Aggiustare il mondo - Aaron Swartz/Epilogo
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Milano, Italia. Autunno del 2022. L’anno sta terminando, e si sta avvicinando gennaio.
Tra tre mesi esatti si celebrerà il decennale della morte di Aaron.
Il giovane hacker non ha fatto in tempo a osservare gli eventi incredibili sorti attorno ai casi di Snowden e di Cambridge Analytica, il tormentato processo ad Assange e il dominio assoluto delle piattaforme e, neppure, questi ultimi anni di pandemia, di crisi economica e di guerra. Tutti fattori che hanno mutato radicalmente il quadro sociale, economico e tecnologico attorno a noi e, soprattutto, che hanno dato al panorama digitale una forma nuova che avrebbe, certamente, preoccupato il giovane hacker.
Subito dopo la morte di Aaron, nell’estate del 2013, esplosero il caso Snowden e il Datagate. Un giovane hacker nordamericano rivelò in dettaglio alla stampa e al mondo – nel mese di giugno di quell’anno – le tecnologie per la sorveglianza globale utilizzate dalle agenzie americane persino nei confronti dei loro cittadini: il dissidente fece anche circolare migliaia di documenti, slides, rapporti riservati e materiale segreto sulle relazioni Europa-USA. Snowden dovette fuggire in fretta dagli Stati Uniti d’America, transitò per Hong Kong diretto in Ecuador ma si vide costretto a riparare in Russia per evitare accuse e processi per spionaggio, alto tradimento e attentato alla sicurezza nazionale. Molti politici già domandavano a gran voce una sua condanna a morte per aver messo in crisi la sicurezza dell’intero Stato. Proprio nei giorni scorsi, il 26 settembre 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato, in piena guerra in corso e come gesto di sfida palese nei confronti degli americani, la concessione, con una legge mirata, della cittadinanza russa all’hacker statunitense.
Lo scrittore, blogger ed esperto di tecnologie, Massimo Mantellini, il 13 gennaio 2014, in un suo articolo intitolato “In memoria di Aaron Swartz”, tracciò egregiamente una linea immaginaria per unire i profili di Aaron e di Edward.
Due hacker che non si incontrarono mai ma che sono entrati, insieme, nella storia.
C’è una traiettoria sottile – esordisce Mantellini – ma molto evidente che unisce Aaron Swartz a Edward Snowden. Swartz è morto un anno fa, a soli 27 anni, era un hacker, uno dei pochissimi a cui un simile appellativo non vada stretto e non suoni banale. Si è ucciso, schiacciato dal peso delle sue scelte di campo o forse da differenti abissi della sua mente. Nulla, del resto, è più pericoloso del senno di poi, se proviamo a indagare le ragioni di un suicidio, scelta imponderabile ed illogica per definizione. Tuttavia, nel caso di Swartz, molto più chiaramente che in altre occasioni, la relazione fra la sua morte e l’ostilità diffusa che lo circondava, quella che siamo soliti riservare a tutto ciò che è nuovo e diverso, è tanto chiara da risultare quasi incontestabile. L’ombra di un apparato autoritario e immobile, che dai luoghi simbolo della conoscenza (il MIT di Boston) arriva fino alle aule di tribunale e alla pervicacia di un giudice, per stigmatizzare e punire le scelte di campo di un giovane che aveva progetti troppo grandi: liberare il mondo, spargere il sapere, togliere i legacci alla conoscenza. E che con i modi, l’avventatezza e l’incauto ottimismo dei vent’anni, è andato tragicamente a sbattere contro un sistema abituato ad altri argomenti, più tiepidi entusiasmi e differenti velocità. Eppure, se c’è un paese che è riuscito a valorizzare l’età dei giovani adulti, è quello degli USA: accade in particolar modo, da qualche decennio, nell’innovazione tecnologica, in ambienti nei quali, come in nessun altro comparto, fatta forse eccezione per l’arte, la verginità è una moneta di scambio, il pensiero laterale un’opportunità, la rottura degli schemi un metodo ampiamente accettato, anche a costo di fallimenti e ripartenze.
Mantellini evidenzia diversi elementi che legano le vicende di Aaron Swartz a quelle che coinvolgeranno, a sei mesi di distanza e sempre su suolo nordamericano, Edward Snowden. Accadimenti che genereranno, da parte dell’autorità, reazioni spropositate.
Edward Snowden – continua Mantellini – da mesi in fuga obbligata da quello stesso Paese, costretto a riparare altrove come un ladro di polli, per colpa di verità che non si possono dire, minacciato e svilito in ogni maniera possibile, perché solo gli autorizzati, nei modi e nei tempi dovuti, possono mostrare al mondo la luminosa scia di democrazia e libertà a stelle e strisce, mentre a chiunque altro che desideri farlo in autonomia tutto questo è precluso, è stato ripagato con la medesima moneta: un granitico muro di biasimo ed irriconoscenza da parte dello Stato-chioccia, che predica la libertà rifiutando i suoi uomini più liberi. Anche per lui vaste minacce di punizioni e galera. Snowden è l’altro lato della medesima medaglia. Anche lui, come Swartz, rompe i codici, ribalta i comportamenti, anche lui, per contestare pericolose prassi consolidate, utilizza la Rete. Questa è – intanto – la prima cosa che ce li rende entrambi vicini e che scatena solidarietà planetarie. Anche lui, con l’ingenuità eroica dei vent’anni, ottiene, esattamente come Aaron, l’effetto di mostrare al mondo le grandi ambiguità del gigante buono, ma svela anche gli imbarazzanti vassallaggi dei tanti amici intorno. Disegna un pianeta nel quale, in vaste regioni, non vola foglia che l’America non voglia e lo fa con esempi concreti, non con le elucubrazioni del complottista. Ed anche questo in fondo è ribaltare il tavolo, scoperchiare verità che restavano lì a sonnecchiare silenziose. Per estremo paradosso e per suprema complicazione, il Guardian di Londra è costretto infine a far pubblicare le carte di Snowden dalla sua redazione USA: le parole di un cittadino americano fuggito in Russia, pericolose da dire in Gran Bretagna, in una confusione di ruoli che non è solo apparente, ma il risultato di multipli incroci schizofrenici.
Siamo in presenza, conclude Mantellini, di due ragazzi normali che sono stati demoliti da governo e politica. Due ragazzi che avrebbero potuto dare ancora molto al mondo, e che sono stati invece perseguitati – o costretti a fuggire – per le loro idee e le loro scelte.
In nessuno dei due casi – conclude – né a margine della tragica fine di Aaron Swartz, e tantomeno nel caso di Edward Snowden, è stato possibile tentare il trucchetto del diverso e del pazzo, così egregiamente riuscito con Julian Assange, uomo strano e forse discutibile, esiliato nella piccola ambasciata dell’Ecuador a Knightsbridge. Due ragazzi normali, più normali della media, di una pulizia difficile da attaccare: nessuna possibilità di ridurli ai margini nella usuale delegittimazione che si applica tracciando una linea fra noi e loro, fra il normale ed il patologico. Una delegittimazione usuale che nel caso di Snowden è stata comunque tentata nei primi mesi dopo la sua fuga, ma con scarsi risultati. Nel caso di Swartz, semplicemente non si poteva, perché il dolore della morte supera qualsiasi cinismo architettato ad arte, perché le minacce di anni di galera come punizione per aver liberato testi accademici su Internet raccontano un tale collasso di senso ed intelligenza, che davvero non ammette replica. E nella drammatica evenienza di una morte, segna con un tratto di penna indelebile l’abisso di una nazione intera.
Un anno dopo la vicenda di Snowden, nel 2014, le rivoluzioni tecnologiche continuano. Facebook acquista WhatsApp: inizia, con questa storica fusione, quella concentrazione, in pochi colossi tecnologici, di potere – e di big data – che diventerà la caratteristica principale della società dell’informazione moderna e che prenderà la forma di un vero e proprio capitalismo della sorveglianza, come lo definirà puntualmente la studiosa Soshana Zuboff. I dati dei cittadini diventano merce, o valuta, e sono gli stessi cittadini a esibirli, e a metterli in circolazione, denudandosi, in cambio di servizi apparentemente gratuiti o a basso prezzo.
Il 2015 appare essere l’anno delle self-driving cars e dei droni: due tecnologie che attirano gli interessi, le energie e le risorse di sviluppo dei tre grandi Apple, Facebook e Google. Anche il mondo dei contenuti e del copyright, tanto caro ad Aaron, sta cambiando pelle rapidamente: in quell’anno, vi è il boom dello streaming, un nuovo modo per fruire di contenuti che elimina dal mercato i DVD. Nel frattempo, Instagram supera Twitter come numero di utenti e Tesla annuncia la possibilità concreta di eliminare il guidatore dalle auto.
Il 2016 è l’anno della politica, delle tornate elettorali e delle fake news. È un anno che certamente avrebbe appassionato Aaron: la piattaforma Facebook è infestata da disinformazione – non solo politica – e ci si sta preparando all’arrivo dello scandalo mondiale causato dall’operato della società Cambridge Analytica. Un caso giudiziario diventato celebre – Apple vs. FBI – riporta in auge, in quei mesi, il tema della crittografia, della cifratura delle informazioni personali e della sua potenza: Apple si rifiuta di violare, per conto dell’FBI, il sistema operativo iOS di un suo stesso telefono – trovato in tasca a un terrorista ucciso nella strage di San Bernardino – protetto da crittografia forte. La società di Cupertino viene pubblicamente accusata, dai vertici del governo statunitense, di «proteggere le attività di terroristi e pedofili», ma non arretra di un passo e non indebolisce il proprio sistema operativo, né attiva backdoors per favorire l’ingresso delle forze dell’ordine nei suoi dispositivi. L’FBI rinuncerà a portare avanti la vertenza giudiziaria, ma l’attacco alla crittografia come tecnologia pericolosa, e alla possibilità per i cittadini di custodire i loro segreti, era stato portato di nuovo.
Il 2017 è l’anno, assai vivace, dell’indagine triangolare “Russia – Facebook – Fake News”, dove appare a tutti concreta la possibilità di sovvertire un ordine democratico con azioni mirate, in periodo pre-elettorale, volte a diffondere disinformazione, ad attaccare i dati delle organizzazioni politiche e a orientare con tecniche subdole i voti dei cittadini, dopo averli profilati. Iniziano, anche, a verificarsi i grandi data breach, con la fuga di milioni di dati di cittadini dai sistemi di Equifax: appare chiara la vulnerabilità della società digitale sin lì creata, un sistema che raccoglie big data in ogni momento, ma che non è grado, al contempo, di prevedere dei sistemi di sicurezza adeguati a proteggerli. In quello stesso anno, aumenta il successo delle cryptovalute, mentre gli attivisti tecnologici protestano per la volontà, da parte della Federal Communications Commission, di eliminare la neutralità della rete e di abolire le regole che obbligano i provider a trattare tutti i dati, i contenuti e i pacchetti allo stesso modo.
Nel 2018, scoppia lo scandalo di Cambridge Analytica, esplode il fenomeno degli YouTuber, il 5G viene presentato come la tecnologia del futuro e Mark Zuckerberg è costretto a presentarsi a Washington per cercare di spiegare al mondo della politica, con non poco imbarazzo, il motivo per cui la sua piattaforma non avesse individuato ciò che stava succedendo. Intanto, Elon Musk sta aumentando il suo potere e diversificando i suoi interessi: Tesla, spazio, satelliti e sistemi di comunicazione da usare in situazioni di emergenza. Il suo sistema di satelliti Starlink viene usato, qualche anno dopo, per garantire la comunicazione in territorio ucraino nei primi mesi della guerra e in Iran, per aggirare operazioni di censura o chiusura di provider e disattivazione di reti da parte dei governi. In Europa, il 25 maggio 2018 viene attuato il GDPR, la più importante normativa sulla protezione dei dati mai elaborata nel Vecchio Continente, già entrata in vigore due anni prima: si propone, anche, di limitare, e normare, il trattamento dei dati dei cittadini europei da parte delle grandi società tecnologiche nordamericane e cinesi.
Nel 2019, l’anno di TikTok, iniziano a diffondersi anche l’Internet delle Cose e il podcasting. Il mondo delle web-radio era stata una delle grandi passioni di Aaron – i primi post sul suo blog parlano proprio di questo – e i podcast avrebbero certamente attirato la sua attenzione e il suo interesse.
Il 2020, l’anno della pandemia, segna il boom del cloud e dei software collaborativi a distanza. La morte di George Floyd fa sorgere il movimento Black Lives Matter: gli attivisti iniziano a sollecitare, dopo questo caso, un uso intenso della tecnologia quale strumento perfetto per raccogliere testimonianze per le strade. Gli smartphone diventano lo strumento preferito per il live streaming. Il Presidente Trump insiste, in quell’anno, per rimuovere la famigerata Section 230 del Communication Decency Act del 1996, una normativa che ha fornito una sorta di scudo alle piattaforme online che pubblicano i contenuti, limitando la loro responsabilità. Si tratta di quella che è considerata la norma fondante che ha permesso alle piattaforme di fiorire e di vedersi garantire un ampio margine di libertà con riferimento a tutto ciò che pubblicano. Il suo tentativo, però, non andrà a buon fine. Come conseguenza della pandemia, aumentano sensibilmente gli episodi di disinformazione, gli attacchi di phishing e le truffe informatiche.
Il 2021 è l’anno del metaverso, dell’intelligenza artificiale e degli NFT, mentre il 2022 vede riaprirsi un dibattito sulla delicata posizione di Julian Assange, con un accordo UK-USA-Ecuador per la sua estradizione. In Iran, nel frattempo, la tecnologia viene usata ancora una volta come strumento per esercitare i propri diritti di protesta e per opporsi al regime. Durante il conflitto Russia-Ucraina, le fake news e il deepfake vengono utilizzati come veri e propri strumenti di guerra, così come i droni, i sistemi di riconoscimento facciale, i virus e il phishing.
La Electronic Frontier Foundation, una delle associazioni preferite da Aaron, che collaborò anche a finanziare alcuni suoi progetti, è ancora oggi in piena attività e, ogni anno, organizza un “giorno della memoria” per ricordare il giovane hacker. Oggi la EFF si occupa, tra le altre cose, di riconoscimento facciale, di sorveglianza, di tutela dei diritti umani, di violazione della privacy degli smartphone e dei cittadini, di concorrenza, di copyright e di brevetti. Sul sito, sono decine i documenti che ricordano le attività e le controversie giudiziarie di Aaron.
Lawrence Lessig, Carl Malamud, Tim Berners-Lee e Brewster Kahle, quattro dei più importanti punti di riferimento per Aaron quando era in vita, sono ancora impegnati nelle loro attività di ricerca e di attivismo. Quinn Norton continua a fare la giornalista e la scrittrice, Lisa Rein è coinvolta in numerose iniziative artistiche e letterarie, molte delle quali pensate per ricordare Aaron. Taren Stinebrickner-Kauffman, la sua ex compagna, continua a operare come attivista. Carmen Ortiz, la procuratrice che guidava l’ufficio che ha accusato Aaron, si è dimessa da ogni incarico nel dicembre del 2016. Stephen Heymann, il procuratore che si era preso carico del caso, è passato a svolgere la professione privata di avvocato.
Negli ultimi dieci anni, la sorveglianza e il controllo dei dati dei cittadini si sono espansi a livelli preoccupanti. La governance della rete, delle piattaforme, dei big data e dell’intelligenza artificiale è in mano a non più di una decina di grandi società, statunitensi e cinesi. I governi hanno emanato sempre più norme volte a regolamentare il digitale, e da un “Far-West giuridico” si è passati a una situazione di iper-produzione normativa, che vorrebbe disciplinare ogni aspetto del digitale.
La memoria di Aaron, al contempo, non è scemata e, anzi, è ancora viva. Il web è pieno di toccanti e sentite commemorazioni pubbliche e ricordi, di conferenze sui temi a lui cari, di premi e memoriali a suo nome, di biografie, d’interrogazioni politiche e proposte di legge, di riflessioni critiche e di continui tentativi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su ciò che è successo e sulla gravità degli eventi.
I più attivi sono stati, in questi ultimi anni, i componenti della sua famiglia, gli affetti più cari, i suoi amici storici, mentori e colleghi ma, anche, semplici cittadini. Alcune amministrazioni comunali, anche in Italia, hanno intestato sale ricreative e spazi ad Aaron.
Oggi, con una rete che sta ancora una volta cambiando pelle e ha ormai preso la direzione del controllo dell’individuo, della profilazione selvaggia degli utenti e della centralità dei social network, le attività e le intuizioni di Aaron sono sempre più citate e prese ad esempio quali possibili strumenti correttivi del sistema.
Di certo, dieci anni, nel mondo digitale, sono un’era. A dieci anni esatti dalla sua morte, il panorama tecnologico che ci troviamo ad analizzare appare radicalmente mutato, rispetto a quello in cui operava Aaron. È cambiato in un modo che, probabilmente, non gli sarebbe piaciuto.
La riduzione di tutta l’informazione a valuta, comprese le emozioni delle persone che agiscono online e, poi, la fusione di mondo privato, degli utenti e del mondo governativo/pubblico in un unico, grande strumento di controllo sarebbe stata traumatica, per lui. Vi è stato l’avvento, come ribadì più volte Lawrence Lessig, di un Big, Big Brother.
Guardando in retrospettiva, e cercando di riflettere su come le azioni e le strategie di Aaron Swartz possano essere assolutamente attuali anche nel quadro moderno, notiamo molti aspetti interessanti.
Aaron ha, innanzitutto, combattuto per costruire un ponte tra il mondo dell’attivismo e dei diritti – tanto caro anche, e soprattutto, alla tradizione nordamericana – e quello tecnologico.
Ha cercato, in particolare, di comprendere come orientare la potenza dell’onda tecnologica in una direzione che fosse utile per i diritti di libertà dei cittadini. E lo ha fatto in un momento storico e politico critico.
Ha, poi, ribadito l’importanza centrale della curiosità in capo alle persone, della volontà di mettere tutto in discussione, di valutare con cura tutti gli aspetti di un fenomeno sociale, di una legge, di un’istituzione, di un’opera.
Si pensi a quanto gli sarebbe interessato, ad esempio, il fenomeno delle fake news in società e in politica, per come è esploso negli ultimi anni.
Tutta la sua attività fu mossa, sempre, da una inarrestabile curiosità, e la curiosità si collega direttamente alle origini dell’informatica e all’aspetto più nobile della tradizione dell’hacking. Ci riferiamo a quella curiosità innata, senza freni, che porta anche a superare limiti, a violare confini, a cercare di far cadere il velo di segretezza, che il potere è così propenso a mantenere, per tutelare la sua posizione di vantaggio nei confronti del cittadino.
Per Aaron, al centro di tutto vi era la convinzione che l’informazione – e i cittadini correttamente informati – fossero il bene più importante e più prezioso, un bene del quale nessuno, in nessuna parte del mondo, doveva essere privato.
Non solo, quindi, lo affascinò la teoria dei commons, dei beni comuni, ma pensava a un vero e proprio diritto in capo all’umanità di accedere a tutte le informazioni, un diritto che voleva fosse riconosciuto giorno dopo giorno. E, anche in questo caso, le sue idee si ritrovano non soltanto nelle azioni che Tim Berners-Lee e altri continuano a portare avanti, ma anche nei vari progetti di carte dei diritti che cercano di costituzionalizzare i principi inviolabili correlati alla rete. Stefano Rodotà in Italia, ad esempio, con la sua Dichiarazione dei Diritti di Internet del 14 luglio 2015, fu uno dei più illuminati teorici di questo aspetto.
Anche le sue incredibili capacità informatiche – come programmatore ma, anche, come progettista – erano orientate nel collegare queste informazioni, nel combattere la censura, nel rimuovere ogni possibile limitazione di accesso ai contenuti e alla rete. Una continua ricerca di ordine e di catalogazione, unita, però, alla semplicità di utilizzo per l’utente comune.
Nonostante Aaron sia vissuto nell’era della nascita delle prime grandi startup che, poi, avrebbero condizionato il mondo tecnologico e dei big data, si mantenne sempre ai margini di un settore, quello dell’imprenditoria, dove era rimasto scottato con l’esperienza di Reddit e dove, eticamente, si era sentito in difficoltà ad arricchirsi come stavano facendo i suoi coetanei della Valley, ossia chiudendo le informazioni, profilando le persone sin negli aspetti più intimi, monetizzando quell’informazione che lui voleva, invece, libera e gratuita.
Del resto, quello era l’unico modo, secondo lui, per limitare i poteri sia dei governi, sia delle multinazionali che già si stavano espandendo. Non solo le multinazionali dei contenuti e del copyright – si interessò, è vero, alla questione dello strapotere di Hollywood ma, per lui, era un problema satellite, indice di una questione più grande – ma tutte le società e le piattaforme che stavano mettendo i dati e i contenuti, e la loro capitalizzazione, al centro del business.
Se scorriamo il programma dell’ultima edizione dell’Aaron Swartz Day, l’evento organizzato dalla EFF ogni anno per commemorare Aaron, notiamo chiaramente l’attualità dei temi che già lui trattava, e la loro costante evoluzione.
Vediamo, ad esempio, alcune conferenze sul servizio SecureDrop – il suo progetto per la sicurezza delle fonti – ma, anche, la presentazione del progetto BadApple, una collaborazione tra Priveasy e l’Aaron Swartz Day Police Surveillance Project per fornire strumenti, e risorse preziose, con l’obiettivo di responsabilizzare le forze dell’ordine e porre fine a possibili condotte illegali da parte loro.
L’idea alla base di BadApple, che sicuramente Aaron avrebbe amato, è quella di creare un database ricercabile di modelli di Public Records Act, che consentano a chiunque di richiedere, in modo semplice ed efficace, i documenti relativi a un agente specifico o a un incidente che coinvolga l’operato illecito della polizia o alle tecnologie di sorveglianza usate dalla polizia stessa (come droni, stingray o software per azioni di polizia predittiva).
Il database consente a chiunque di consultare le informazioni sugli agenti che sono stati condannati per comportamenti illeciti e diventa, così, uno strumento importante per controllare gli agenti e garantire che coloro che abbiano precedenti non vengano semplicemente spostati in nuove sedi, ogni volta che vi sia un accertamento fondato di responsabilità contro di loro.
Tutte le informazioni contenute nel database provengono direttamente dagli affari interni o da una commissione di supervisione e sono trascritte, parola per parola, dal loro rapporto ufficiale post-investigativo. Utilizzando il database, è possibile trovare immediatamente i dettagli dei rapporti investigativi relativi a un determinato agente, organizzati in modo ordinato, per visualizzare tutte le informazioni pertinenti, oltre alla possibilità di visualizzare il rapporto completo in qualsiasi momento.
Tutti i rapporti investigativi sono archiviati presso l’Internet Archive ed ordinati tramite una indicizzazione molto accurata. Un utilizzo ulteriore che si può fare di questo sistema è quello che permette di trovare le commissioni di supervisione della polizia nella zona dell’utente e segnalare fatti, comunicando in maniera anonima e senza timore di ritorsione alcuna. Il suo carisma, il suo carattere, il suo attivismo, le sue competenze e la sua fragilità continuano a riunire attorno alla memoria di Aaron, e ad affascinare, tantissimi operatori della società tecnologica: hacker, politici, artisti, scrittori, bibliotecari e tecnologi della vecchia guardia.
Studiosi del calibro di Cory Doctorow, di Tim Berners-Lee e di Lawrence Lessig lo ricordano ancora e, in alcuni progetti, continuano a cercare di portare avanti, in un certo senso, il suo pensiero.
Il suo sito/blog, Raw Thought, è online e, con ogni probabilità, ci rimarrà per sempre grazie all’attività di tanti volontari. Ogni volta, rileggendo i suoi numerosi articoli, si trovano spunti nuovi di riflessione.
Tutti questi pensieri rimasti sul web, al di là di interpretazioni e ipotesi che si possano fare su alcuni momenti critici della sua vita, sono la fonte più importante per comprenderlo veramente, anche in tutte le sue contraddizioni.
Dal blog, sembrerà strano per un “figlio di Internet”, emerge anche il suo grande amore per il mondo analogico, soprattutto con riferimento a due aspetti: i libri e le biblioteche, e la necessità costante di avere un contatto fisico con le persone o di metterle in contatto tra loro. Questo ponte tra vecchio e nuovo gli consentiva di creare, in ogni momento, collegamenti estremamente originali.
Dopo la sua morte, la frase più comune, in tante commemorazioni ed eventi pubblici, fu di questo tenore: «poteva essere uno dei grandi innovatori e creatori del nostro futuro, ma nessuno lo saprà mai!». In effetti, nessuno lo può sapere. Né si può ipotizzare come si sarebbero evolute le sue idee in un quadro così cambiato. Sarebbero, quindi, considerazioni fatue.
Di certo, i progetti che ha lasciato su cui riflettere, e da cui prendere spunto, sono tanti, così come questa urgenza di organizzare le informazioni e di cercare di riparare ogni cosa che non funziona bene: da un computer alla democrazia, da una parte di codice sino al governo, al sistema giudiziario o alle leggi.
«Dobbiamo agire senza alcun timore», diceva spesso, «perché è un nostro dovere pensare in grande».
E la sua decisione, nel periodo della maturità, fu proprio quella di investire il suo tempo solo in qualcosa che fosse importante, unico e grande.
Nobile fu, anche, l’attenzione per gli ultimi, per chi voleva rimanere anonimo, e il pensare a come usare le tecnologie per dar voce a persone che, nel dialogo con professionisti e celebrità potessero, comunque, fornire il loro contributo nella creazione di codice o di contenuti di valore.
Era un aspetto che aveva vissuto sulla sua pelle: il timore di non essere preso in considerazione seriamente in determinati ambienti a causa della sua giovane età o della gracilità del suo fisico. Ma era fermamente convinto che dal confronto, dal dibattito e dalla messa in discussione, e costante revisione, di qualsiasi concetto potesse uscire il meglio dell’umanità.
Più che pensare, allora, a cosa ci avrebbe potuto dare e dire ancora, è opportuno riflettere sul fatto che abbia prodotto sufficiente materiale e progetti, per ripercorrere criticamente l’intera storia di Internet dalle origini sino al 2013.
Il tutto, con una profondità di visione che è utile anche per interpretare il quadro tecnologico odierno, e per discernere ciò che è andato bene e ciò, invece, che si è perso, anche rispetto alle originarie promesse. E che andrebbe aggiustato.
Seguendo il suo esempio, ciascuno, con le proprie competenze – piccole o grandi che siano – dovrebbe, ogni giorno, combattere per cercare di aggiustare il mondo.