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L'attivismo - 7. Un cane da guardia per la politica

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7. Un cane da guardia per la politica


Siamo nel 2008, e Aaron ha compiuto ventun anni.

È passato più di un anno dal licenziamento da Reddit, e ne sono trascorsi un paio dal suo momento di “crisi d’identità” come programmatore.

L’entusiasmo, quando annuncia – con un post sul suo blog – l’avvio del suo nuovo progetto denominato “watchdog.net”, è palpabile.

“Welcome, watchdog.net”, scrive il 14 aprile: siamo in presenza del suo primo, concreto tentativo di un uso delle tecnologie correlato all’impegno politico.

L’obiettivo è ambizioso: unire fruttuosamente le attività di programmazione di codice, e di progettazione di un’architettura web, alla modifica di un quadro sociale negli Stati Uniti d’America, che il ragazzo descrive, senza mezzi termini, come di pura “follia politica”. È in corso, in quei mesi, una campagna elettorale caratterizzata quasi esclusivamente da pettegolezzi, da attacchi personali e da diffusione sistematica di notizie false.

Dal momento in cui Aaron ha preso la decisione di voler iniziare a “fare la differenza” nel mondo che lo circonda, il panorama delle imminenti elezioni politiche gli è parso un ambito d’azione perfetto e un’ottima occasione da prendere al volo: le presidenziali sarebbero state il 4 novembre di quell’anno – ossia, più o meno, di lì a otto mesi – e Obama e McCain avevano iniziato la campagna già da almeno due anni.

Il dialogo serrato con Lawrence Lessig, in questi frangenti, fu per lui fondamentale. Anche il costituzionalista aveva ormai iniziato ad abbandonare molti temi del diritto digitale e si era appassionato allo studio della corruzione congenita in politica – e di come si potesse cercare di sconfiggerla con la trasparenza – e allo studio dei beni comuni.

Dopo aver trascorso mesi a pensare e a dibattere con tantissime persone, studiando centinaia di testi e mettendo sul tavolo decine di progetti differenti, ad Aaron parve, finalmente, di aver individuato una direzione che avrebbe portato a interessanti cambiamenti. E in quella direzione avrebbe potuto incanalare le sue competenze, per essere finalmente soddisfatto delle sue azioni.

Il sito web prese il nome di watchdog.net. Il piano d’azione alla base del progetto si doveva articolare in tre fasi, che Aaron aveva già ben individuato, almeno sulla carta.

In primo luogo, lui e i suoi soci avrebbero iniziato, come prevedibile, una grande raccolta di dati. Tutto, per Aaron, doveva partire da una raccolta massiva e ordinata di informazioni che, se ben trattate, avrebbero generato nuovi dati e, di conseguenza, un enorme valore.

Le fonti politiche da cui raccogliere i dati sarebbero state le più eterogenee: i dati demografici tratti dagli archivi dei distretti elettorali, i dati sulle votazioni [p. 84 modifica] passate, un elenco di finanziatori e di centri di lobbying, nonché mappe di relazioni tra aziende e finanziamenti di specifiche campagne elettorali di singoli politici.

L’idea era quella di consentire a tutte le persone – anche al cittadino comune, non esperto né di politica, né di tecnologia né, tantomeno, di reti di influenza politica – di poter esplorare tutti questi dati, di “saltare” da un collegamento all’altro e di avere un quadro sempre aggiornato dei comportamenti e delle relazioni, finanziarie e di potere, di tutti i politici. Proprio quei politici che il cittadino stava valutando o, addirittura, si apprestava a votare. Il tutto attraverso un’interfaccia web elegante e completa.

Il progetto si rivelò, da subito, estremamente complesso: proprio come Reddit voleva essere la front page per l’ingresso in Internet, e la porta d’ingresso per tutti i contenuti sul web, così whatchdog.net si proponeva di essere la più potente interfaccia web esistente e affidabile per esplorare un grande insieme di dati relativi ai politici statunitensi e alle loro candidature.

Ma questo primo punto di arrivo – il “regalare” ai cittadini tutte le informazioni sui politici che stavano per votare – non era ritenuto, da Aaron, sufficiente.

La seconda parte del progetto avrebbe dato, in più, maggior potere d’azione ai cittadini che avrebbero utilizzato quel sito. Avrebbe fornito, a tutti, l’opportunità di fare, e costruire, qualcosa con quelle informazioni, affinché fossero utili anche nella vita quotidiana di tutti.

Nell’idea di Aaron, il fornire soltanto un insieme d’informazioni politiche, pur ordinato e catalogato, ai cittadini rischiava di renderli apatici e di non appassionarli al progetto. Occorreva il loro empowerment: era necessario, in qualche modo, coinvolgerli.

Si decise, allora, di prevedere, nell’architettura del sito, strumenti specifici che consentissero ai cittadini, appunto, di agire in tempo reale, mentre consultavano o correlavano quei dati.

Cosa significava, in concreto, agire in un contesto di campagna elettorale monitorata da un sito web di quel tipo?

Significava, ad esempio, poter scrivere direttamente a un politico o al suo ufficio; poter contattare un’azienda che finanziava la campagna di un determinato candidato; mandare una e-mail a un comitato elettorale legato a quel candidato ma, anche, poter chiamare il proprio rappresentante territoriale; poter creare, e inviare, note e appunti ai quotidiani locali per segnalare un fatto oggettivo ricavabile da quei dati; avere il potere di pubblicare in tempo reale informazioni reperite o scoperte e, persino, generare schede di valutazione e di rating utili per le elezioni in arrivo.

Uno scrutinio globale e costante, in definitiva, su ogni politico e le sue relazioni.

I primi due aspetti del progetto sarebbero stati collegati tra loro grazie a un enorme database collaborativo, che avrebbe raccolto questioni politiche, [p. 85 modifica] iniziative in corso e annunciate, campagne e mobilitazioni politiche, elenchi di donatori, informazioni scientifiche sul singolo problema incluso nel dibattito (ad esempio: l’inquinamento ambientale), manifestazioni d’interesse pubbliche e private, e tanto altro.

Il tutto sarebbe stato progettato con software aperti e gratuiti e con la possibilità di una libera fruizione di dati.

Ma non solo: il progetto avrebbe consentito a chiunque, rendendo pubbliche delle specifiche API (interfacce di programmazione delle singole applicazioni), di sfruttare in altri ambienti e contesti – e, magari, anche in altri Paesi – ciò che si sarebbe fatto, con quel sito, negli Stati Uniti d’America.

L’idea di dar vita a un hub, un concentratore/centro di collegamento tra cittadini, attivisti, organizzazioni, politici, programmatori e chiunque altro fosse interessato alla politica, alimentava la speranza di Aaron, con questo suo primo progetto, di rendere il più interessante e facile possibile l’avvicinamento e il coinvolgimento dei cittadini alla politica.

Il progetto fu abbozzato in gran fretta: il breve momento pre-elettorale andava sfruttato e si decise di lavorare, in un certo senso, “in diretta”: venivano rilasciati, sul web, i vari pezzettini e tasselli del sito non appena erano pronti.

L’entusiasmo che vi era alla base e le capacità del gruppo di lavoro compensarono i piccoli difetti iniziali dovuti alla fretta: dopo poche settimane apparve chiaro a tutti come fosse concretamente possibile mettere a disposizione dei cittadini una moltitudine di dati relativi a ogni rappresentante politico, generando anche una interfaccia grafica efficace per presentarli e per consentire, così, un controllo costante di quello che facevano, delle loro relazioni e dei loro comportamenti.

Il progetto watchdog.net segnò, anche, l’ingresso di Aaron su Github, il più importante servizio di hosting al mondo per progetti software e considerato, comunemente, il “pianeta”, o il “paradiso”, degli sviluppatori.

Il funzionamento di Github è molto semplice, ma fondamentale, oggi, nello sviluppo di migliaia di progetti condivisi: uno sviluppatore di software carica sul sito il codice sorgente del programma su cui sta lavorando e lo mette a disposizione di tutti gli utenti tramite la possibilità di scaricarlo. Gli utenti, a loro volta, possono dialogare e interagire con lo sviluppatore, segnalando problemi e postando commenti o richieste finalizzate essenzialmente a risolvere bug o a domandare nuove funzioni. Il servizio di hosting, dal canto suo, elabora dei report dettagliati sulla “vita” di ogni singolo progetto e sulle sue varie versioni. Github era, nell’idea di Aaron, quanto di più vicino vi fosse a una specie di “mente collettiva” che lavorasse in tempo reale – in un dialogo incessante – per migliorare singoli progetti.

Aaron, in particolare, creò il suo account “aaronsw” esattamente il 4 aprile 2008. La sua prima azione importante registrata dal sistema di Github fu la creazione di un repository denominato, appunto, “watchdog”. Il progetto mostrava [p. 86 modifica] già la sua predilezione per il linguaggio di programmazione Python e per l’utilizzo di una licenza libera, in questo caso la AGPL-3.0.

I primi sei mesi nei quali Aaron usò la piattaforma Github furono dedicati proprio al lavoro sul codice alla base di watchdog.net.

Nella versione iniziale, il progetto fu presentato in maniera molto semplice: come un “hub” per la politica su Internet: «We’re trying to build a hub for politics on the Internet. Our plan has three parts: [data, action, causes]».

Anche la descrizione del programmatore/ideatore fu molto sintetica:

Founder Aaron Swartz has been building web applications for far too long. He co-founded Reddit (since purchased by Conde Nast), Jottit, Open Library, and theinfo.org. His writing on technology and politics has appeared in Extra!, Wired, Personal Democracy Forum, and other publications.

La memoria storica di Github ci dice che come suoi collaboratori al progetto furono indicati, allora, Pradeep Gowda (programmatore), Kragen Sitaker (programmatore) e Nathan Borror (designer).


Nello stesso periodo, un sito molto innovativo, denominato change.org, stava iniziando a operare, sempre da San Francisco.

Si trattava di un progetto direttamente legato all’idea di petizione: offriva ai cittadini la possibilità di promuovere le azioni che ritenessero importanti e di raccogliere firme per influenzare decisori e politici usando il web. Anche in questo caso, il fine era quello di mobilitare il più ampio numero possibile di supporter.

Change.org diventerà, in pochi anni, un elemento centrale per questo tipo di attività.

Progetti così complessi hanno bisogno, come è ovvio, di cospicui finanziamenti, non solo per partire ma, soprattutto, per mantenersi attivi nel tempo.

Nel caso di watchdog.net, ad esempio, fu la Sunlight Foundation, organizzazione senza scopo di lucro oggi non più attiva, a finanziare Aaron per sei mesi per lo sviluppo del sito. Lo sforzo economico si rivelò nobile nelle premesse, ma debole, purtroppo, nelle conclusioni.

L’idea di base era molto innovativa e piacque tanto ai finanziatori: collegare, ad esempio, i dati sui finanziamenti delle campagne elettorali alle informazioni sui lobbisti, al fine di trovare eventuali intersezioni nelle quali l’intervento di un lobbista sembrasse corrispondere a un “favore specifico” garantito nei suoi confronti da un membro del Congresso, era un’operazione assai affascinante. Anche Lawrence Lessig, ad esempio, iniziò studi specifici sul tema, e ne ribadì spesso l’importanza.

Ma ad Aaron parve, una volta avviato il progetto, che quello che si stava facendo fosse, comunque, troppo poco. Una simile azione non poteva servire per riformare, o cambiare radicalmente, il modo di far politica: i dati e la trasparenza [p. 87 modifica] non erano sufficienti per trasformare il mondo, dal momento che il vero problema, nel quadro costituzionale, appariva essere la corruzione sistemica.

Un sistema idoneo a segnalare casi singoli, e relativi a specifici membri del Congresso, non avrebbe aiutato a gestire tutti gli episodi che, inevitabilmente, sarebbero sorti in ogni apparato statale; le persone, al contempo, sarebbero rimaste deluse quando avrebbero compreso l’impossibilità di raggiungere un simile obiettivo.

Aaron si rese conto, in definitiva, che doveva puntare più in alto: trasparenza e pulizia del sistema elettorale, indipendenza dei media, aumento del livello di democrazia in società e in rete. Sapeva che la potenza di Internet gli avrebbe permesso di lavorare su problemi di più ampia portata, di pensare più in grande, e fece di nuovo capolino, in lui, questa ossessione del “voler fare sempre di più” che lo portò, ben presto, a criticare il suo stesso progetto watchdog.net, a dubitare della sua reale efficacia e, poi, ad abbandonarlo.

Oggi, in rete, rimangono pochissime tracce di questo progetto. Il nome di dominio cui rimandava, ad esempio, è stato abbandonato, e il sito web non è più in linea.

Tuttavia vi è, ancora, l’annuncio originario di quel 15 aprile 2008 che, comunque, è permeato di quell’entusiasmo e di quel sapore di novità tipici di Aaron:

Raccogliere fonti di dati da ogni dove – dati demografici dei distretti, votazioni, registri delle lobby, rapporti sui finanziamenti delle campagne elettorali, eccetera – e permettere alle persone di esplorarli in un’interfaccia elegante e unificata. Voglio che questa sia una delle interfacce più potenti, ed efficaci, per esplorare un grande insieme di dati. Ma dare solo informazioni non è sufficiente; se non si dà loro l’opportunità di fare qualcosa, si rischia solo di rendere i cittadini più apatici. La seconda parte del sito include, quindi, la costruzione di strumenti che consentano alle persone di agire: scrivere o chiamare il proprio rappresentante, inviare una nota ai giornali locali, pubblicare una storia su qualcosa di interessante che si è trovato, generare una scheda di valutazione per le prossime elezioni. E a collegare questi due elementi sarà un database collaborativo di iniziative politiche. Così, nella pagina sul riscaldamento globale, sarà possibile saperne di più sul problema e sulle soluzioni proposte, ricercare i donatori e i voti sulla questione e iniziare una campagna di comunicazione.

David Segal, membro della Camera dei Rappresentanti del Rhode Island, lavorò a stretto contatto con Aaron quando il giovane iniziò ad appassionarsi di temi politici. In un libro dove sono stati raccolti gli scritti principali di Aaron Swartz, il politico lo ricorda con affetto e, soprattutto, cerca di delineare il suo approccio politico. In questo primo progetto c’erano, infatti, già dei semi che sarebbero germogliati, poi, nelle iniziative successive.

Aaron non era, sicuramente, un cyber-utopista – ricorda Segal – Credeva, ovviamente, nel diritto a un accesso alle informazioni – un credo che, in un certo senso, [p. 88 modifica] gli è costato la vita – e mi confidò che si riteneva un “fondamentalista della libertà di parola”. Ma l’obiettivo principale di Aaron era quello di aiutare a costruire una società che fosse connotata da una giustizia sociale. Per fare ciò, non era sufficiente la trasparenza, ma serviva conoscenza, serviva la tutela dei diritti civili e serviva sempre maggiore libertà. Voleva, allora, cercare di limitare il potere di governo, delle grandi società e dei poteri economici e aumentare, al contrario, la presenza di solidarietà ed eguaglianza nel mondo.