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del chiabrera 591

al medesimo


Raccomando le alligate e me medesimo, se fa bisogno, a V. S. Mi desidero costi alle allegrezze della nobile compagnia, che a me non soffre l'animo di desiderare ella qui all'eremo. Tutto il popolo si ammosta, io solo mi attuffo nell'acque d'Ippocrene, non trovando modo di passare i giorni con altro conforto, non essendo forte a pensare su la scrittura oltramondana. Ho dato ordine, ovvero disordinato, molte delle mie ciancie, spezialmente l'Amedeida ho ridotta a quella forma che da prima componendola le diedi; nè ho fatto altro che riseccare quelle parti, le quali amici, ed il duca medesimo, mi sforzarono a giungere, riguardando più al secolo presente che ad altra ragione: io vorrei dare soddisfazione a chi s'intende del mestiere. A' popoli sono assai volumi, i quali danno giusta maraviglia, ma essi non serrano poi la bocca altrui in alcune parti. Ora non deesi egli formare una poesia eroica eroicamente? oh ella non piace! E non piaccia, ma chi puà farsene certo indovino? Il tempo volgere seco mena molte maraviglie, ed a me ne cale fino ad un segno, oltra il quale mi rido di ogni cosa, lo mi reggo a malgrado degli anni, e per queste arie autunnali mi ricreo con vino non dolce no, ma rifrescato con alquanto di neve, e cosi consiglio ad imitarmi.

Savona, 1635.


al medesimo.


Dello stomaco non conviene dir male, ma castigarlo, e che il castigo glielo dia il cuoco con commissione del medico. Che a V. S. dispiaccia carnovale, io il credo ed è a ragione. Egli è un assassino, fa come le belle dame, ci alletta, e poi ci tormenta. Ora io dico, che Orazio è fra' latini molto riguardevole poca: se si esaminano le Odi fatte per celebrare i Grandi Romani sarà forza pregiarle non poco, ma se elle si porranno a fronte a quelle di Pindaro, perderanno, siccome anco perde Virgilio con Omero. In Parnaso vassi per più vie, e tutte guidano per colà, ma tale è più larga e più fiorita ed ha più del nobile, ed e buon consiglio attenersi a quello a cui la natura ci chiama Orazio è molto pensoso sulle sue scritture, colto di lingua, eccellente in dare gli aggiunti, non è scarso di gnome, sì disvia dalla sua materia e sullo fare (si fatte condizioni sono da celebrarsi), nulla ha di soverchio, e non mai é diverso da sé medesimo io stimo che tutto ciò sia quello che possa mettersi in conto delle sue glorio. Ma oggi gl'ingegni cotanto sublimi vogliono apparire, che se le scritture non volano sopra le nuvole, diresi ch'elle strisciano sul suolo, e non è cosi. Puossi essere reo per troppo andare altamente: io tengo si fatta opinione, perchè fa pei me che le cose mezzane si lodino, anzi lo basse, lo ho patito pei una freddura malvagissima, pei la quale le gote mi si gonfiarono in modo ch'io somigliava a Boote. Ho preso guardia da tutto, fuor che dal vino, e questa medicina hammi guarito. Ora sono gagliardo e niente cagionevole. Farommi vezzi per venire bravamente a godere loggie, chiese, prediche, musiche. Delle poesie io taccio, perchè mi vergogno di confessare d'essermi loro ribellato, siccome si vergognerebbe un frate ad uscir e fuggire di convento. Sento che Toscana é disbandita, ed è purgata come oro fino. Io, se piace a Dio, penso di fare colà maggio, e poi settembre in Genova, e quivi penserò e discorrerò con V. S. del mio vivere. Desidero stampare quelle poesie le quali a me paiono meno infami, che si richiudono in due volumi di canzoni, e in uno di varj componimenti, ed in un breve numero di poemetti. Dell'avanzo io lascierò il peso sulla coscienza degli amici, che arderlo non ne posso far nulla essendomi uscito di mano. Ben è vero, che l'Amedeida io ho ristretta, ed ella stamperassi con Firenze e con Ruggiero. E ben vero che tutte queste parole non empiono tanti fogli, quanto ne empie il canzoniere del Petrarca. Ho fatto un bel cicalare. Mi perdoni, si governi, scrivami, e mi faccia caro a coteste mie signore, e tutti Dio benedetto tenga in sua guardia.

Di Savona, 16 febbrajo.


al medesimo


Alla lettera di V. S. io risponderò parte per parte, che facendo altrimenti il mio cervello avvilupperebbe. Dunque dico, che mi consolo sentendo che Tamborino1 può tenere alcuna parte nelle glorie di Fassolo2. Ma la signora Maria Giovanna non dee render grazie della scrittura, anzi dee essere ringraziata, perciocchè senza una simile occasione della padrona il cane poteva lodarsi che bene rodesse un osso, lo veramente, se mi viene alcuno spirito di allegrezza, voglio fare alcuna giunta, sicché Fassolo possa mettere le ali oltre il paese. V. S. dite avere composto un poemetto, quanto alla maniera, da Ciampoli: io affermo il già detto, la via de' Greci non mi pare che debba abbandonarsij ma affermo tuttavia, che altri non dee farsi servo, ma che un ingegno fiero dee seguitare sue vaghezze e mostrare bravura, e ciascuno faccia cammino a sua voglia. Per mille strade vassi in Parnaso: forse l'Ariosto sarebbe minore di sé stesso se avesse ubbidito ad altri che a se. Lodo V. S. che si guardi, e duole che lo stomaco non si può sollevare in pochi giorni; e quando egli si atterra, tira la persona con esso sé. Due cose consiglio, o tre: partire il nodrimento, e non per-

  1. Forse nome del cane col quale scherza in progresso di questa lettera.
  2. Il palazzo dei Giustiniani a Fassolo è presso le vecchie mura di Genova, nè discosto gran fatto dalla chiesa di s. Teodoro. A questo delizioso soggiorno sopra la porta della camera dove solea abitare il poeta, il Giustiniani avea fatto scolpire il seguente distico:
    Intus agit Gabriel, sacram ne rumpe quietem:
    Dum strepis, ah periit nil minus Iliade.