Alcune lettere familiari/Al medesimo IX
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al medesimo
Alla lettera di V. S. io risponderò parte per parte, che facendo altrimenti il mio cervello avvilupperebbe. Dunque dico, che mi consolo sentendo che Tamborino1 può tenere alcuna parte nelle glorie di Fassolo2. Ma la signora Maria Giovanna non dee render grazie della scrittura, anzi dee essere ringraziata, perciocchè senza una simile occasione della padrona il cane poteva lodarsi che bene rodesse un osso, lo veramente, se mi viene alcuno spirito di allegrezza, voglio fare alcuna giunta, sicché Fassolo possa mettere le ali oltre il paese. V. S. dite avere composto un poemetto, quanto alla maniera, da Ciampoli: io affermo il già detto, la via de' Greci non mi pare che debba abbandonarsij ma affermo tuttavia, che altri non dee farsi servo, ma che un ingegno fiero dee seguitare sue vaghezze e mostrare bravura, e ciascuno faccia cammino a sua voglia. Per mille strade vassi in Parnaso: forse l'Ariosto sarebbe minore di sé stesso se avesse ubbidito ad altri che a se. Lodo V. S. che si guardi, e duole che lo stomaco non si può sollevare in pochi giorni; e quando egli si atterra, tira la persona con esso sé. Due cose consiglio, o tre: partire il nodrimento, e non perdere un pasto, perciocché l'altro si fa troppo grasso; non bere freddo, ma fresco; e non innamorarsi di vino dolcissimo, perciocché egli vizia il fegato da cui poi è viziato lo stomaco. Nè mi si dira che sono gravi imprese: la sanità é la più bella dama del mondo, e per suo amore ogni cavaliere dee sostenere ogni qualunque pena. Delle cose di Roma io non posso salvo lodare sommamente la sua prudenza: il modo ch'ella tiene, lo può fare giocondo: ma giù non può mai porlo in tristezza. Io soglio meco dire in simili occasioni con Dante, Ben se traggono a colpi di fortuna. Rimane il particolare della poesia: io sento i miei errori con l'error di V. S., se pure amare la maggior gentilezza che sia fra gli uomini puossi chiamare errore. Non fu mai uomo più destinato! alla poesia di me, nè uomo che per condizion di suo stato dovesse meno appigliarsi a lei: e pure per prova sento che sarei senza lei vissuto dolente, là dove con esso lei sono vissuto lieto e giocondo. È buona scorta la natura: mille si sono risi di me, i quali tutti io stimo come porci in brago. Che domine si vuole, salvo vivere e lasciar segno elio si è stato in vita? La carta m'abbandona, e però dico, che é da vivere secundum genium. Io mi mantengo melanconico che non sono costì; caetera lactus. A V. S. ec.
Note
- ↑ Forse nome del cane col quale scherza in progresso di questa lettera.
- ↑ Il palazzo dei Giustiniani a Fassolo è presso le vecchie mura di Genova, nè discosto gran fatto dalla chiesa di s. Teodoro. A questo delizioso soggiorno sopra la porta della camera dove solea abitare il poeta, il Giustiniani avea fatto scolpire il seguente distico:
Intus agit Gabriel, sacram ne rumpe quietem:
Dum strepis, ah periit nil minus Iliade.