Alarico Carli/La battaglia di Montanara
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29 Maggio 1848
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La battaglia di Montanara
29 Maggio 1848.
Alle lettere sopra trascritte, fece seguito un’altra al fratello, datata da Montanara 31 Maggio 1848, la quale contiene la narrazione della battaglia, narrazione importantissima, anche dal punto di vista storico, perchè dettata da un testimone oculare, lettera che pure riportiamo nella sua integrità.
31 Maggio 48.
- Caro fratello,
Sì, ci battemmo da eroi! Con queste parole cominciai l’altra mia datata del 30 da Marcaria, e te lo dissi perchè lo sentii dire a un Colonnello Ungherese che ferito facemmo prigioniero, e dal nostro caro Giovannetti. Ora sono con altri 19 di guarnigione a Tesoglio, i nostri sono 2 miglia distanti a Bozzolo. Ma se faccio così non ti dico nulla e però comincio fin da primo. Smontai dai posti avanzati il giorno 29 alle 8 e mezzo, ed arrivato alla caserma mi misi senza pensare a mangiare col Pontecchi a fare un rapporto contro.... che avevamo avuto di guardia con noi e ci aveva in molti modi insultato. Era per finire questo rapporto ed ecco tra-tra-tra suona la Generale. Sacco a dosso e via, ci si schiera alle barricate, s’imposta alla troniera un Obis che ci aveva mandato De-Laugier, e si aspetta a tiro i tedeschi che si erano fermati a mettersi in ordine di attacco. Un prigioniero ungherese che venne in questo tempo ci disse che avremmo da far molto perchè son molti. Alle 10 fummo attaccati col cannone, nel medesimo tempo fu attaccato Curtatone e S. Silvestro. I nostri bravi bersaglieri uscirono dalle barricate comandati dal povero maggior piemontese Beraudi, e dopo alquanto tempo cominciarono a far fuoco dalla parte di S. Silvestro, quindi dalla nostra sinistra, a pochissimo da noi. Il fuoco era vivissimo da tutte le parti, e le palle di cannoni, razzi, bombe ed altre diavolerie ci chiacchieravano sopra le teste nostre in modo che per allora ci facevano udire, e cantavamo tutti di gioia. Da Curtatone venne De-Laugier, il Generale Bava per incoraggirci e tutto il campo echeggiò di evviva. Dopo averci lasciati colle lacrime agli occhi, e che noi credevamo di consolazione, esso ritornò a tutta carriera a Curtatone. Da codesto punto cominciarono i nostri feriti, e fu mandato ai bersaglieri un rinforzo e nuove munizioni perché alcuni avevano dovuto abbandonar la mischia per venire a prenderle. Ardendo io con alcuni altri di attaccarci, non essendo cominciato il fuoco ancora alle barricate togliemmo il permesso al coraggioso Antinori per portar cartuccie ai Bersaglieri. Infatti traversammo la strada dove fioccavano le cannonate e andammo al treno ad empirci di cartucce e via a gambe fuori delle barricate. Passando da un cancello una palla ruppe i pilastri che lo reggevano e passò dinanzi a noi. Usciti dalle barricate trovammo i nostri che erano respinti da innumerevole e compattissimo plotone Tedesco che inoltrava nel mezzo al grano e fra gli alberi. Andavamo soccorrendo di cartucce chi veniva a prenderle e facemmo fuoco anche noi, nè ci ritiravamo dentro alle trincee benchè a tutta voce Beraudi ci richiamasse. Ma battè il tamburo per noi, e cominciò un fuoco più che fortissimo dalle barricate, così che essendo troppo pericoloso il restare fra due fuochi rientrammo portando o meglio trascinando con noi quanti più feriti dei nostri potemmo. A me toccò il povero Clearco Freccia a cui una palla passò il cibernino ed entrò nel ventre. Il Paganucci a cui lo consegnai all’Ambulanza mi disse esser mortale. Abbi giudizio a dirlo a Palmiro che forse potrà avvisare suo fratello. — Vedendo i Tedeschi le nostre schiere corsero avanti alla baionetta e furono respinti dal nostro fuoco per ben due volte. Si avanzarono la terza, allora il capitano Antinori, il Fabbroni, e non so chi altri col Beraudi saltati sulle barricate ci animarono inseguire i Tedeschi. Saltati fuori con urli grandissimi li trovammo a 20 e pochi passi più da noi e li facemmo fuggire. Qui moltissimi dei nostri morirono da eroi. Il povero Beraudi cadde a poco da me, poi altri miei due amici che mi erano accanto, nell’inoltrarmi altri tre mi caddero ai piedi, e già si camminava sui morti tanto era il numero fra i nostri e i nemici. Uno ne ammazzai anch’io che feroce alla baionetta mi veniva incontro. Gli tirai alla distanza di 12 passi per esser sicuro di ammazzarlo e lo vidi cadere, e gli saltai addosso per prendergli qualche cosa, ma ripensando al pericolo che mi circondava mi sdraiai in terra accanto e mi contentai di prendergli il porta baionetta che primo mi dette alle mani facile a tagliarsi. In questo tempo erano già le 4 pomeridiane Curtatone sopraffatto dal numero aveva ceduto, ed i nemici passati di lì erano arrivati ad assaltarci alla porta di Montanara dietro di noi. Eravamo circondati. Battè la ritirata e questa fece in tutti gran sensazione. Infatti ordinatici in ritirata a stento passata la porta un cannone nemico ci mitragliava di fronte e Giovannetti comandando che inoltrassimo sui prati ai fianchi del nemico perchè i nostri cannoni lavorassero capimmo tutti che era tempo di fuggire e disordinati ci trovammo, da un altra parte a fronte del nemico. Fu fatto il quadrato ma fu rotto colla mitraglia. Allora i Napoletani si misero a gambe e ci salvarono tutti. Buono però fu di tentare di far passare i fossi ai nostri cannoni con i cavalli morti quasi tutti, pure tentammo, ma dopo uno ne trovammo un altro e dovemmo abbandonarli mezzo rovesciati allorchè una cannonata uccise quasi una trentina dei nostri cannonieri a cui aiutavamo coll’Antinori. Giovannetti il primo ad avanzare, l’ultimo a retrocedere gridava alto alto un altra volta, ed io chiamai l’Antinori che mi era vicino e con pochi altri corremmo a lui, ma il nemico incalzava ed eravamo soli, così che Giovannetti ci disse è tempo di salvarsi. Ma progredendo avevamo dietro ai fianchi il nemico. Eravamo quasi alle Grazie e costà trovammo resistenza anche di fronte dalla cavalleria ulana e fanteria croata, così che dovemmo sempre scappare per campi siepi e fosse dove potevamo credere meno nemici. La ritirata ci costò più assai della battaglia, perchè molti anche caddero sfiniti dalla fatica pei fossi dove il diaccio dell’acqua li levava i sensi ed era già il sole tramontato. Molti nel pantano restarono scalzi altri anche senza calzini e un napoletano nudo affatto. Ora con Napoleone noi possiam dire, le palle che dovevano ucciderci non son fuse. Molti la stessa sera passarono l’Oglio e andarono chi a Gazzoldo, chi a Viadana passò anche il Pò: chi restò a S. Martino e chi a Bozzolo, i meno con Giovannetti a Marcaria. Ora molti vili non voglion tornare ad unirsi con noi, ma gli è impedito passare il Pò dai Parmigiani che hanno ordine di toglier loro le armi ed arrestarli come disertori, e se resistono farli fuoco. Ieri i Piemontesi in numero grande ci vendicarono, e molti Tedeschi son tagliati fuori di Mantova. I disertori nemici sono infiniti da tutte le parti. Il reggimento d’Italiani Agaz è quasi tutto fra noi. Ieri l’altro erano 4 reggimenti usciti da Verona con 4 batterie che ci assaltarono, cosicchè si sommano da circa 4 mila con 24 cannoni. Si dice con Radetzky alla loro testa col foglio del Vice Re. Stamani si è saputo ufficialmente la presa di Peschiera. Mi consolo che la nostra rotta, conseguenza di un fuoco di sette ore ben sostenuto, sia la causa dell’attacco generale che pare debba decider tutto.
Addio perchè qua giunge molta gente che fugge da un paesetto 4 miglia distante, ove sono giunti i Tedeschi sbandati. Siamo al 31 Maggio di guarnigione a Tesoglio Mulina nell’Oglio.
Tanti baci dal tuo Alarico.
Besaldo, 2 Giugno 48.
- Caro fratello,
Riprendo da dove lasciai di scriverti ieri l’altro. Peschiera è presa ed ha capitolato. Questa fu la conseguenza della nostra resistenza. Perchè avevano convenuto i Tedeschi che se il 30 non avevano soccorsi a Peschiera si sarebbero resi non avendo più viveri di nessuna sorta. Il piano era bello e se loro riusciva la voleva andar male. Radetzky voleva battere e sbaragliare col gran numero noi che sapeva pochi od avanzar per Goito e Peschiera alle spalle di Carlo Alberto, che certo, messo fra i due fuochi, la poteva finir male. Ecco che i Toscani creduti finora inutili hanno fatto il più sebbene dovesser fuggire. Con questo ci saremmo immortalati se la viltà e caparbietà di pochi Livornesi e bianchini più specialmente, non avessero rovinato tutto col non volersi riannodare. La sera del 29 alcuni di questi passarono il Pò, altri andarono a S. Martino e a Casal Maggiore. I più a Bozzolo dove condottosi Giovannetti ha fatto fin qui di tutto per farli tornare sul posto a Bozzolo, ma nè le buone notizie di Peschiera, nè la disfatta a Goito ove martedì i Piemontesi dettero a quei cani nè, il saperli rinchiusi da tutte le parti ha fatto coraggio a codesti vili, che voglion passare il Pò, dicono, per esser sicuri, e riannodarsi e organizzarsi allora, e non voglion credere che siano sicuri anche qui a Bozzolo. La nostra perdita pare non sia tanto grave. Il quartier Generale è a Castiglione sul lago di Garda dove pare si potrebbero utilizzare quelli di Curtatone. Del battaglione universitario che credevamo disfatto pare ne siano morti soli 50. Dei nostri pure di Montanara pare se ne siano salvati assai più che non credevamo, perché a Bozzolo ne giungono da tutte le parti. Nella sconfitta di martedì pare certo che i Tedeschi portassero in Mantova da 80 carri fra feriti e morti. Il reggimento italiano è quasi disertato tutto. Ora essi sono a Gazzoldo dove saccheggiano. Radeschi è certo che ieri l’altro sera dormì a Rivalta. Ora saranno costretti ad accettare una battaglia campale da Carlo Alberto in queste vicinanze, e, Dio volesse, che noi potessimo riannodarci per prenderli alle spalle allora che saranno attaccati, o almeno toglier loro la ritirata di qua dall’Oglio, al che abbiamo preso tutte le disposizioni. Qui a Tesoglio siamo 20 a guardare i mulini che ritireremo di quà al primo sentore di Tedeschi, e così, essendo il fiume assai grosso, potremo difenderci assai bene anche da un buon numero di loro. Ieri a S. Michele alcuni di cavalleria tedesca vennero sulla riva opposta, per scandagliare la profondità dell’acqua e furono uccisi dalla nostra guarnigione. I ponti son levati e preparate le mine, e l’incendio per resto, le barche ritirate a noi. Pare ci giungeranno cannoni ed uomini da Cremona e da Milano. Speriamo che i buoni faranno coraggio ai pochi avviliti e ripareremo a quel che ci farebbe onta. Voi forse saprete più di noi le novità però passeremo ad altro. Ti dissi da Marcaria che aveva perduto tutto ed ecco come. Quando cominciai a portar cartuccie ai bersaglieri fuori delle barricate e ritornai con feriti, il sacco comininciò a pesarmi oltremodo e, pensando di vincere, lo posai all’ambulanza per riprenderlo dopo l’attacco. Ma invece perdemmo, e quando battè la ritirata la casa ov’era l’ambulanza, era invasa dai nemici, cosicchè dovei salvarmi col rientrare fra i miei. Ora sono con la camicia di pannicino i calzoni di cachemire tutti rotti con un paio di calzini tutti rotti, la bluse e il cappello. Spero che ci renderanno il necessario a tutti, ma prega la mamma a vedere se, a poco per volta, mi mette insieme due paia di calzerotti e un paio di pezzuole. Tu seguita a mandarmi i fogli nelle lettere come prima. Per tutto il resto pazienza. Avrei potuto nella fuga prender molti sacchi invece di uno, che molti stanchi lo gettavano per correre di più, ma colle fucilate e mitraglia da cui eravamo circondati restava al pericolo della vita e della prigionìa. Ti prego a non fare altre spese di quelle che vi ho detto perchè ci daranno a tutti l’occorrente. — Eccoci quasi alla fine della guerra, e la nostra ritirata o fuga sarà pagata ben cara dai nemici, oltre ad essere la causa che decise la nostra vittoria. Novero qui gli amici che vedo. Conoscerai il Conti, il Menici non lo vidi più. Il Becattini alcuni dicono di averlo veduto nella fuga, altri cadere nel campo. L’Ussi lo vidi alle Grazie, Lampredini dopo. Il Biadi è insieme col Fabbrucci, col Del-Taglia, Bossi, Romanelli, Giorgi, Dufinè ferito leggermente in fronte. Freccia era mortale, Pifferi morto, Ferrina non l’ho veduto. Degli altri che erano nel primo battaglione non ne so nulla. Il Bellucci e Baldassi a Curtatone, non so come gli sarà andata. Se ne sapete qualche cosa scrivetemi per mia quiete. Non credo di avere altro a dirvi per ora.
Ti saluto e ti abbraccio caramente con gli altri. Dimmi se Mamma e Babbo sono stati in pena per me, se cioè riceveste in tempo la mia lettera. Qui siamo in guarnigione volontariamente perchè altri non han voluto venire a darci la muta credendolo posto pericoloso.
Addio, tuo fratello Alarico.
A Montanara, però, il suo battaglione era divenuto il secondo, la sua compagnia la prima e a questa erano stati aggiunti altri venuti dalla Toscana per la santa causa (com’egli chiamava questa guerra per la indipendenza). La disorganizzazione delle truppe volontarie già cominciata prima del 29 maggio, aumentò dopo la sconfitta e il suo accoramento è grande, nè sa perdonare a coloro che paghi del già fatto ritornavano a Firenze. Le truppe toscane riunite vengono intanto inviate a Brescia, ove ricevono accoglienza festosa, ma i Toscani seguono a disgregarsi e peggio. Egli sente tutto il decoro per la Toscana che si mostrava tanto diversa dai suoi desiderii, tanto che stanco infine di quanto succede e speranzoso di poter far più con altre truppe, che non con le sue, abbandona con altri i Toscani e l’8 luglio 1848 entra fra i cacciatori regolari lombardi nel 2° Battaglione 1° Reggimento alla 6a Compagnia comandata dal conte Ignazio Lana allora residente in Brescia. Però non può più prender parte a nulla, perchè tagliati fuori in Isvizzera poco dopo, il 6 settembre dello stesso anno ritorna in Firenze.