Aiace (Sofocle - Romagnoli)/Esodo

Esodo

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Sofocle - Aiace (445 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
Esodo
Quarto stasimo Aiace

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Entra Teucro, e, súbito dopo lui. Agamènnone.
teucro
Agamennone vidi, il condottiero,
che verso noi muoveva; e m’affrettai.
Ei sfrenerà la bocca turpe, è chiaro.
agamennone
Impunemente contro noi, mi dicono,
minacciose parole hai schiamazzate;
a te favello, al figlio della schiava.
Certo, se tu da nobil madre fossi
stato nutrito, assai superbamente
favelleresti, i passi tuoi sarebbero
superbi troppo, se, pur nulla essendo,
d’un uom da nulla le difese assumi,
e noi giuri che mai duci o navarchi
degli Achivi non fummo, e non di te,
ma di sé solo duce, a quanto affermi,
Aiace navigò. Non è vergogna,
tanto da servi udire? E per qual uomo

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berci cosí superbamente? Andò
forse egli mai, stette egli mai, dov’io
non andassi, non stessi? E dopo lui,
altri uomini non han forse, gli Achivi?
Amaro gusto hanno per noi le gare
che per l’armi d’Achille un dí bandimmo,
se tristi sempre or ci dichiari Teucro,
se non vorrete, ancor che vinti, cedere
a ciò che pure piacque ai piú dei giudici,
ma con gli oltraggi ognor ci colpirete,
ci pungerete con la frode, quando
siate sconfitti. E niuna legge mai
salda stare potrà, se mai prevalga
tale costume, di scacciar chi vinse
pur con giustizia, e chi rimase indietro,
portarlo avanti. Ma convien guardarsene.
Ché non la gente di gran mole, e gli uomini
di larga spalla, a sicurezza affidano;
ma quanti han senno, ove che sia, prevalgono.
Di fianchi è grosso il bue: pure, una piccola
sferza, lo fa per via muover diritto.
E tal rimedio, anche per te già pronto,
se non torni a ragione, io veggo súbito:
per te, che, quando nulla piú quest’uomo
è, se non ombra, insolentisci audace,
senza freno alla lingua. Or vuoi far senno?
E, conscio alfine di tua bassa nascita,
vuoi qui condurre un altro, un uomo libero,
che avanti a noi la tua ragione dica?
Ché, sinché tu favelli, io non t’intendo:
ché l’idioma non so io dei barbari1.

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coro
Deh, senno abbiate entrambi che vi moderi:
dare, io non vi saprei miglior consiglio.
teucro
Come veloce, ahimè, la gratitudine
per gli uomini dilegua, e taccia merita
di traditrice, se quest’uomo, o Aiace,
di te non serba il minimo ricordo,
che tante volte, e con sí gran travaglio
esponesti per lui la vita in campo!
Tutto è sparito, tutto ora è gittato.
O tu che tante e sí stolte parole
hai pronunciate, non ricordi piú,
allorché, nella notte, entro il recinto
chiusi eravate, e già perduti, e solo
ve ne salvò costui, quando all’estremo
dei banchi delle navi il fuoco ardeva,
e di sopra alla fossa, alto balzava
Ettore già dentro le navi? Allora
chi lo frenò? Non fu forse costui,
che il piede mai, lo affermi tu, non pose
ove non fossi tu? Forse non ebbe
quella sua gesta il vostro plauso? E quando,
da solo a solo, contro Ettore mosse,
comandato non già, ma tratto a sorte,
— né sorte fu da traditore, un’umida
zolla di terra: quella fu che prima
balzar doveva dal crinito elmetto —
opera sua non fu? Presso non gli ero
io, schiavo, figlio d’una madre barbara?
Oh sciagurato, e come puoi, quand’occhi

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hai per vedere, gridar ciò? Non sai
che barbaro, di Frigia, anche fu Pèlope,
che padre fu del padre tuo? L’empissimo
Atrèo non sai, che poi te generò,
e del fratello i figli uccise, e in pasto
li offerse al padre loro? E tu medesimo,
nato non sei da una madre cretese,
che con un ganzo fu sorpresa, e ai muti
pesci gittata, da suo padre, in pasto?
E, tale essendo, ardisci la mia nascita
a me rimproverare? A me, che nato
da Telamóne sono, a cui l’esercito
i primi onori tributò, che sposa
ebbe mia madre, a cui Laomedonte
fu avo, che regina era di stirpe:
ed il figlio d’Alcmena a lui la diede,
eletto dono. E cosí, dunque, io, nobile,
da due nobili nato, i consanguinei
avere a scorno ora dovrei, che tu,
poi che in tanta sventura immersi giacciono,
insepolti respingi, e lo dichiari
senza vergogna? Or sappi bene ciò:
se tu costui gittar dove che sia
vorrai senza sepolcro, accanto a lui
gittar dovrete anche noi tre: ché bello
sarà per me soccombere pugnando
a viso aperto pel fratello, invece
che per la donna tua: meglio, per quella
dirò del tuo germano. Ora a te stesso
provvedi, e non a me: ché, se mi crucci,
dovrai pentirti, un dí d’essere stato
contro me temerario, e non codardo.
Giunge Ulisse.

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coro
In punto giungi, Ulisse re, se giungi
non la lite a inasprire, anzi a comporla.
ulisse
Che avviene, amici? Degli Atrídi il grido
su l’eroe spento, da lontano udii.
agamennone
Da costui non dovemmo, adesso adesso
udire, Ulisse, le piú turpi ingiurie?
ulisse
E quali? Un uom che contumelie ascolta,
e risponde improperî, io lo perdono.
agamennone
Gravi ne udí; ma non m’offese ei meno.
ulisse
Che fece mai, sí da patirne danno?
agamennone
Questa salma lasciar senza sepolcro
non vuol, ma seppellirla a mal mio grado.

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ulisse
È concesso a un amico il vero esporre,
e, come pria, teco restar concorde?
agamennone
Parla: o di senno io sarei privo, quando
te fra gli Argivi il primo amico reputo.
ulisse
Odimi dunque. Non lasciar cosí,
senza pietà, che di sepolcro resti
privo quest’uomo; e non ti vinca l’ira
a odiarlo cosí, che sotto i piedi
la giustizia tu ponga. Il piú nemico
dell’esercito tutto era quest’uomo
anche per me, da quando vinte gli ebbi
l’armi d’Achille; ma, sebbene tale,
contro di me, spregiar non lo potrei
sí, da non dir che nessun uomo vidi
tanto gagliardo fra gli Achei, da quando
venimmo a Troia, tranne Achille. E tu,
con giustizia spregiar non lo potresti:
ché le leggi dei Numi offenderesti,
e non già lui. Spregiare un prode estinto,
non è giustizia, anche se tu l’aborri.
agamennone
Tu per costui con me contrasti, Ulisse?

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ulisse
Io, sí: ben l’odiai, quand’era lecito.
agamennone
Né ti conviene or calpestarlo spento?
ulisse
Non t’allegrar di turpi lucri, Atríde.
agamennone
A un sovrano, piegarsi non è facile.
ulisse
Ma sí gli amici udir che bene parlano.
agamennone
Deve ubbidir, l’uom probo, a chi comanda.
ulisse
Pur se cedi agli amici, è tuo l’impero.
agamennone
Pensa l’uomo qual’è che tu gratifichi.

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ulisse
M’era costui nemico: ed era prode.
agamennone
E che? Spento rispetti un tal nemico?
ulisse
Per me, la sua virtù val più che l’odio.
agamennone
È tanta, dunque, l’incostanza umana?
ulisse
Molti, ora cari, diverranno amari.
agamennone
L’acquisto pregi di siffatti amici?
ulisse
Non mi piace lodare un’alma dura.
agamennone
Sembrare vili ci farai quest’oggi.

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ulisse
Giusti, anzi, agli occhi degli Ellèni tutti.
agamennone
Vuoi che lo lasci seppellire, dunque?
ulisse
Sí, ché giungere anch’io debbo a tal passo.
agamennone
Proprio a ciò che lo tocca ogni uomo bada.
ulisse
Di chi, piú che di me, dovrei curarmi?
agamennone
Tua, dunque, e non già mia, detta sia l’opera.
ulisse
Pio tu sarai, comunque in ciò proceda.
agamennone
Sappi bene, però: grazie maggiori
anche di questa a te concederei;

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ma questi, o vivo o morto, odiosissimo
mi sarà. Tu puoi far ciò che piú brami.
Parte.
coro
Chi nega, Ulisse, che di saggia mente,
sendo qual sei, tu sei fornito, è folle.
ulisse
Ed ora, a Teucro annunzio che, per quanto
gli fui nemico, amico gli sarò
da questo punto; e questo morto insieme
con lui vo’ seppellir, tutti gli uffici
insiem con lui prestargli, e niuno ometterne
di quelli che agli eroi debbono gli uomini.
teucro
Tutte lodare io debbo, ottimo Ulisse,
le tue parole: tanto hai tu mostrata
falsa ogni attesa mia: ché fra gli Argivi
il piú nemico eri a quest’uomo; e solo
or tu l’assisti di tua mano, e, vivo
al cospetto di lui già spento, ingiuria
a lui non volgi, come il duce, quello
che qui tonando giunse, e il suo fratello,
che coperto d’oltraggi e senza fossa
lo voleano lasciare: onde il supremo
padre d’Olimpo, e la memore Erinni,
e la Giustizia punitrice, infliggano

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tristo sfacelo a quei malvagi, come
volevano essi fra gli oltraggi il prode
senza onore gittar. Ma te, progenie
dell’antico Laerte, a questa tomba
lasciar che t’avvicini, io me ne pèrito:
temo di far cosa non grata al morto.
Del resto, mano dar ci puoi: né duolo
avrò, se alcun tu delle schiere adduca.
E tutto il resto io compirò. Ma te
reputo, sappi, un generoso cuore.
ulisse
L’avrei bramato; ma se a te gradito
non è, parto; né so disapprovarti.

Parte.
teucro
Basta: già troppo tempo è trascorso.
Senza indugio, una fossa profonda
qui scavino alcuni di voi,
con la fiamma altri avvolgano eccelso
un tripode, acconcio
ai sacri lavacri; e una schiera
di guerrier, dalla tenda qui adduca
l’ornamento dell’armi. Fanciullo,
avvicinati, e meco solleva
di tuo padre le membra; ché in alto
soffiano anche, le arterie ancor calde,
negra furia. Or su, via, s’avvicini,
venga qui senza indugio, chiunque

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nostro amico si dice, e qui rechi
suo tributo a quest’uomo, che in tutto
fu perfetto, e a nessuno secondo.
coro
Molte cose ai mortali è concesso,
poi che vider, sapere; ma prima
di vedere, nessuno è profeta
della sorte che a lui toccherà.

Note

  1. [p. 245 modifica]Dei barbari, allude al non essere Teucro greco, ma figlio di Esione. Cfr. piú avanti pag. 94, vv. 1337 sgg.