unica intendanza
     20Del Melanese, che col Can lucchese
     Abbattè di Cardona l’arroganza.
Nella man della qual poi la cortese
     Donna di quel cui seguita Ungheria,
     Bellissima si fece a me palese,
25Grazïosa venendo onesta e pia,
     Con lieta fronte in atto signorile,
     Fece maravigliar l’anima mia.
Riguardando oltre con sembianza umile
     Venía colei, che nacque di coloro,
     30Che tal fïata con materia vile
Aguzzando l’ingegno a lor lavoro,
     Fer nobile colore ad uopo altrui,
     Multiplicando con famiglia in oro.
Tra l’altre è nominata da colui
     35Che con Cefas abbandonò le reti
     Per seguitare il Maëstro, per cui
I tristi duoli e gli angosciosi fleti
     Fur tolti a’ padri antichi, e parimente
     Da lui menati negli regni lieti.
40Appresso questa assai vezzosamente
     Se ne veniva la novella Dido,
     Di nome, non di fatto veramente,
Tenendo acceso nel viso Cupido;
     Di tale sposa, ch’assai mal contenta
     45Credo la faccia nel marital nido:
Ed il nome di lui di due s’imprenta,
     D’un albero, e d’un tino, e ’l paro fatto
     Dal suo diminutivo s’argomenta.

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Costei seguiva con piacevol atto
     50Donna, che del sussidio d’Orïone
     Il nome tiene quando son per patto.
O quanto ella vorria, ed a ragione,
     Vedova rimaner Partenopea,
     Di tal c’ha nome di quel c’ha menzione
55L’agosto da Dascesi; e poi vedea
     Dopo essa molte, le qua’ raccontare
     Per più breve parlar meglio è mi stea.
E com’io dissi ad un dolce cantare,
     In voce fatto angelica e sovrana,
     60Era guidata, qual di sotto pare:
In chiunque dimora alma sì vana,
     Ch’esser non voglia suggetta ad Amore,
     Da nostra festa facciasi lontana.
Lo suo inestimabile valore,
     65Che adduce virtute e gentilezza,
     A ciascuna di noi disposto ha il core
A sempre seguitar la sua grandezza,
     E lui servendo staremo in disire
     Tanto, che sentirem quella dolcezza
70Ched e’ concede altrui dopo ’l martire:
     Null’altra gioia al suo dono è iguale,
     Poichè per quel sembra dolce il morire.
Vita, che senza lui dura, non vale
     Nè più nè meno, che se ella fosse
     75Cosa insensata, o d’un bruto animale.
In quel disio adunque che ci mosse,
     Quando a noi fe’ sua signoria sentirsi,
     A sostenere inforzi nostre posse.

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Benivol poi essendoci a largirsi,
     80Sicchè e’ non ci paian le ferute
     Di te noiose, nè grave il soffrirsi,
In cui consiste la nostra salute,
     Quando parralli la dobbiamo avere,
     Dandola tosto con la sua virtute.
85L’altre poi tutte appresso al mio parere
     Rispondendo, diceano: o signor nostro,
     In te si ferma ogni nostro volere,
Tutte disposte siamo al piacer vostro.