Agamennone (Eschilo)/Terzo episodio

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Eschilo - Agamennone (458 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1921)
Terzo episodio
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TERZO EPISODIO


Fra alti clamori e squilli di trombe, su un carro di guerra, seguito
da guerrieri e da prigionieri Troiani, fra i quali, su un altro carro,
è Cassandra, entra Agamènnone


corifeo

Agamènnone, figlio d’Atreo,
signore, che Troia hai distrutta,
come io ti dovrò salutare?
Come io potrò renderti onore,
780né troppo innalzandoti,
né troppo abbassandoti dal punto opportuno?
Fra gli uomini, molti prescelgono
parere, e non essere,
e lunge dal giusto s’avviano.
785A pianger con chi s’addolora
è pronto ognun d’essi; né addenta
il morso del duolo i lor visceri;
e a quanti si allegrano,

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sé mostrano allegri, sforzando
790i volti, ove riso non brilla.
Ma chi ben conosce sue pecore,
non vale ad illuderlo il viso
di chi lo blandisce con ilare aspetto,
con tepido affetto.


COREUTA

795Quando tu trascinasti l’esercito
dietro ad Elena, a tristi colori,
non lo nego, dipinto io ti vidi:
né mi parve che tu del tuo senno
piú reggessi la barra, che a morte
800conducevi la gente. Ma ora,
non a cuore leggero, né senza
amistà, si rivolge il mio spirito
a chi bene l’impresa compie’.
E col tempo, se indaghi, vedrai
805chi fra gli uomini d’Argo s’attenne
a giustizia; ed impronto chi fu.


AGAMENNONE

È giustizia che prima Argo io saluti
e gl’indigeti Numi: essi a me furono
del ritorno gli autori, e della pena
810giusta che inflissi alla città di Priamo.
Essi la causa, e non da ciance, appresero;
e, senza bilanciare, il voto misero,
ch’Ilio fosse distrutta, e spenti gli uomini,

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nell’urna della strage: all’altro vaso
815s’accostava la man della speranza,
né pur lo riempie’. La città presa,
per l’altissimo fumo è insigne ancora:
procelle di sciagura ancora spirano:
sprizzano i pingui aneliti del fasto
820dalla morente cenere. Or, di memore
grazia compenso ai Numi diam: tendemmo
l’immane laccio; ed a riscatto d’una
femmina, una città ridusse in polvere
l’argiva fiera, d’un cavallo prole,
825la falange di scudi orrida. Un salto,
al cader delle Pleiadi, spiccò:
oltre le torri si lanciò, leone
sitibondo di sangue; e sangue regio
lambí, ne fu satollo. Il mio preludio
830ai Numi è questo. - E quanto a ciò che detto
m’hai tu, l’ho udito, e l’ho notato, e anch’io
penso lo stesso, e m’accordo con te.
Degli uomini ben pochi hanno tale indole
che senza invidia onorino l’amico
835nella prospera sorte. Il velen tristo
siede nel cuore, e a chi tal morbo nutre
addoppia il cruccio, e dei malanni proprî
s’aggrava, e geme nel veder l’altrui
felicità. Ben vidi, e dir potrei -
840ché le parole a me son chiaro specchio -
che d’ombre vane immagini eran quelli
che in apparenza piú benigni m’erano.
Il solo Ulisse, che le vele sciolse

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a mal suo grado, poi che meco fu
845stretto ad un giogo, mi restò fedele.
Sia morto egli, sia vivo, io ben l’attesto.
E quanto a provveder ad Argo e ai Numi,
voglio che, indotte pubbliche adunanze,
deliberiamo in assemblea: ché lunga
850vita vivere possa il ben presente.
E ov’è bisogno di rimedî e farmachi,
o con la fiamma, o con acconci tagli,
procacceremo che la doglia e il morbo
cessino. Adesso, alla mia casa muovo,
855al focolare: e volgerò la destra
dapprima ai Superi: essi m’inviarono,
ricondotto essi m’hanno; e la Vittoria
che m’ha seguito, fra noi fermi il piede.


CLITENNESTRA

esce dalla reggia, seguita da sei ancelle che portano sulle braccia
tappeti di porpora

O cittadini, o d’Argo antico fregio,
860mostrare innanzi a voi quant’io diliga
lo sposo mio, non mi parrà vergogna.
Spenge il tempo negli uomini il ritegno.
Non per udita altrui vi narrerò
qual fu mia vita misera nel tempo
865che sotto Troia fu lo sposo. E prima,
seder la sposa entro la casa, sola,
lontana dallo sposo, è immenso cruccio,
e tante udire ingrate voci, ed uno

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giungere, e un altro, ad annunciare un male
870piú funesto, e di grida empir la casa.
Che se costui tante ferite avesse
sofferte, quante ne giungea la fama
sino alla reggia, sforacchiato crederlo
piú che una rete si dovea: se morto
875quante volte dicea la fama, fosse,
novello Gerïone, egli tre corpi
avria dovuto possedere, e tre
manti di terra già indossare, spento
in ciascuna sua forma. Onde, piú volte,
880per queste voci luttuose, i lacci
al collo mio già stretti, altri disciolse
a viva forza. - Ed è questa la causa
che non è qui, come dovrebbe, il figlio,
il pegno della mia, della tua fede,
885Oreste. Non meravigliare. Strofio
focese, affettuoso ospite, l’educa,
che mi predisse un mal duplice: il rischio
che tu correvi sotto Ilio; e che il popolo,
franto a tumulto ogni potere, al suolo
890rovesciasse il governo: usano gli uomini
su chi cadde vibrare ancora un calcio.
La mia discolpa non asconde frode. -
Inaridite in me son le precipiti
fonti del pianto, e piú stilla non v’è.
895Nelle insonni pupille impresso ho il danno:
ch’io piangevo per te, sempre aspettando
del fuoco il nunzio, e non giungea. Dai lievi
sogni, il susurro e il battito dell’ali

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d’una zanzara mi destava; e tue
900sciagure viste avea, piú che del sonno
non ne capesse il tempo. - Ed or che il male
sofferto è già, con cuor lieto, quest’uomo
dirò cane fedel della sua casa,
gómena che salvezza è della nave,
905saldo pilastro dell’eccelso tetto,
figliuolo unico al padre, terra apparsa
ai naviganti contro ogni speranza,
giorno fulgente dopo il turbine, acqua
di vena al peregrino arso di sete.
910Questo è il saluto ond’io t’onoro: e lunge
rimanga invidia: ché da troppi mali
fummo di già colpiti. Ora, o diletto,
dal cocchio scendi; e non poggiare al suolo,
quel piede, o sire, ch’Ilio calpestò.
915Che indugiate, fantesche? È vostro il compito
di ricoprire coi tappeti il suolo:
presto, velata sia la via di porpora,
sí che Giustizia lo conduca ai tetti
com’egli non credea. Quanto altro bramo,
920col voler degli Dei provvederà
che si compia, un pensier che non assonna.


AGAMENNONE

Figlia di Leda, della casa mia
custode, acconce son le tue parole:
lunga l’assenza fu, lungo il tuo dire.
925E l’elogio è tal dono, che dagli altri
solo venir ci può. Ma, quanto al resto,

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non mi trattare mollemente, a guisa
di donna, né levar voce prostrata
al suol, come di barbaro, né fare
930che la mia via, cosparsa di tappeti,
segno d’invidia sia. Simili onori
si prestino agli Dei. Sopra tappeti
versicolori muovere io, mortale,
non so senza timor. Come a mortale,
935dico, non come a Dio, fatemi onore.
Anche senza tappeti e senza vesti
varïopinte, il buon nome risuona.
È sommo dono degli Dei pensiero
scevro di mali. E sol chi senz’affanno
940finí sua vita, potrai dir beato.


CLITENNESTRA

Deh!, non volermi contraddire in questo!

AGAMENNONE

Sappi che il pensier mio non struggerò.


CLITENNESTRA

Per timore tal voto hai fatto ai Numi?


AGAMENNONE

Certo: e come altri mai coscienza n’ebbi.

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945Che fatto avrebbe, di’, se vincea, Priamo?


AGAMENNONE

Sulla porpora, certo, mosso avrebbe.


CLITENNESTRA

Non temer dunque il biasimo degli uomini!


AGAMENNONE

Pure, voce di popolo ha gran possa.


CLITENNESTRA

Non è felice l’uom cui niuno invidia!


AGAMENNONE

950Bramar contese non conviene a donna.


CLITENNESTRA

S’addice il darsi vinti, ai fortunati!


AGAMENNONE

Tanto a cuore ti sta vincer la lite?

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CLITENNESTRA

Accondiscendi: di buon grado cedi.


AGAMENNONE

Poi che tu vuoi cosí, presto, i calzari
955servi del piede mi disciolga alcuno:
ché qualche invidïoso occhio di Nume
non mi colpisca da lontano, mentre
sulla porpora incedo. Assai vergogna
per me sarebbe calpestare, struggere
960questi tappeti, compri a peso d’oro,
e rovinar la casa mia. Ma basta.

Indica Cassandra


Questa straniera accogli or nella casa
benignamente: ché da lunge il Nume
benigno mira chi soave impera:
965poi che al giogo servil nessuno piegasi
per suo volere. È questo il fiore eletto
fra molti beni, è il dono dell’esercito,
e m’ha seguito. Or via, poi che m’indussi
ad ascoltarti, nella casa entrare
970debbo movendo il pie’ sovra la porpora.


Scende dal carro e s’avvia sopra i tappeti


CLITENNESTRA

Evvi il mare, e chi mai l’essiccherà,
che di porpora molta il succo nutre,

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come l’argento prezïoso, e sempre
si rinnovella. Ha la tua casa, o re,
975dovizie assai, mercè dei Numi: ignora
la tua casa penuria. Oh!, molti drappi
avrei promesso calpestar, se tanto,
a riscattare la tua vita, imposto
m’avesse, quando il modo io ne cercavo,
980nei delubri fatidici l’oracolo.
Ché, quando viva è la radice, stendesi
sulla casa il fogliame, e contro Sirio
canicolare l’ombra oppone. E tu,
giunto al tuo focolar, sembri tepore
985nel gelo dell’inverno e quando Giove
nell’uve acerbe il vin matura, già
alita per la casa una frescura,
se il signor vi s’aggira.

Agamennone è entrato



                         Oh Giove, Giove,
990che i voti compî, esaudisci il mio:
a cuor ti stia quel che tu sei per compiere!

Entra nella reggia