X. Una sentenza di morte civile

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X. Una sentenza di morte civile
Prologo - IX Il dramma storico

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CAPITOLO X.

Una sentenza di morte civile.

Trasportiamoci sulla piazza della cattedrale di Milano, nel giorno 15 agosto dell’anno 1977.

Da soli tre mesi fu ridotta a compimento la magnifica facciata del tempio; da soli tre mesi, nella vastissima piazza, larga tre miglia quadrate, auspice il Proposto [p. 66 modifica] Terzo Berretta, la famiglia dell’Olona ha solennizzata la Nuova Pasqua delle genti.

Ed oggi il funebre squillo della campana di Giustizia richiama i cittadini nella piazza per assistere ad una cerimonia lugubre, alla condanna di un gran delinquente, cui giusta il Codice di redenzione è riservata la pena della morte civile.

Allo scoccare dell’ora sesta, una folla di duecentomila persone si estende dalla gradinata del tempio fino alla estremità della contrada Santo è il Lavoro, che termina all’Arco della Pace.

Non una donna fra tanta moltitudine.

Questa elettissima parte dell’umana famiglia è dispensata dall’intervenire alla triste cerimonia. — Nell’anno 1977, una donna che spontanea assistesse a tale spettacolo sarebbe disonorata.

La creatura nata per amare, benedire e compiangere, non deve assistere ai sacrifizii inesorabili della legge.

Ma silenzio...! L’ora giuridica è suonata... L’esecutore della legge ha tolte le cortine che coprivano il palco d’infamia elevato a poca distanza dalla cattedrale... Il colpevole, vestito di gramaglia, le ginocchia strette di catene e il volto velato... deve udire la sentenza...

I magistrati, i savii, gli anziani del popolo, che seggono nelle tribune laterali, si levano in piedi, si scoprono il capo... Le porte del tempio si spalancano. I sacerdoti preceduti dal gran Levita si schierano sulla gradinata, giungendo le mani in atto di preghiera.

Un colpo di cannone annunzia ai presenti ed ai lontani fratelli dell’Olona che il banditore della giustizia è salito sulla torre e sta per proferire la sentenza...

La coscienza del dovere ha imposto silenzio alla folla... Duecentomila persone ammutoliscono... al primo cenno della legge. [p. 67 modifica]

Qual è dunque la voce potente, che si propaga dall’un capo all’altro della città, come eco di tuono?

Il banditore della giustizia parla dalla tromba elettroeufonica, che ha facoltà di centuplicare il volume dei suoni...

L’Angelo dell’Apocalisse potrebbe servirsi di quella tromba per evocare i morti al giudizio finale.

Ascoltiamo la voce del banditore:

«A me, Federico Manfredi, banditore del Tribunale di Giustizia nella famiglia centrale dell’Olona, incombe il triste ufficio di partecipare ai presenti ed ai lontani, ai cittadini d’Italia e di tutta la Unione Europea, nonché agli abitatori delle altre parti del globo che a noi si legarono o fecero solenne adesione ai nuovi patti sociali e politici dell’Era di Redenzione, qualmente all’adulto fratello Secondo Albani, reo, confesso e convinto di parricidio, dietro sentenza concorde dei trecento consiglieri giurati, e il voto dei savii e degli anziani del popolo, sia decretata la condanna suprema della morte civile.

«Le sagge riforme del Codice, le benefiche istituzioni civili e i tanti provvedimenti umanitarii introdotti nella famiglia sociale, resero il delitto meno frequente. Da quattro anni il nostro Tribunale di Giustizia non ebbe a giudicare alcun individuo imputato di assassinio. Ma pur troppo alle leggi e alle savie istituzioni sociali non è concesso mutare la natura dell’uomo. Il progresso ha temperato gli istinti, raddolciti i costumi; ma il germe del male, inerente alla creta viziata, non può a meno di svilupparsi in qualche individuo, e produrre il misfatto.

«Finalmente, oggi abbiamo a deplorare una anomalia di tal genere. Secondo Albani, l’adulto ventenne, che oggi vediamo relegato sul palco dell’infamia, sospinto da una passione indomata, acciecato dall’ira, trafisse di propria mano l’autore de’ suoi giorni. Le circostanze del [p. 68 modifica] fatto constatate e determinate da giudici incorruttibili, stanno scritte nel resoconto che da tre giorni venne sottoposto al pubblico sindacato nel Diario del dipartimento. Nessun difensore essendosi presentato innanzi l’ora prefissa dalla legge, è ritenuto che la coscienza pubblica abbia facoltà di confermare la sentenza del Tribunale. Da questo momento la condanna di Secondo Albani è divenuta irrevocabile.

«Ed ora mi rivolgo a te, fratello reietto; e bada che la mia voce è la voce di tutta l’umanità che grida anatema sul tuo capo.

«In epoca non lontana che con stolida jattanza intitolossi civile, l’assassino era condannato a morire per mano del carnefice sulla piazza, al cospetto di un popolo, che assisteva a quella scena di sangue come a spettacolo giocondo. Il delitto punito col delitto, in luogo di moralizzare le masse, le abituava al ribrezzo dell’orribile vista. Il popolo fu veduto ammirare ed applaudire al cinismo del condannato. — Sul palco di morte il delitto parve circondarsi di un’aureola gloriosa — la vittima fu compianta, il boia imprecato. — E nondimeno, a quell’epoca, molti eminenti legisti facevano l’apologia della forca. I più miti, riconoscendo l’immoralità del supplizio, lo dissero terrore indispensabile a reprimere istinti feroci. — Non avrei evocate le memorie dei barbari tempi, se non fosse rarissimo il caso in cui il Tribunale di Giustizia debba applicare ad un grande colpevole gli estremi rigori del Codice di redenzione. — È necessario che al fratello del reietto, e a tutta la famiglia che mi ascolta, io ricordi in che consista la pena della morte civile, e come debbasi applicare, e quali sieno quindi innanzi i soli rapporti possibili fra il condannato e la società che lo respinge dal suo grembo.

«A te dunque, Secondo Albani, da questo momento è [p. 69 modifica] tolto il diritto di portare il nome de’ tuoi avi e dei tuoi congiunti di sangue, perocché non è giusto che tu abbia cosa veruna di comune con uomini onesti e rispettati.

«Il titolo di Secondo, a te conferito nel giorno dell’adolescenza, per stimolarti all’emulazione di un padre benemerito della umanità, verrà trasmesso fra due giorni al minore fratello, cui rimarrà il privilegio di portarlo e trasmetterlo al figlio primogenito.

«Per cinque anni e un giorno dovrà cessare ogni comunicazione fra te e il resto della umana famiglia. Non potrai soggiornare oltre ventiquattro ore in una città o circondario, né penetrare nelle case dei fratelli che ti hanno reietto, né assiderti alla mensa de’ tuoi simili, né profittare di alcun istituto pubblico, né viaggiare coi veicoli della Unione, né servirti di cosa veruna che appartenga alla Comunità degli uomini.

«I tuoi fratelli, a qualunque famiglia appartengano o circondario o dipartimento della grande Unione Europea e delle altre comunità che adottarono il Nuovo Codice, non ricambieranno con te un saluto né una parola quando ti incontrino pel loro cammino. Passerai fra le genti come un’ombra invisibile, come larva di un uomo che ha cessato di esistere.

«E perché tutti ti riconoscano, e nessuno per inscienza o inavvertenza possa opporsi ai voti della legge, l’Esecutore della Giustizia ti imporrà il collare di riprovazione, che tu porterai al collo per cinque anni ed un giorno fino ad espiazione compiuta. L’esecutore di Giustizia sarà tenuto a conservare la chiave di detto collare, che egli stesso discioglierà in questo luogo medesimo, al cospetto dei magistrati e del popolo, quando, esaurita la condanna, tornerai all’amplesso dei fratelli.

«Trascorsi i cinque anni ed un giorno, se, per malattia, o per altre circostanze indipendenti dal tuo libero [p. 70 modifica] arbitrio, tu non fossi in grado di tornare in questo luogo stesso per ricevere l’assoluzione della famiglia; in qualunque Dipartimento, o Circondario della Unione Europea, avrai diritto di invocare la risurrezione morale, che ti verrà prontamente accordata, in dipendenza al messaggio telegrafico che oggi si trasmette a tutti i Tribunali di Europa determinante il tempo e la durata della tua condanna.

«Trascorsi i cinque anni ed un giorno, dacché l’esecutore della Giustizia ti abbia levato il collare di riprovazione e i fratelli ti abbian reso l’amplesso del perdono e dell’oblio, tu riprenderai il tuo nome di casato, sopprimendo il titolo onorifico che ad altri venne trasmesso. Da quel momento verrai riammesso al libero esercizio di tutti i diritti — tu sarai puro ed onorato al cospetto degli uomini come al giorno della tua nascita. Noi confidiamo nella saviezza del popolo, perché i voti della legge vengano esauditi. Quegli stessi che oggi si allontanano dal condannato, troncando ogni rapporto con lui, e cooperando per tal modo alla espiazione della orribile colpa, fra cinque anni saranno i primi ad abbracciare il redento e ad accoglierlo come fratello.

«Ed ora, o parricida, la tua espiazione incomincia. L’esecutore del Tribunale faccia l’opera sua. Al terzo squillo di tromba, la piazza sia sgombrata dal popolo — sulla Via della Misericordia, che il condannato dovrà percorrere per uscire dalla città, non veggasi persona; — tutte le finestre e le porte dei palazzi si chiudano. — Giorno di lutto è codesto, e gravissimo lutto per l’umanità! Un fratello è morto alla vita civile!»

Le parole del Banditore furono obbedite. Appena le trombe mandarono il terzo squillo, i cittadini silenziosi e commossi abbandonarono la piazza.

Era triste spettacolo. — Le tribune e le logge nello [p. 71 modifica] spazio di pochi minuti rimasero vuote. — I magistrati, i savii e gli anziani erano scomparsi... I cittadini pei larghi sbocchi delle vie si disperdevano, affrettando il passo come a fuggire un luogo di desolazione. Sulla piazza deserta, poco lungi dal tempio, non rimaneva che un solo essere vivente — e questi, curvato, immobile, incatenato al palco di infamia, dominava la vasta solitudine, simile ad uno di quei neri fantocci che i contadini pongono a guardia dei campi.

L’Albani, durante la tremenda cerimonia, aveva provato tutti gli spasimi dell’agonia morale. Atterrito dal silenzio e dalla solitudine, il condannato fece uno sforzo per sollevare la fronte... aperse gli occhi... Poi, ricurvando la testa, ruggì coll’accento della disperazione: «Tutti dunque mi hanno abbandonato!»

— Non tutti! — rispose una voce melodiosa e soave come la voce di un angelo. — Non tutti! Gli uomini hanno sentenziato nella giustizia, ma Dio viene a te nella misericordia!

E l’uomo che parlava di tal guisa, posò la mano sulla spalla del condannato: e questi rianimandosi, levò di nuovo lo sguardo, e vide un giovane levita, coperto di bianche vesti, che con affettuosa pazienza si adoperava a rimuovergli le catene.

— Coraggio, fratello mio! — proseguì il sacerdote...

— Voi mi chiamate fratello? — mormorò l’Albani ricurvando la testa.

— Io solo ho questo diritto; è un santo diritto, che mi accorda l’altare, che il tribunale degli uomini non potrebbe contendermi. Al condannato, al reietto dalla umana famiglia, la Chiesa accorda un fratello, un compagno di pellegrinaggio, perchè sostenga il paziente sul cammino della espiazione. Questo incarico di sublime pietà venne a me accordato dal grande Levita, ed io gli resi grazie [p. 72 modifica] — e il mio cuore esulta di trovarmi teco. — Sorgi dunque! sorgi, cristiano fratello, appoggiati al mio braccio — noi procederemo insieme o insieme cadremo.

L’Albani si levò macchinalmente, e discese i gradini del palco sorreggendosi al braccio del giovane sacerdote.

Attraversarono a lenti passi la Via della Misericordia. Il bianco levita, colla bisaccia sulle spalle, un largo cappello in testa, e un bastone di giunco alla mano, era costretto di soffermarsi ad ogni tratto perchè il compagno riprendesse lena. La lunga via era affatto deserta, le finestre e le porte serrate, la solitudine resa più tetra dalle ombre crepuscolari.

Dopo un’ora di cammino, i due pellegrini si trovarono lunge dalle case, all’aperta campagna. Le ombre si eran fatte più dense — la Stella d’Amore spuntava nel firmamento.

I due viandanti udirono uno squillo lontano — entrambi si fermarono.

— Fratello! — disse il levita — è l’ora di benedizione! Questo suono tu devi conoscerlo. In questo punto tutti i tuoi fratelli piegano il ginocchio, e ringraziano Dio colla preghiera del cuore che in parole non si traduce. Il gran levita dalla torre del tempio inaccessibile, stende la mano a benedire tutti i figli della terra... Inginocchiati, o fratello!

L’Albani piegò le ginocchia — un tremito convulso gli scosse le membra — indi proruppe in uno sfogo di lacrime.

Quand’egli levossi per riprendere il cammino: — Ho sentito la voce di Dio! — esclamò l’Albani con accento rassegnato: — io avrò forza per compiere il duro pellegrinaggio... Espierò la mia colpa... rivivrò nella stima e nell’amore dei fratelli... purchè voi non mi abbandoniate! [p. 73 modifica]

— Abbandonarti! — esclamò il levita colla sua voce d’angelo — qual’altra missione può avere il sacerdote di Cristo fuori quella di portare la croce degli infelici, di perdonare e di redimere?

I due viandanti si abbracciarono, e di nuovo si posero in cammino.

fine del prologo.