Amleto (Rusconi)/Atto terzo/Scena III

Scena III

../Scena II ../Scena IV IncludiIntestazione 1 dicembre 2016 100% teatro

William Shakespeare - Amleto (1599 / 1601)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1901)
Scena III
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SCENA III


Una stanza della reggia


Entrano il Re, Rosencrantz e Guildenstern


RE.
Non mi piace, né è senza pericolo per noi il lasciar libero corso alla sua pazzia perciò preparatevi. Vo immediatamente a far spedire i vostri dispacci, ed egli verrà con voi in Inghilterra; le condizioni del nostro Stato non patiscono che ci esponiamo ad un pericolo che cresce ad ogni istante insieme colla sua demenza.
GUILDENSTERN.
Ci apparecchieremo. un santo e pio timore quello che é nudrito per tante migliaja d’uomini che non vivono che per Vostra Maestà.
ROSENCRANTZ.
È un dovere per ogni privato quello di difendere la propria vita; tanto più cresce questo dovere in quegli, alla cui vita se ne rannodano tante altre: Allorchè muore un re, egli non muore solo; é una voragine che inghiotte quanto gli sta presso: immensa ruota posta al vertice della montagna, i suoi raggi sono pieni di oggetti che cadendo, si frangono con essa. Il gemito di un re ha eco in un gemito dell’universale.
RE.
Preparatevi senza indugi a questo viaggio, ve ne prego. Vogliamo por fine a questo timore che ora troppo ci opprime.
ROSENCRANTZ e GLTILDENSTERN.
Ci affretteremo. (Escono Rosencrantz e Guildenstern.)
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Entra Polonio


POLONIO.
Sire, egli va nel gabinetto di sua madre; io mi nasconderò dietro gli arazzi per udire il loro colloquio; sono sicuro che egli lo rampognerà forte. E come voi mi dicevate, e dicevate saviamente, è bene che qualcuno, oltre la madre (disposta da natura alla parzialità), ascolti ciò che diranno. Addio, mio sovrano; verrò da voi prima che vi corichiate, e vi dirò tutto quello che so.
RE.
Grazie, mio amico. (Polonio esce.) Oh la mia colpa è grave. Essa grida al cielo ed ha con sè la prima, la più antica delle maledizioni, l’uccisione di un fratello! Non posso pregare, sebbene il desiderio sarebbe in ciò pari alla volontà; il mio delitto vince la mia intenzione, e come colui che é volto a due uffici, sto incerto da quale incominciare, e li trascuro entrambi. Ma che? Se anche su questa mano maledetta il sangue fraterno fosse rappreso in copia cento volte più intensa,1 non vi sarebbe rugiada abbastanza in quel dolce cielo per detergerla alla bianchezza della neve? A che vale la misericordia, se non può perdonare l’offesa? e quale è la virtù della preghiera se non ha la doppia efficacia di prevenire le nostre cadute, o di ricomprarcene? Solleverò dunque gli occhi al cielo: il mio fallo è passato. Ma, oh, a quale forma di preghiera avrò ricorso? Perdonami l’orrenda uccisione!... Ciò è impossibile finchè posseggo le cose per cui la compiei: la mia corona, la mia sposa, la mia ambizione. Può ottenersi perdono ritenendo il frutto della colpa? In questo mondo corrotto, la mano indorata del delitto può allontanare la giustizia, e spesso si vede il reo comprar la legge col prodotto del suo misfatto; ma questo non incontra in cielo. Ivi non è frode alcuna, ivi l’azione si mostra nella sua vera sembianza, e raffrontati colle nostre colpe, ci è forza di confessarle. — Che mi rimane allora? Sperimentare l’efficacia del pentimento. Che non può esso fare? Pure che può fare con chi non sa pentirsi? Oh doloroso stato! Oh coscienza nera come la morte! Oh anima sepolta nel fango, in cui ti immergi tanto più, quanto più ti adoperi per uscirne! Angeli, soccorretemi, ponete a prova per me la vostra potenza. Piegatevi, ginocchia ribelli! e le tue fibre di acciajo, o mio cuore, divengano molli come i nervi di un lattante. Tutto può riuscire a bene!... (Si ritira da un lato e si inginocchia.) [p. 63 modifica]

Entra Amleto


AMLETO.
Ora potrei farlo, il momento è propizio, egli prega, ed ora lo farò... ma così va in cielo, e sono io per tal modo vendicato? A questo vuol badarsi. Uno scellerato mi uccide il padre, ed io suo solo figlio mando perciò in cielo quello stesso scellerato. Oh sarebbe un guiderdone, non una vendetta! Egli uccise mio padre mentre usciva dai piaceri del banchetto, pieno di peccati, vivi e rigogliosi come il maggio; e chi sa, fuori dal cielo, qual conto potesse dare di sè?... Ma non v'è forse ragione di credere che un gran castigo gli sia stato riserbato? Or mi vendico io uccidendo costui mentre purifica la sua anima, mentre egli è nelle migliori condizioni pel suo passaggio? No, rientra nel fodero, mia spada, e apparecchiati a vibrare un colpo più orribile. Quando sia ebbro, addormentato o in un accesso di collera, o nei piaceri incestuosi del suo letto, o al giuoco, o colla bestemmia alle labbra, o in qualche atto che non dia speranza di salvazione, allora, allora percuoti onde il cielo gli si chiuda dinanzi,2 e la sua anima sia maledetta e nera come l'inferno in cui precipita. — Mia madre mi aspetta... Questa medicina prolunga soltanto i tuoi infermi giorni. (Esce.)


Il Re si alza e si avanza.


RE.
Le mie parole si innalzano, i miei pensieri rimangono a terra; né mai le parole senza i pensieri poterono salire al cielo. (Esce.)
  1. Se il sangue del fratello ci fosse più grosso che ella non è
  2. Onde i suoi calcagni diano un calcio al cielo, cioè volga a questo le spalle