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XXIV. Al Caffè Merlo

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CAPITOLO XXIV.

Al Caffè Merlo.

Usciamo dalle alcove!

Uno splendido sole ravviva le contrade della bella e popolosa Milano. Questo ente collettivo, che rappresenta lo spirito e l’attività di una fra le più illustri famiglie della Unione, si prepara ad eleggere il Gran Proposto che dovrà succedere al dimissionario Berretta.

La lotta elettorale, a norma di Legge, dovrà chiudersi nel termine di dodici giorni, onde il nuovo titolato possa intervenire al Congresso dipartimentale di Napoli e di là trasferirsi a Berlino dove l’Assemblea sovrana suole adunarsi alla fine d’anno.

Il proclama politico del Torresani, la diagnosi dell’umano deperimento e i tremendi pronostici enunziati dal [p. 230 modifica] Virey, nonchè i tetri e complicati episodii a cui abbiamo assistito, ci avvertono che, malgrado l’apparente benessere dell’Europa, gli individui vi si muovono a disagio e non paiono troppo soddisfatti dell’ordinamento politico e sociale che li regge. — Vi è un motto che sempre fu mormorato dalle masse all’indomani di ogni conquista, di ogni progresso liberale: si stava meglio quando si stava peggio. Dovremo noi meravigliarci se l’assurda querimonia si va tuttavia ripetendo in un’epoca, nella quale si veggono realizzate le più audaci utopie dei secoli precedenti?... La natura dell’uomo non si muta e il moto delle aspirazioni è infinito.

Fatto è che il Governo della Unione (come tutti i governi che furono e che saranno) ha per base... un vulcano.

Duecento sessanta quattro Comuni, oltre quello di Milano, sono chiamati a nominare il loro Capo e rappresentante. Il fervore, l’agitazione, l’entusiasmo degli elettori, nonchè l’apparato delle macchine e la complicazione delle manovre dimostrano la straordinaria importanza della lotta.

Non dipartiamoci dalla città che fu il teatro degli avvenimenti fin qui riferiti. Lo spettacolo che oggi vorrà offrirci Milano non sarà molto dissimile da quello che potremmo scorgere altrove.

Come ho detto, la giornata è abbellita da uno splendido sole. Gli Apparatori pubblici hanno allentati i velarli riparatori e l’estate di S. Martino penetra allegramente nelle vie a cacciarne le poco salubri esalazioni delle stufe.

Dai balconi e dalle finestre svolazzano bandiere e girandole di mille colori, e al suono delle fanfare a migliaia i subalterni di ogni classe sì spandono nella città per affiggere i proclami di concorso. [p. 231 modifica]

Chi potrà reggere alla rassegna di quelle tappezzerie stampate e dipinte? — Si vuole che i pretendenti alla Propostura dell’Olona siano diecimila. — vorreste voi leggere altrettanti proclami?

Attendiamo! Quelle dicerie verranno riprodotte dai giornali: ed ecco appunto una processione di Portavvisi si diparte dal Piccolo Campidoglio per attraversare quella grande arteria cittadina che si intitola il Corso Ossobuco.

Poniamoci a sedere sotto il Padiglione del Caffè Merlo, dove la processione dovrà passare e dove per avventura ci sarà dato raccogliere dalle conversazioni animatissime dei cittadini qualche sintomo della pubblica opinione.

Affrettiamoci. V’è ancora un tavolino libero, e poco lungi da quello, seggono, con alcuni milanesi di nostra antica conoscenza, due Primati dalla fisonomia grave ma altrettanto simpatica.

— Ci siamo, caro Pestalozza!

— La è proprio così, caro Pirotta!

E i due milanesi, scambiandosi un risolino più ebete che sarcastico, tuffano il loro chiffer nel caffè e pannera ed esclamano:

— Prepariamoci alla lotta!

— Rinforziamo la macchina!

Esaurita la colazione, i due amici riprendono il discorso.

— Hai fissato il tuo...individuo?

— Non ancora; ma io voterò colla maggioranza de’ miei colleghi politici.

— Tu appartieni a qualche circolo?

— Al Circolo dei Droghieri indipendenti.

— Il vostro programma?

— Vogliamo che il governo adotti il caffè igienico fico—patata pei Coscritti dell’Agro. [p. 232 modifica]

— Come afferma il vecchio Pungolo, tutte le opinioni politiche sono rispettabili quando si ispirino, al pari delle vostre, ai grandi interessi della patria. Quanto a me, intendo portare il mio voto sul Primate Albani...

— Vedremo il suo manifesto...Pur che vi abbia qualche allusione in favore dell’anzidetto caffè igienico, io vedrò di appoggiarlo.

— L’elezione dell’Albani farebbe scoppiare dalla bile quel bel mobile dell’ex proposto Berretta con tutti i satelliti della infame Consorteria.

— S’io fossi certo di veder crepare l’ex proposto...

— Quel ludro!

— Quel ladro, dico io!

— E che ladro! Si vuole che tutti gli anni mandasse secretamente a Madera un miliardo di lussi!...

— E i buoni Milanesi l’han lasciato partire...

— Oh! la morte del Prina!...

— E noi due a far la parte del cavallo...Ma ecco un compare che sarà del nostro avviso.

— Che vuol dire quell’aria affannata?

Il brugnone Perelli si accosta al tavolino con un giornale alla mano, esclamando:

— Avete letto? cose da far piangere i sassi!...

— Che è stato?

— È morto l’ex—proposto Berretta.

— Morto! Oh, disgrazia! Ma quando? Ma come?

— Leggete!...sentite! «La mano ci trema...le lagrime ci fan velo agli occhi...il cuore ci si spezza nel trascrivere l’infausta novella...Quell’ottimo patriota, quell’illustre pubblicista, quell’integro amministratore della cosa pubblica, quel solerte funzionario al cui genio, alla cui operosità Milano va debitrice dei tanti abbellimenti edilizii, dei tanti provvedimenti economici e filantropici che in pochi anni la elevarono al rango di [p. 233 modifica] città capitalissima — l’illustre, il benemerito, il grande, l’immortale nostro concittadino Berretta non è più! Al momento di abbandonare per sempre la sua diletta Milano, quel nobile cuore si è spezzato...di angoscia».

— Povero Berretta! — esclama il Pestalozza; — vero galantuomo!...vero patriota!...

— E una testa! — soggiunge il Pirotta, — una di quelle teste...

— E galantuomo, perdio!

— Uomini che non dovrebbero morir mai!

— Ma Milano farà il suo dovere.

— Apriamo subito una sottoscrizione per erigergli un monumento...

— Approvato! — gridarono molte voci.

— Io proporrei...

— Sentiamo! tu proporresti?...

— Che i Milanesi facessero pubblica e solenne riparazione dei loro torti verso l’illustre estinto, rieleggendolo alla carica di Gran Proposto.

— Sarebbe una dimostrazione degna di noi. L’illustre estinto aveva troppo buon senso per opporsi alla adottazione del caffè igienico fico—patata... Proporrò la nomina al Circolo dei droghieri...

— Frattanto sottoscriviamo! Olà! penna, calamaio! e avanti a chi tocca!

I circostanti si affollano intorno al Pirotta, e mentre, inneggiando al defunto, tutti gareggiano nell’offrir denaro pel monumento, i due Primati prendono a parlare fra loro sommessamente.

— Ecco un altro cittadino benemerito, a cui verrà resa giustizia quando i suoi compatrioti non vedranno più in lui che un uomo di Pietra! — mormora il giovane Foscolo.

— Il volgo fu sempre volgo — risponde il Primate [p. 234 modifica] Alfieri, e l’istruzione universale ha cretinizzato le masse completamente. Se il governo non mette un freno alla stampa...

— E tu osi profferire questo voto liberticida?...

— Esso formerà la base del mio programma elettorale. La libertà di stampa fu utile e buona ai tempi in cui l’istruzione era privilegio di pochi. A quell’epoca, l’audacia dello scrivere quasi sempre andava accompagnata alla coscienza del sapere. La falange degli scrittori pessimi non era tanto compatta da chiudere il varco agli intelligenti ed agli onesti, e la voce solitaria del genio poteva ancora soverchiare il raglio collettivo delle plebi. Ma oggi? Tutti leggono, tutti scrivono. La statistica libraria ci afferma che nella Unione Europea vengono in luce da venti a trentamila volumi ogni giorno. Altrettanti, e forse più, ne produce l’America; e non parliamo delle altre province già invase e corrotte dalla nostra civiltà. A leggere tutti i volumi che si pubblicano in un giorno, appena basterebbe la vita di un uomo! Qual criterio può ora guidare le nostre preferenze? E chi ci addita il buon libro? Chi vorrà sommergersi in questo oceano di insensatezze stampate, colla incerta lusinga di scoprire quando che sia, per favore del caso, qualche perla sepolta fra le alghe? Ammesso che alla espansività dell’idiotismo che scrive non si voglia mettere un freno, qual sarà l’avvenire della nostra letteratura? L’asfissia del senso comune, e un contagio di asinità irreparabile. Uomini di genio, appiccatevi! Il mondo non ha più orecchio per voi, dacché la stampa è in balia dell’ebete maggioranza.

— I parrucchieri! i parrucchieri!1 gridano a tal punto molte voci. [p. 235 modifica]

Gli assembrati si levano come un sol uomo, e i portabandiere del giornalismo cominciano a sfilare dinanzi al padiglione.

— Sai tu — chiede a Foscolo l’Alfieri — a quanti ascendano i nuovi organi di mistificazione che oggi si istituirono a Milano per la bisogna delle elezioni?...

— Da seicento ad ottocento, salvo errore.

— Non meno di duemila...

Ma il rullo dei tamburi, il fragore delle tube egizie, e gli urli dei banditori di giornalismo ingrossati dai saxo—pelitti2 coprono la conversazione dei due Primati di letteratura.

Qual discussione sensata potrebbe reggere a tanto frastuono?

Le arti della réclame oggimai costituiscono un caos. Chi leggerà quei duemila giornali quotidiani, proiettati sugli elettori dai carri luminarii e dalle gondole volanti?

È una grandine di carta stampata, un nembo di parole che ottenebra l’aria. In questa gara di candidati, che abusano di ogni trovato della industria moderna per ischiacciare i competitori, le idee ed i principii si sommergono, trascinando all’aberrazione anche i criteri più retti.

Quand’anche, mercé un accozzo di elocubrazioni inaudite, riuscisse a me di descrivere la babelica scena, qual mente umana potrebbe oggi comprendermi? Lasciamo che passi la volontà del paese, vale a dire la volontà dei mistificatori più audaci; e frattanto, mentre dura nella città il baccanale politico, usciamo a vedere ciò che si passa in un agro, sotto i limpidi raggi del sole di ottobre, all’epoca del più giocondo ricolto. In questa [p. 236 modifica] escursione campestre avremo a compagni due nostri conoscenti, l’Albani ed il Virey, sì l’uno che l’altro indicati agli elettori di Milano quali successori al Berretta nella carica di Gran Proposto.

  1. Con tal nome si qualificarono i giornalisti dacché i principali uffizi di redazione vennero a stabilirsi nelle botteghe dei parrucchieri.
  2. Tube metalliche, usate dai banditori di città e dagli arringatori pubblici per ingrossare la voce.