Abrakadabra/Prologo/IX
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CAPITOLO IX.
Il prete e la donna.
Il secolo ventesimo è eminentemente spiritualista.
Un secolo di temperamento nervoso, di umore ipocondriaco — sentimentale fino alla affettazione.
Un secolo che abusa di fantasia, che stravizza nello studio e nella operosità, che si strugge dietro l’ideale di una perfezione impossibile.
Un secolo che delira di ascetismo e di amore.
Il prete e la donna, come nel medio evo, rappresentano le figure predominanti di questa nuova società, che intenderebbe sublimarsi emancipandosi da ogni istinto materiale.
Dopo la riforma religiosa, che ebbe principio colla distruzione di Roma, due foggie di preti, il bianco ed il nero, simboleggiarono distintamente la chiesa novella e la antica, le superstizioni del passato e la fede dell’avvenire.
I preti della chiesa riformata vestirono la tunica bianca come gli antichi leviti. I settarii del non possumus mantennero il loro abito nero, fatto più sudicio e più lugubre.
Poco ci occuperemo degli avanzi sdrusciti della Curia romana, sopravvissuti all’ultimo papa di Carpentras, all’ultimo Lamoricière della Vandea. Nell’anno 1977 le statistiche del Monde e dell’Union si gloriavano di poterne contare venticinque in tutta Europa.
Il prete riformato, il prete bianco, era l’incarnazione più pura del progresso del secolo. Per lui l’Europa si era unificata anche nel pensiero religioso. Il Cristianesimo contava sulla terra settecento milioni di credenti.
Un vangelo che si riassume nel sublime precetto: non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi, perdonate, amate, non poteva tradursi nell’osservanza generale che in un’epoca molto civile e illuminata. I secoli ignoranti inneggiarono a Cristo senza comprenderlo. La superstizione, l’idolatria, il fanatismo tennero luogo del culto morale. Era tempo che il cristianesimo riprendesse la sua alta missione libera e umanitaria. Era tempo che una convinzione illuminata si sostituisse al cieco entusiasmo, per proclamare questa verità incontestabile — che un Dio sapiente e benefico non potrebbe dare alla umanità un codice più santo del vangelo.
Il prete bianco divenne apostolo, fratello, consolatore della umanità.
I templi, consacrati esclusivamente alla predicazione ed alle assemblee, rinunciarono alle pompe idolatre. Le cerimonie del culto si celebrarono a porte chiuse. I sacri bronzi, annunziando la preghiera del levita, trasmettevano al popolo la benedizione, del Dio che è dappertutto.
I leviti erano pochi, ma esemplari di moralità e di abnegazione.
Non era ammesso al sacerdozio chi non avesse compiuti i trent’anni.
Il matrimonio spirituale era permesso ai leviti. Si associavano alla donna per avere in essa una ispiratrice, un’emula di virtù e di sacrifizio, per adoperarla nelle missioni più dilicate e più ardue di carità e di consolazione.
Ma voi non conoscete la donna dei nuovi tempi! Voi non potete figurarvi questo angelico tipo dell’Eva redenta, che tanto più si sublima quanto più i nostri padri la vollero degradata!
La sorveglianza tiranna è abolita. — E tu pure, o vivace farfalla dalle candide ali, esci dalla tua prigionia secolare; percorri liberamente il giardino del creato; inebbriati di luce e di profumi, raccogli il fiore che ti sorride, e, santificato da’ tuoi baci, chiudilo nel tuo seno palpitante!
Povera fanciulla! — Aspettare, desiderare, morire...! tale la legge infame degli uomini antichi, de’ tuoi oppressori brutali. Per sottrarti a quella legge, a te non si apriva che una via, una via disperata, tremenda — gettarti nell’abisso delle colpe, annegarti nel materialismo e nell’onta.
Tu non potevi esprimere al giovane amato le forti concitazioni de’ tuoi sensi. La tua giovinezza si consumava in disperati desiderii.
Venivano cinque... venivano venti... ma egli non veniva!... Che fare?... Morire senza amore, o prostituirti al libertinaggio o, peggio ancora, immolarti in connubii legittimi e nefandi.
Oggi, colle tue note più vergini, tu canti l’amore alla gran luce del sole. Nessuno ti terrà disonorata!
Le scienze e le arti hanno cessato di respingerti. Al contrario, esse ti invocano. Le infermità reclamano la tua mano leggera ed amorosa, i tuoi farmachi ispirati. Il dolore domanda i tuoi sorrisi, i tuoi pianti. La colpa aspetta l’assoluzione della sacerdotessa immolata!
Due vie ti schiude la bellezza, non avventurose del pari, ma ugualmente onorevoli e benefiche. — L’uomo o l’umanità, l’amore o il sacrifizio.
Quale sarà la tua scelta?...
A tale domanda io mi sento invadere da un dubbio affannoso...
Via! rispondiamo una volta a tutte queste ansie, a queste perplessità dello spirito!
Lo scenario è compiuto — le tinte locali son date — la ribalta è abbastanza illuminata — il coro ha recitato il suo prologo.
È tempo che i personaggi principali si mettano in azione.