Al Polo Australe in velocipede/15. La spedizione polare

15. La spedizione polare

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CAPITOLO XV.

La spedizione polare.

Riempite le tazze dell’ardente bevanda e accese le pipe, Wilkye spiegò sulla tavola una carta del polo australe, sulla quale si vedevano tracciate tutte le esplorazioni eseguite dal Gherith, da Bellinghausen, da Brunsfield, da Morrel, da Powel, da Weddel, da Foster, da Biscoë, da Dumont d’Urville, da Welkes, da Balleny e da Giacomo Clarke Ross che fu, si può dire, l’ultimo che mosse alla scoperta del continente polare.

Egli posò l’estremità dell’indice sopra un punto e mostrando ai compagni una crocetta rossa che pareva fatta di recente, disse:

— Questo è il luogo dove noi attualmente ci troviamo, il quale è situato sui confini, si può dire, della Terra di Graham, calcolato che lo stretto di Bismark la divida da quella di Palmer. Gettate uno sguardo su questo continente polare, così irregolarmente disegnato, ed i cui margini spesso mancano, e contate quanti paralleli vi sono fra il luogo ove ci troviamo ed il polo australe.

— Circa venticinque gradi, dissero i marinai.

— Dunque noi ci troviamo a circa millecinquecento miglia dal polo.

— Così lontani! esclamò Bisby. Eppure allargando le mie dita tocco il polo e la costa di Graham.

— Avrei potuto, riprese Wilkye, scendere più al sud colla Stella Polare e cercar di abbreviare questa distanza [p. 139 modifica] che è enorme; ma ho pensato che avrei potuto affrontare tali pericoli, da compromettere gravemente la nostra spedizione.

Questo continente è più pericoloso, più aspro, più coperto di ghiacci delle regioni del polo Artico, e le spedizioni tentate colle navi, non hanno mai dato splendidi risultati. Nessuno è riuscito a sorpassare il 78° 9' 30" di latitudine, e quasi tutti gli esploratori sono stati costretti a svernare fra questi deserti di ghiaccio.

A me preme di affrettare il tentativo di raggiungere il polo e bisogna che lo compia prima che sia terminato lo sgelo, o nessuno tornerebbe vivo alla costa. Credo quindi di aver agito prudentemente sbarcando qui, senza perdere un tempo preziosissimo seguendo la Stella Polare verso il sud.

In un mese, se Dio ci aiuta, noi possiamo essere di ritorno e pronti a rimetterci in mare, anche senza attendere la Stella Polare.

— Con la scialuppa? chiesero i marinai.

— Sì, amici miei.

— Ma dunque contate di partire subito pel polo, disse Bisby.

— Fra qualche giorno. Silenzio ed ascoltatemi.

Wilkye sorseggiò la sua tazza, poi riprese:

— Vi spiegherò ora il mio piano: come voi già sapete, io tenterò di raggiungere il polo in velocipede. Tutti gli esploratori antartici hanno osservato che il continente polare è generalmente piano e che i suoi campi di ghiaccio non sono così scabrosi come quelli delle regioni artiche. Essendo posti sulla terra, non hanno spaccature, non hanno sollevamenti e forse non soffrono pressioni.

Una marcia a piedi si potrebbe fare con maggiore riuscita che nelle regioni nordiche, ma la distanza dalla costa [p. 140 modifica] al polo sarebbe troppa per un equipaggio che è costretto a portarsi dietro un pesante bagaglio. Ho quindi ideato di raggiungere il polo in velocipede.

Solamente una marcia rapidissima può dare dei felici risultati, poichè un lungo soggiorno fra questi immensi campi di ghiaccio potrebbe tornare fatale agli uomini: possono mancare i viveri, piombare improvvisamente i terribili geli e assiderare le membra o incancrenirle e sopraggiungere lo scorbuto, questo grave male che ha arrestate tutte le spedizioni polari tentate per terra.

Il velocipede che io adopererò, non è di quelli soliti. È una macchina fatta costruire appositamente e con grande diligenza, munita di otto ruote, fornita d’un piccolo motore a petrolio, capace di portare tre uomini e un carico di duecento chilogrammi e di raggiungere una velocità di venticinque a trenta miglia all’ora.

— Un velocipede a vapore! esclamò Bisby. Ma allora non avevate bisogno di velocipedisti.

— Anzi, ne ho assoluto bisogno, Bisby, disse Wilkye. Il mio velocipede è costruito in modo, da potersi dividere ottenendo tre biciclette, le quali, come potete facilmente immaginare, non potranno avanzare che mosse dai piedi degli uomini.

Mi tocca una disgrazia qualsiasi? Si spezza o si guasta la macchina o esaurisco la provvista di petrolio (ciò che mi accadrà senza dubbio nel ritorno, non potendo portarne con me una provvista considerevole), io divido il mio velocipede ed ecco ottenute tre biciclette pronte a ripartire.

— Ben ideato! esclamò Bisby. E quanto tempo contate di impiegare, per giungere al polo?

— Se non incontrerò ostacoli, marciando dodici ore al giorno, calcolo di giungervi in cinque giorni, ma non [p. 141 modifica] voglio essere troppo ottimista, e metterò invece dieci giorni.

— Dunque fra venti giorni voi potrete essere di ritorno.

— Lo potrei, ma chi può assicurarlo? Sarà cosa prudente portare con me i viveri sufficienti per quaranta giorni.

— Ma noi? chiese Bisby.

— Voi rimarrete qui coi marinai e ci attenderete. Condurvi tutti al polo è impossibile e poi, chissà quali vicende ci attendono in questo viaggio!... Noi saremo più tranquilli, pensando che alla costa abbiamo dei compagni, che vi è una casa per ripararsi e che vi sono dei viveri.

— Eppure sarei venuto volentieri anch’io al polo, Wilkye!....

— Non vi mancheranno le distrazioni qui, Bisby. Fra qualche settimana comincerà lo sgelo, la selvaggina si mostrerà su queste coste e potrete cacciare ed intraprendere delle esplorazioni per vostro conto.

— Andrò a fare una passeggiata fino alla Terra Alessandra.

— Un po’ più lontano e andrete al polo, disse Wilkye, ridendo.

— Una spiegazione, signore, disse un marinaio.

— Parlate.

— Se vi toccasse una disgrazia e non vi si vedesse ritornare dopo i quaranta giorni, cosa dovremmo fare noi?

— Organizzerete una spedizione di soccorso e tenterete di raggiungerci fin dove lo permetteranno le vostre forze.

— E se non vi troviamo? È necessario prevedere tutto.

— Avete ragione, disse Wilkye. Allora ritornerete alla costa, ci attenderete fino alla fine dell’estate, poi vi imbarcherete o sulla nostra scialuppa o sulla Stella Polare, se sarà tornata, e raggiungerete l’America.

— Ma voi? chiese Bisby, impallidendo. [p. 142 modifica]

— Se in tre mesi non saremo ritornati, sarà segno che noi siamo morti.

— Voi mi spaventate, Wilkye.

— Eh! esclamò l’esploratore. Credete voi che le regioni polari non abbiano avuto le loro vittime? Il polo Nord è costato centinaia di vite umane.

— Ma col vostro velocipede....

— Può spezzarsi, un campo di ghiaccio può aprirsi sotto i nostri piedi e inghiottirci, o una montagna di ghiaccio può piombarci addosso e stritolarci, o una valanga di neve può seppellirci o la fame ucciderci.

— Io rinuncerei al polo!

— Voi, ma io, mai! esclamò Wilkye, con suprema energia. O spiegare la bandiera americana ai confini del mondo australe o perire nell’impresa.

— E noi vi saremo fedeli compagni, signore! esclamarono i due velocipedisti, con entusiasmo... Lotteremo fino all’estremo delle nostre forze, pel trionfo della nostra bandiera.

— Grazie, valorosi compagni, disse Wilkye commosso. Sapevo di aver condotto con me due fidi amici. Ora, finché i nostri marinai trasporteranno qui la scialuppa per metterla al sicuro dai ghiacci, che non tarderanno a mettersi in movimento per l’imminente sgelo, noi saliremo quella catena di colline e andremo a vedere le pianure dell’interno.

— Andiamo, disse Bisby che aveva mangiato tanto, da correre il pericolo di scoppiare. - Una passeggiata mi faciliterà la digestione.

Wilkye, il negoziante ed i due velocipedisti, armatisi di carabine a retrocarica e di bastoni colla punta ferrata per aiutarsi nell’ascensione, lasciarono la capanna e si diressero verso le colline che chiudevano l’orizzonte verso [p. 143 modifica] il sud-est. La temperatura era fredda assai, essendo scesa a 15° sotto lo zero, ma splendeva un vivo sole, il quale già cominciava a sciogliere i ghiacci accumulati dinanzi alla costa di Graham. Dal sud soffiava però, ad intervalli, un vento freddissimo il quale gelava i nasi e le orecchie degli esploratori.

Una infinità di uccelli marini svolazzavano lungo le spiaggie. Se ne vedevano dappertutto, sugli ice-bergs, sui campi di ghiaccio, in mezzo alla neve, sulle scogliere e si udivano le loro grida scordate e rauche.

Anche alcune foche si scorgevano, indolentemente stese sull’orlo dei banchi, scaldandosi ai raggi del sole, ma erano così lontane da far perdere a Bisby, che avrebbe voluto assaggiare la loro carne, ogni speranza di raggiungerle.

Superata la costa, gli esploratori s’arrampicarono sulle colline, i cui pendii erano scabrosi e difficilissimi, essendo coperti da una crosta di ghiaccio e di neve gelata che doveva avere un grande spessore. Però qua e là si vedevano dei tratti che avevano già perduto il loro rivestimento invernale e fra le fessure di quelle rocce che sembravano composte di un tufo rossastro, erano tosto spuntate le prime pianticelle. Infatti si vedevano rizzarsi timidamente dei muschi, i licheni Usnea melanoxantha, qualche Fuchsia magellanica che aveva già cominciato a mettere i bottoni pendenti, dei piccoli cespugli di Metrosideros stipularis colle foglioline punteggiate, ma che non avevano ancora messi i piccoli fiori bianchi; delle lecanora e delle ulve, bizzarre pianticelle queste ultime, che non spuntano che all’ombra. Si direbbe che temono il sole ed infatti, se i raggi dell’astro diurno le toccano, ben presto muoiono, ma forse in causa della mancanza di acqua. Infatti, spuntano solamente sulle rocce, il sole [p. 144 modifica] non tarda ad assorbire l’umidità a loro necessaria per vivere, ed appassiscono.

Procedendo lentamente e con mille precauzioni per non scivolare nei crepacci e nei burroni che s’aprivano dovunque, verso le 4 pomeridiane gli esploratori giungevano sulla cima della catena.

Al di là, verso il sud, si estendeva dinanzi a loro una pianura sconfinata, coperta di neve, leggermente ondulata, ma non interrotta da quei rialzi, da quelle piramidi, da quelle guglie acute e da quei crepacci come si osservano nelle regioni del polo Artico. Il continente australe pareva piano come un vero deserto e solamente ad una immensa distanza, si vedevano delinearsi sul fondo azzurro del cielo, rade catene di montagne.

Su quella vasta pianura gelata regnava un silenzio di morte, nè si scorgeva alcun essere vivente. Perfino gli uccelli, così numerosi sulle coste, mancavano, e non se ne vedeva uno solo volare su quella superficie immacolata, mai calpestata da piede umano, fin dal tempo della sua formazione.

— Che deserto di ghiaccio! esclamò Bisby, rabbrividendo. Mette paura solamente a vederlo.

— Sono contento che sia così, disse Wilkye. Il nostro velocipede filerà senza trovare ostacoli.

— Ed il polo, è laggiù?

— A sud, ma a millecinquecento miglia di distanza.

— Ci vuole del coraggio, Wilkye, per andarlo a cercare. Ed io che volevo andarci a piedi!....

— Ditemi, signor Wilkye, chiese il velocipedista Peruschi. Troveremo altre pianure, dietro quei monti che si vedono laggiù?

— Lo spero, amico mio.

— Ma come attraverseremo quei monti? [p. 145 modifica]

— Se non troveremo un passaggio, li aggireremo.

— Allungheremo il viaggio considerevolmente.

— Vi ho detto che porteremo con noi dei viveri per quaranta giorni.

— Sperate d’incontrare la spedizione inglese al polo?

— Dubito molto che Linderman possa trovare un passaggio sulla Terra Alessandra. Io sono convinto che le terre australi formino un vero continente e non siano un aggregamento d’isole, quindi una nave non potrà mai giungere al polo.

— Che tenti di giungervi a piedi?

— Lo tenterà, ne sono certo, ma sarà costretto a ritornare. Un equipaggio, per quanto robusto ed agguerrito, non può percorrere millecinquecento miglia a piedi sui ghiacci e carico dei viveri necessari per parecchi mesi. Tutte le spedizioni tentate nei mari artici, anche coll’aiuto delle slitte tirate dai cani, hanno dato risultati negativi, anzi disastrosi. Ritorniamo, amici: scenderemo per quei burroni che mettono alla costa e andremo a fare quattro fucilate contro gli uccelli marini.

— Li preparerò per la cena, disse Bisby.

— Ci preparerete un arrosto un po’ duro, signor cuoco.

Lasciarono la vetta e si misero a scendere attraverso ai burroni, scivolando sul ghiaccio che copriva le rocce. In meno di mezz’ora giungevano sulla costa, in fondo ad una specie di canale o fiord che dir si voglia, e che si trovava ad un miglio dalla capanna.

I ghiacci coprivano l’acqua, ma, quantunque avessero uno spessore enorme, erano in moto a causa del calore solare che cominciava a scioglierli. Tuonavano come se sotto di loro scoppiassero delle mine, si aprivano qua e là, lasciando il passo all’acqua marina che schizzava fuori gorgogliando, correndo in vere ondate pei pendii, [p. 146 modifica] e le cime degli ice-bergs oscillavano e tremavano come se quelle enormi masse fossero lì lì per perdere l’equilibrio. Di tratto in tratto, una punta od un masso, del peso di parecchie tonnellate, si staccava dall’alto e piombava con grande fracasso attorno ai ghiacci sottostanti, rimbalzando e frantumandosi. Vere nubi di uccelli marini avevano collocati i loro nidi sulle sponde del fiord. Erano Aptenodytes fosteri, uccelli assai grossi poichè pesano circa trentacinque chilogrammi, colle penne color ardesia sopra e bianche sotto e con un collare giallastro sotto il capo.

Molti covavano le uova, ma altri si trascinavano sui ghiacci aiutandosi coi loro grossi piedi palmati e colle ali che sono foggiate a pinne. Malgrado la loro pesantezza, camminavano però più lestamente d’un uomo.

— Sono buoni? chiese Bisby.

— Eccellenti, quantunque la loro carne sia nera.

— Allora la cena è assicurata.

— Vi avverto però di sezionarli, prima di metterli allo spiedo o nella pentola.

— Per qual motivo? Cosa temete?

— Di rompermi i denti.

— Non vi comprendo.

— Allora vi dirò che questi uccelli sono ghiotti di sassi. Taluni cacciatori ed anche James Ross, il noto esploratore, trovarono perfino quattro chilogrammi di pietre nel ventre di questi volatili!

— Che scambino i sassi per dolci?

— Non me l’hanno mai detto. Orsù, fuoco a volontà, o scapperanno tutti.

Quattro detonazioni echeggiarono e quattro uccelli stramazzarono sui ghiacci.

Bisby stava per precipitarsi sulla preda, quando s’arrestò bruscamente urlando:

— Fuggiamo!... Ho udito a ruggire dei leoni!...