Al parlamento austriaco e al popolo italiano/Parte seconda/I
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I.
IL TRENTINO E I TRENTINI.
Lettera aperta a B. Mussolini.1
- Caro Mussolini,
Vedo in una corrispondenza romana del tuo giornale messa in burletta una eventuale guerra italo-austriaca, per liberare.... coloro che non hanno assolutamente alcun desiderio di staccarsi dall’Austria.
Io non ho, nè mi arrogo, caro Mussolini, il diritto di parlare in nome di tutti gli irredenti, per quanto mi giungano da Trieste e dall’Istria voci di consentimento; ma sento di potere, di dovere anzi dire una franca parola in nome del Trentino.
Il Trentino ci tiene a staccarsi dall’Austria.
Se tu fossi stato lassù nei giorni angosciosi della mobilitazione te ne saresti convinto. Avresti assistito alla partenza coatta di oltre trentamila uomini, montanari, contadini, gente abituata da preti e da poliziotti alla rassegnazione. Eppur tutti fremevano d’odio, tutti partivano lanciando all’Austria la maledizione.
Non basta questo, tu mi dirai, per stabilire che nel Trentino ci sia la volontà del riscatto.
E allora c’è tutta la storia degli ultimissimi anni (per non riandar quella veramente superba dei tempi del Risorgimento) che te ne rifà la prova.
Che i socialisti del Trentino (e sono più di un sesto della massa elettorale) odino l’Austria, che essi abbiano sempre affermato altamente il diritto all’indipendenza nazionale, tu lo sai. Ne fanno fede i discorsi dei deputati socialisti, l’indirizzo costante della stampa, e sopratutto quel sobrio ma fiero sentimento di italianità che è nella classe operaia non solo di Trento, ma anche nelle colonie degli emigranti trentini in terra tedesca.
Vi sono poi i liberali nazionali, moderati e democratici, a cui i socialisti giustamente hanno più volte rimproverato di aver voluto diminuire il valore del fattore sociale e di coprire talvolta i loro interessi di classe sotto la bandiera nazionale. Ma nessuno può negare che essi sieno stati e sieno, nella loro stragrande maggioranza, buoni sostenitori dell’italianità, e che ad essi non si deva in buona parte quella forza di resistenza per cui sessanta anni di azione pangermanista nel Trentino non hanno approdato ad alcun risultato.
E i contadini, dirai tu?
Dei contadini trentini, ti rispondo, che oggi sono indubbiamente più imbevuti di sentimenti italiani di quel che lo fossero verso il 1860 i contadini del Veneto e del Lombardo, ritenuti degni, degnissimi di riscatto dagli altri fratelli d’Italia.
L’idea nazionale — non nel senso nazionalista, ma nel senso sano ed equilibrato di difesa di un proprio patrimonio di coltura — e per reazione al Governo austriaco fattosi sempre più feroce e per l’attrazione ed il fascino esercitato dall’incontestato progresso economico d’Italia — ha pervaso tutto e tutti.
Migliaia di contadini del Trentino (le ultime elezioni hanno precisato la cifra di ottomila) non seguono più le bandiere cattoliche ed hanno creato un fiorente movimento di classe, che vicino alle questioni economiche ha affermato con schiettezza l’idea nazionale.
Ma resta il grande esercito clericale, tu mi dirai. No; restano i capoccia clericali: canonici, banchieri, impiegati austriaci, che sono austriacanti nel vero senso della parola. Ma austriacante non è la massa che essi, mercè compressioni inaudite, hanno ancora con sè. Per convincere questa massa, per attrarla a sè, hanno dovuto far nei loro programmi larga parte al sentimento nazionale, hanno dovuto metter fuori dalla porta i nobili austriaci che avevano in casa, hanno dovuto smetterla coi loro telegrammi all’imperatore e i loro voti pel potere temporale, hanno insomma dovuto subire l’onda di italianità che va trascinando tutto il paese.
Eccotene la prova: Nella Dieta del Tirolo, per speciale privilegio concesso dagli Asburgo ai discendenti di Andrea Hofer, si deve, perchè abbiano valore nella provincia, convalidare tutte le leggi militari emanate dal Parlamento di Vienna, o proclamate in base al paragrafo 14.
Si tratta di un voto che ha un valore morale. Non si votano quattrini. La Dieta del Tirolo, dacchè esiste, ha sempre sanzionato le leggi militari, alla quasi unanimità. Vi si sono opposti solo i pochi liberali di Trento e Rovereto.
Quest’anno, nel mese di giugno, è successo invece che il deputato socialista di Trento potesse fare un discorso in cui convennero tutti i partiti, allorchè egli affermava la necessità del voto contrario da parte degli italiani, oltre che per le ragioni specifiche di ogni singolo partito, per l’idea a tutti comune che cittadini italiani non dovessero votare appoggio ed incremento ad un esercito, evidentemente destinato a marciare contro la madre Italia.
È vero che i leaders clericali, monsignor Gentili e qualche altro prelato, non condividono in cuor loro simili criteri; ma la maggioranza dei deputati clericali, composta di contadini autentici, di segretarii comunali, di maestri e piccoli borghesi, forzò la mano e obbligò tutto il club clericale — compresi i leaders — a votare compatti, e senza assenze, contro le leggi militari e l’aumento del contingente di truppa.
Francesco Giuseppe, abituato a inviare alla Dieta del Tirolo per telegrafo i suoi ringraziamenti dopo la sanzione dietale di ogni legge militare, non si prese l’incomodo di farlo quando seppe che la legge era passata col voto dei soli tedeschi, ed avea avuti contrari tutti gli italiani.
Non voglio indugiarmi di più. Ma potrei moltiplicare le prove di fatto.
Certo nel Trentino non v’è un irredentismo che negli ultimi anni abbia pensato a congiure, forme ormai superate. Non c’era, nè potea esserci finchè si vedeva l’Italia legata alla Triplice un irredentismo d’azione. Ma oggi dai campi insanguinati della Galizia e della Bosnia come dalle città e dalle valli e da ogni luogo ove siano trentini si guarda fremendo all’Italia. Un cuore italiano che vive nella fortezza di Franzensfeste, coperto della divisa austriaca, mi scrive oggi eludendo la rigida sorveglianza: Il mezzogiorno non si muove? Venite!
Ora è il momento in cui l’irredentismo prende forma concreta ed ha ragione di essere. Ora c’è e mette in fuga le paure, le prudenze, gli interessi dei tempi andati. E c’è non in questo o in quel partito. C’è nel cuore di tutto il popolo.
Se così non fosse le stesse carceri austriache non ospiterebbero oggi, per l’istessa colpa di amor patrio, e il redattore del giornale socialista Martino Zeni e il prete Mario Covi e l’organizzatore dei contadini Vero Sartorelli e non pochi liberali e nazionalisti.
Se così non fosse le città d’Italia, Milano prima fra tutte, non ospiterebbero tanti profughi trentini, qui venuti sfidando infiniti pericoli.
Vivono essi in trepida attesa ed in fervida fraternità; e son uomini delle più disparate classi sociali, avvocati, professori, contadini, operai, vecchi e giovani, ricchi e poveri, qui venuti nella speranza di tornar presto lassù con le armi in pugno.
Per un tacito patto essi sono fino ad oggi vissuti oscuri, modesti, senza far parlare di sè. Io rompo oggi la consegna per gridar con loro la mia protesta, per dire ai fratelli d’Italia:
Se l’Italia non può ricordarsi di noi, irredenti, sia! Se l’operare per la nostra redenzione dovesse recarle rovina, noi subiremo ancora il servaggio. Sia tutto questo! Dimenticateci, se volete, ma non dite che noi non vogliamo staccarci dall’Austria. È un’offesa. È una bestemmia.
Uno dei profughi trentini.
- ↑ Questa lettera fu scritta in risposta ad una serie di erronee
notizie, riguardanti il Trentino, apparse sull’Avanti nel
settembre 1914. Pubblicandola (14 settembre 1914), con l’ommissione
di alcuni periodi di chiusa che qui sono invece riportati,
la redazione dell’Avanti! premetteva queste parole:
“Non possiamo negar ospitalità a questa lettera che un compagno ed amico carissimo di Trento, attualmente profugo in Italia, ci ha mandato, per rettificare una affermazione contenuta in una delle nostre note da Roma„.
L’Avanti! intitolò questa lettera Trentini e Trentino. L’autore l’avea intitolata: Non bestemmiare!