Prologo

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Anna Comnena - Alessiade (1148)
Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1846)
Prologo
Alessiade Libro Primo
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P R O L O G O




I. IL tempo irreparabilmente passando con sempre vigoroso discorrimento, porta, sconvolge e trascina seco, vincitore d’ogni indugio ed ostacolo, dal nascer loro tutte le cose, e mette in obblio, senza distinzione, così le meno come le più meritevoli di memoria, sospingendole in mortifero gorgo a sommersione; e con volubile ed inconstante varianza (giusta la tragedia1) ora dalle tenebre sviluppa le ignote, ed ora avviluppavi le sapute da prima. Se non che la istoria, qual mole d'insuperabile fortezza, li contrasta, non dirò già arrestandone il precipitoso corso, ma certamente impedendo che molte delle geste avvenute in esso [p. 4 modifica]cadano in dimenticanza; sceltene pertanto alcune, ordinate e scritte, fa sì che non profondino nel leteo gorgo.

II. Tali pensieri nella mia mente ravvolgendo io Anna, figlia degli imperanti Alessio ed Irene, nata e cresciuta nel Porpora2, non ignara di lettere, e pervenuta con intenso studio ad impossessarmi della greca favella, nè affatto manchevole de' rettorici ammaestramenti; versata di più nelle Aristoteliche arti in uno co' dialoghi Platonici, e non priva di alcuna delle quattro discipline onde sogliono elegantemente ornarsi le menti degli addottrinati (con buona venia siami accordato di così parlare, forse con soverchia arroganza, di me stessa e di facultadi, che derivatemi comunque o dal talento, o dallo studio, o dal favore del Nume, o da propizia ventura, pure non indarno in me riunironsi perchè potessi compilare e trasmettere alla posterità questa narrazione), ho deliberato di rendere pubbliche le geste del mio genitore, nè solo quelle che, di già in trono, sotto de' proprj auspicj avvennero, ma le operate ben anche da lui prima di porsi il diadema, e solo annuendo [p. 5 modifica]agli altri Principi, entrambe per verità immeritevoli di essere condannate al silenzio, e trasportate dalla corrente del tempo nel pelago dell'obblio. Scevera poi da ogni brama o speranza di ostentare dottrina, solo fummi di eccitamento a cosiffatta impresa la brama di trasmettere alle genti future avvenimenti che in cotanto numero e di così varia natura concorsero ad ordire la vita di mio padre, nell'una e nell'altra fortuna spettatissimo personaggio; le cui opere e vicende appalesaronlo esperto non meno del comandare che dell'obbedire, fin dove sia lecito e necessario, ai comandanti. Che se queste cose e le altrettali comunque non sieno ricordate dalle testimonianze degli scrittori vanno senza più smarrite infra le tenebre del silenzio.

III. Per altro negli stessi esordj d'una così ardua impresa ed esposta alle spiacevolezze di contrarie accuse, destasi in me la tema che nel narrare le imprese di mio padre al produrne di commendevoli non siavi chi reputi quanto dico madornali menzogne, oltraggio alla verità, amore della domestica e propria gloria; ed e converso se l'argomento mi porterà talora a rammentarne un che men degno di approvazione, abbianvi spiriti inchinevoli alla maldicenza, i quali mi [p. 6 modifica]rinfaccino l’esempio di Cam, figlio di Noè, propagatore della paterna sconvenevolezza3. Se non che a riparo di cosiffatte insidie tesemi da ambe le parti procederò con animo predisposto, e compatendo alle cieche menti l’impotenza di scernere infra il retto ed il turpe, e quel discorrer loro, tratte da invidia o brama di biasimare, coll’eguale precipitanza ogni argomento, ed aggravare di colpa, come dice Omero4, gl'innocenti petti, mi terrò, a fe mia, entro i limiti della storica professione, da cui viene interdetto sdegno o favore a chi procaccia di tramandare alla posterità colle lettere la memoria delle cose operate, e comandato di essere giusto dispensatore di biasimi ed encomj anche grandissimi verso de' meritevoli, e nullamente arrendevole all'amicizia ed alla consanguineità, alle nimicizie ed agli odj.

IV. Laonde esorto i nemici a sperare ed i cittadini e gli amici a temere, promettendo trattare ognuno di essi a norma di quanto egli operò o rettamente, o in contrario modo. Esorto poi entrambi, così quelli che dovrò offendere, perchè meritevoli di riprensione, come gli altri, i quali [p. 7 modifica]meco si concilieranno allettati forse dalle commendazioni, di non trarre motivo di letizia o di lamentele anzi dal mio giudizio che dalla verità e fedeltà dell’esposto. Nè addosso di me chiosatrice d’una pubblica rimembranza, sotto la censura di testimoni oculari, parte de’ quali esistono tuttavia, e parte furono de’ viventi o genitori o institutori od avi, e fornita di valide pruove in conferma di quanto asserisco, opinino doversi versare la colpa di questa o quella piega che prenderà la mia narrazione, rispondente appuntino alla verità delle narrate geste.

V. Ora m’è uopo manifestare per quale congiuntura sienmi pervenute le più esatte notizie delle paterne imprese. Io ebbi a marito legittimo Niceforo Cesare, la cui schiatta retrocede infino ai Brienj, uomo ben superiore ad ogni altro de’ suoi tempi e per venustà di forme, e per somma prudenza, e per affinamento di dottrina, apparendo un vero prodigio a tutti coloro cui era dato il vederlo ed ascoltarlo. Ma per non soverchiamente digredire torniamo a bomba.

VI. Questi, sopra ogni altro chiarissimo, prestando i suoi militari servigi a Giovanni Augusto, mio fratello, in più guerre contro ai barbari, come pure in quella contro l’antiocheno presidio, e [p. 8 modifica]mal comportando infra le guerresche fatiche stesse di abbandonare le lettere, alla farragine di sue cure aggiugneva, come e quando venivagli da loro accordato, quella di far commenti; e di questo modo condusse a termine molte opere meritevoli d’encomj e di pubblicazione; ma principalmente, animato dall’Augusta, si diede a scrivere le gesta di mio padre Alessio imperatore de’ Romani. Allorchè dunque le militari faccende accordavangli un qualche agio e riposo e’ dedicavalo con fermo proposito a comporre diligentemente i libri che doveano serbare la memoria delle cose operate da Alessio, ed in ispecie di quelle eseguite da lui già in trono. Egli pertanto esordisce la sua narrazione dall’età di Diogene imperatore de’ Romani, giusta la domanda e il consiglio avuto dalla nostra Augusta e, tenendo dietro al correre degli anni, si porta col suo dire a colui, che in ispezieltà erasi proposto di celebrare.

VII. E di vero imperante Diogene cominciò a svilupparsi l’ottima indole del mio genitore, a que’ dì appena entrato nell’adolescenza, prima della quale età, se non vogliamo abusare del riposo e dello stilo commentando inezie e fanciullaggini, va privo l’uomo di quanto può innalzarlo [p. 9 modifica]di maniera che sia grandemente celebrato. Tanto egli si propose ad argomento e tema del suo scrivere; ma di tali speranze diedero in secco, non avendo potuto condurre a termine tutto il divisato lavoro; conciossiachè giunto colla sua narrazione ai tempi dell’imperatore Niceforo Botaniato mancò ai vivi con grave danno della istoria e de’ lettori, prive rimanendosi quelle geste della luce grandissima che acquistar potevano dall’ingegno di lui, e venendo meno il diletto che dallo svolgere l’eruditissima opera le addottrinate menti prendean giustamente fiducia di conseguire. Poichè tutti coloro cui fu dato l’assaporarne il pregio, leggendo brani di qualunque suo opuscolo, di buon grado non gli rifiuteranno meco eleganza nella tessitura del discorso, e soavità di elocuzione e stile.

VIII. Ita di questo modo in dileguo sì grande speranza, ad impedire che alle paterne imprese mancasse il suffragio d’un autore comunque, o che gli scritti del mio consorte, in paese straniero, tumultuariamente ed infra lo strepito delle armi di fretta estesi, nè per ancora compiuti, venissero così imperfetti avvolti in perpetue tenebre, io stessa mi vidi inanimata, e meglio direi costretta, a far succedere in questo lavoro l’opera [p. 10 modifica]mia a quella del perduto consorte. Il quale unitamente alle prefate scede portò seco dal campo, misera me! un irreparabile morbo, derivatogli forse dal crudo tenor di vita e dai molti disagj, inseparabili compagni della rigida sua professione; forse dai travagli e dalle assidue fatiche delle battaglie e cotidiane zuffe; e forse, aggiungerò, dall’incredibile affetto e premura verso la mia persona, venendo incessantemente molestato dalla brama di avermi accanto. Se pure non darei meglio in brocco dicendo che tutte queste cose in uno, la sua onninamente connaturale sollecitudine, le malagevolezze senza tregua, la varietà del clima e delle stagioni, i difficili eventi; così numerosi motivi congiurati alla rovina di tanta virtù abbiangli porto, ah dolorosa rimembranza! il mortifero nappo.

IX. Checchè ne sia, rimasosi con forte animo compagno e partecipe della spedizione contro i Sirii ed i Cilici, quantunque ne lo distogliesse il peggioramento della sua malsania, costretto nondimeno a cedere all’aggravantesi languore, ed a riparare da ultimo in patria, venne primamente tradotto così infermo e con enfiagione intestinale derivatagli dall’assidua tolleranza di tanto improba fatica, dalla Siria nella Cilicia, quindi nella [p. 11 modifica]Pamfilia, nella Lidia e nella Bitinia. In tale stato bramoso tuttavia di narrare gli eventi di quelle sue geste, in parte non potè, impedito dal morbo, eseguirlo, ed in parte fugli da noi vietato, con ragione tementi non, per lo sforzo del favellare, la piaga, esacerbandosi, gli accelerasse l’estremo fato. Ora a me, che torno qui a rammentare que’ funestissimi tempi, l’animo riempiesi di tenebre, e torrenti di lagrime sgorgano dalle affievolite luci.

X. Deh qual ottimo consigliere perdè la romana repubblica in Cesare Brienio! Chi giunse mai dall’uso e dal maneggio degli affari a procacciarsi maggiore esperienza? A simile, chi fu meglio di lui versato nelle scientifiche meditazioni, nella lettura e varia erudizione, vuoi quella fuori stato, voi quella presso di noi? Oltre di che quanta venustà risplendea in tutta la sua persona, diffusa per l’intera compage delle sue membra! avvenenza e forme degne non solo, come dir sogliamo, d’impero, ma tal quale divina maestà spiranti!

XI. Nè sono io certamente inesperta de’ mali, fatta bersaglio in tutta la mia puerizia di altre molte e gravi calamità; poichè, messo da banda lo splendore di nascere da augusti genitori, ed il [p. 12 modifica]Porpora in cui m’avvenne di andar carpone, se taluno rivolge il pensiero alle altre cose nostre di leggieri verrà in chiaro che la propizia fortuna di colpo dalle regali culle e fasce, quasi dopo breve e perfido solleticamento, oscurato il suo volto non iscagliò in appresso nel resto del viver mio che nembi e procelle. Da quali e quanti flutti, in mia fe, non venni agitata, e da quanto intensi e crudeli urti e ripercotimenti non fui travolta! È fama che Orfeo col suono della sua lira desse moto alle rupi ed alle selve, come pure alla rimanente natura priva di senso; a simile, che il flautista Timoteo 5 coll’eseguire alla presenza di Alessandro l’Ortis 6, così tanto infin dagli imi precordj lo commovesse da farlo correre precipitosamente alle armi ed alla spada. Ora io se procedessi colla narrazione delle mie sciagure spererei d’indurre l’uditore non al moto o al corso, nè alle armi o alla pugna, sì bene al pianto. Ma che dico l’uditore? gli stessi animali comunque, le cose stesse manchevoli di anima e di [p. 13 modifica]sentimento sono d'avviso desterebbonsi con tale racconto a pietà de’ casi miei.

XII. Quantunque poi le sofferenze in mia vita sieno state molte e varie, pure la inopinatissima perdita del mio Cesare cotanto le soprasta, e per lei tale una ferita m’è penetrata così profondamente nell’animo, che tutte le antecedenti sciagure postevi a confronto soglio considerare non più che una goccia o stilla d’acqua rimpetto al mare Atlantico ed agli Adriatici flutti. Quelli prodromi e rudimenti di sinistri preconizzavano calamità assai più grande: erano essi il fumo di questo fuoco, ed in que’ miei patimenti mi travagliava il solo precursore e tollerabile vapore d’un immenso e lontano incendio, la cui fiamma ora mi consuma. Oh fuoco ardente senza materia! fuoco ascoso con segreta facella sotto i più reconditi penetrali dell'animo, e bruciante, in mia fe, ma non struggente! Fuoco incendiatore del cuore senza offesa della persona, lasciandola in vita e gagliardia, massime quando la veemenza della sua fiamma ebbe raggiunto ed ossa e midolle, e perfino l’ammezzamento dell'anima. Sentomi già da passioni di famiglia trasportata a lamentele opposte al divisato scopo, ed a ciò m’addusse il mio Cesare fattosi per fortuita [p. 14 modifica]rimembranza presente al pensiero, mai sempre coll’animo travagliato, composto a duolo eterno, e ad ogni maniera di conforto inaccessibile.

XIII. Asciugherò impertanto le lagrime, e distolta come potrò la mente dal lutto e dai gemiti, la rivolgerò ad divisato lavoro, e sebbene l’eseguimento e la meditazione di esso addivenganmi cagione d’una seconda vena di pianto, mi procaccerò tuttavia (giusta il tragico detto7) doppie lagrime, dovendo quasi per alleviare il penoso sentimento d’una morte passar colla mente ad altra, vo’ dire a quella del padre mio, Nè v’ha dubbio che la sposizione stessa della vita di così grande imperatore e fregiato di tante virtù sia per riprodurre tratto tratto il diletto di quelle ammirabili imprese, la cui vista ed utilità rendevano, lui vivente, beati i mortali; ed ora, con grave dolore perdutolo, mi struggono ed obbligano a versare continue lagrime, delle quali, m’è uopo credere, meco piglierà parte l’orbe intero; poichè sebbene il descrivere e sottoporre agli altrui sguardi l’imagine dell’imperio d’Alessio, rimembrando un domestico infortunio, debba riuscire a me [p. 15 modifica]specialmente un deplorabile argomento, lo sarà pure, considerato il pubblico danno, funesto e lagrimevole agli altri. Ma diasi una volta principio alla istoria delle geste paterne, e di là muova il discorso d’onde ottener possa evidenza storica maggiore.

  1. Sofocle - Aiace flag.
  2. (Πορφύρα). Appartamento nell'imperiale palazzo destinato ai parti delle imperatrici. V. Constantino Manasse nel Cronico.
  3. V. Genesi, c. 9, v. 9.
  4. Iliade, α' v. 653.
  5. Il tebano, essendovi stato un altro flautista dello stesso nome. (Luciano).
  6. Specie di sonata acutissima. (Pint.).
  7. Euripide, Ecuba, v.518.