L'isola misteriosa/Parte terza/Capitolo XVII

Parte terza - Capitolo XVII

../Capitolo XVI ../Capitolo XVIII IncludiIntestazione 31 luglio 2023 75% Da definire

Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
Parte terza - Capitolo XVII
Parte terza - Capitolo XVI Parte terza - Capitolo XVIII
[p. 53 modifica]

CAPITOLO XVII.


Le ultime ore del capitano Nemo — La volontà d’un morente — Un ricordo ai suoi amici d’un giorno — La bara del capitano Nemo — Alcuni consigli ai coloni — Il momento supremo — In fondo ai mari.

Era venuto il giorno; nessun raggio luminoso penetrava in quella cripta profonda. Il mare, allora alto, ne ostruiva l’apertura. Ma la luce fittizia, che sfuggiva a lunghe striscie attraverso le pareti del Nautilus, non era indebolita, e la zona d’acqua splendeva sempre intorno all’apparecchio galleggiante.

Un’estrema stanchezza accasciava allora il capitano Nemo, il quale era ricaduto sopra il divano. Non si poteva pensare a trasportarlo al Palazzo di Granito, perchè egli aveva manifestato il desiderio di rimanere in mezzo a quelle maraviglie del Nautilus, che milioni non avrebbero pagato, e d’aspettarvi una morte, la quale non poteva tardare a venire. [p. 54 modifica]

Durante una lunga prostrazione, che lo tenne quasi fuori dei sensi, Cyrus Smith e Gedeone Spilett osservarono con attenzione lo stato del malato. Era chiaro che il capitano si spegneva a poco a poco. La forza veniva meno a quel corpo già sì robusto ed ora fragile invoglio di un’anima che stava per sfuggirsene.

Tutta la vita era concentrata nel cuore e nel cervello. L’ingegnere ed il reporter si erano consultati a bassa voce. Vi era qualche cura da prodigare all’ammalato? Potevasi, se non salvarlo, prolungargli la vita per alcuni giorni?

Egli medesimo aveva detto che non vi era alcun rimedio, che aspettava tranquillo la morte, che non temeva.

— Non possiamo far nulla, disse Gedeone Spilett.

— Ma di che malattia muore? domandò Pencroff.

— Si spegne! rispose il reporter.

— Pure, soggiunse il marinajo, se lo trasportassimo all’aria aperta, al sole, forse si rianimerebbe.

— No, Pencroff, rispose l’ingegnere, non vi è nulla da tentare, e poi il capitano Nemo non acconsentirebbe a lasciare il suo bordo. Da trent’anni vive sul Nautilus, ed è sul Nautilus che vuol morire.

Senza dubbio il capitano Nemo udì la risposta di Cyrus Smith, perchè si drizzo, e con voce debole, ma sempre chiara:

— Avete ragione! signore, io devo e voglio morire qui, ed ho perciò una domanda a farvi.

Cyrus Smith ed i suoi compagni si erano accostati al divano ed accomodarono i cuscini in guisa che il morente fosse meglio appoggiato. Si potè vedere allora il suo sguardo arrestarsi su tutte le maraviglie di quella sala illuminata dai raggi elettrici, che passavano attraverso gli arabeschi d’un soffitto luminoso. Guardò egli uno per uno i quadri attaccati su splendide tappezzerie di damasco, capilavori di maestri italiani, fiamminghi, francesi, le [p. 55 modifica]riduzioni di marmo e di bronzo che sorgevano sui loro piedistalli, l’organo magnifico addossato al tramezzo posteriore, poi le vetrine disposte intorno ad una vasca centrale, nella quale erano i più ammirabili prodotti del mare: piante marine, zoofiti, collane di perle d’inestimabile valore, ed infine gli occhi si fermarono su questa divisa scritta sul frontone del museo, la divisa del Nautilus:

Mobilis in mobile.

Pareva che egli volesse un’ultima volta collo sguardo accarezzare quei capilavori dell’arte e della natura, ai quali aveva limitato il suo orizzonte durante un soggiorno di tanti anni negli abissi dei mari.

Cyrus Smith aveva rispettato il silenzio del capitano Nemo; aspettava che il morente ripigliasse la parola.

Dopo alcuni minuti, durante i quali rivide, senza dubbio, passare dinanzi a sè tutta la sua vita, il capitano Nemo si volse ai coloni e disse loro:

— Voi credete, signori, senza dubbio, di dovermi essere riconoscenti?

— Capitano, noi daremmo la vita per prolungare la vostra.

— Bene, soggiunse il capitano Nemo, bene! Promettetemi di eseguire le mie ultime volontà, ed io sarò pagato di tutto quanto ho fatto per voi.

— Ve lo prometto, rispose Cyrus Smith.

E con questa promessa egli impegnava i suoi compagni e sè stesso.

— Signori, ripigliò a dire il capitano, domani io sarò morto.

Arrestò con un cenno Harbert, il quale volle protestare.

— Domani sarò morto, e desidero di non aver altra tomba che il Nautilus; è questa la mia bara! [p. 56 modifica]Tutti i miei amici riposano in fondo ai mari. Anch’io voglio riposare così.

Un silenzio profondo accolse queste parole del capitano Nemo.

— Ascoltate bene, signori, disse. Il Nautilus è imprigionato in questa grotta, la cui entrata si è sollevata; ma se non può lasciar la sua prigione, può almeno inabissarsi e conservare la mia spoglia mortale.

I coloni ascoltavano religiosamente le parole del morente.

— Domani, signor Smith, voi ed i vostri compagni lascerete il Nautilus, perchè tutte le ricchezze che esso contiene devono scomparire con me. Un solo ricordo serberete del capitano Dakkar, di cui oramai conoscete la storia. Quel forziere là racchiude per parecchi milioni di diamanti, la maggior parte ricordi del tempo in cui, padre e sposo, ho creduto alla felicità, ed una collezione di perle raccolte dai miei amici in fondo ai mari. Con questo tesoro potrete fare, un giorno, delle buone cose. In mani come le vostre e quelle dei vostri compagni, signor Smith, il danaro non può essere un pericolo. Ed io sarò di lassù associato alle vostre opere.

Dopo alcuni istanti di riposo, fatto necessario dalla sua estrema debolezza, il capitano Nemo proseguì in questi termini:

— Domani piglierete questo forziere, lascerete questa sala dopo d’averne chiuso l’uscio; risalirete sulla piattaforma del Nautilus e chiuderete il boccaporto per mezzo delle sue chiavarde.

— Lo faremo, capitano, rispose Cyrus Smith.

— Bene! v’imbarcherete allora sul canotto che vi ha condotto qui: ma prima d’abbandonare il Nautilus, andrete a poppa ed aprirete due larghe chiavi che si trovano sulla linea d’immersione. L’acqua penetrerà nei serbatoj, ed il Nautilus si affonderà a poco a poco per andare a riposare negli abissi. [p. 57 modifica]

E ad un gesto di Cyrus Smith, il capitano aggiunse:

— Non temete di nulla, voi seppellirete un morto.

Nè Cyrus Smith nè alcun altro dei suoi compagni avrebbero creduto di dover fare un’osservazione al capitano Nemo. Erano queste le sue ultime volontà, ed essi non vi si potevano sottrarre.

— Ho io la vostra promessa, signori? aggiunse il capitano Nemo.

– L’avete, capitano, rispose l’ingegnere.

Il morente fece un cenno di ringraziamento e pregò i coloni di lasciarlo solo per alcune ore.

Gedeone Spilett insistette per rimanergli al fianco nel caso in cui avvenisse una crisi. Ma il capitano rifiutò, dicendo:

— Vivrò fino a domani, signori.

Lasciarono tutti la sala; attraversarono la biblioteca, la sala da pranzo, e giunsero a prua, nella camera delle macchine, dove erano gli apparecchi elettrici, che insieme col calore e colla luce fornivano al Nautilus la forza meccanica.

Era il Nautilus un capolavoro che conteneva dei capilavori, e l’ingegnere fu maravigliato.

I coloni salirono sulla piattaforma, che emergeva sette od otto piedi dall’acqua. Colà si sdrajarono presso ad un grosso vetro lenticolare, che otturava una specie d’occhio, da cui zampillava un fascio di luce. Dietro quell’occhio era un camerino, che conteneva le ruote del timone, ed in cui soleva stare il timoniere quando dirigeva il Nautilus attraverso gli strati liquidi che i raggi elettrici dovevano illuminare a gran distanza.

Cyrus Smith ed i suoi compagni rimasero sulle prime silenziosi, giacchè erano vivamente impressionati da quanto avevano visto ed inteso, e si stringeva loro il cuore al pensare che colui il cui braccio li aveva tante volte soccorsi, quel protettore che conoscevano solo da poche ore, era alla vigilia della morte. [p. 58 modifica]

E pensavano pure che qualunque fosse il giudizio della posterità sugli atti di quell’esistenza per così dire sovrumana, il principe Dakkar resterebbe sempre una di quelle fisonomie strane, la cui memoria non si può cancellare.

— Ecco un uomo! disse Pencroff. È egli credibile che abbia così vissuto in fondo al mare? E dire che non vi avrà forse trovato più tranquillità che altrove.

— Il Nautilus, fece osservare Ayrton, ci avrebbe forse potuto servire a lasciar l’isola e ad andare in qualche terra abitata.

— Per mille diavoli! esclamd Pencroff, non sono io che mi arrischierei mai a dirigere un apparecchio simile. Correre sopra i mari, vada, ma sotto, no davvero!

— Credo, rispose il reporter, che la manovra d’un apparecchio come il Nautilus debba essere facilissima, Pencroff, e che si potrebbe avvezzare presto. Nessuna tempesta da temere, perchè a pochi piedi dalla superficie le acque del mare sono tranquille come quelle del lago.

— Possibile! ribattè il marinajo; ma io preferisco un buon colpo di vento in una nave ben attrezzata. Un battello è fatto per andare sull’acqua e non sotto.

— Amici miei, rispose l’ingegnere, è inutile, almeno rispetto al Nautilus, discutere la questione dei battelli sottomarini. Il Nautilus non è nostro e non abbiamo il diritto di disporne; d’altra parte, non ci potrebbe servire in alcun modo. Oltrechè non potrebbe più uscire da questa grotta, il cui ingresso è chiuso per un rialzo delle rupi basaltiche, il capitano Nemo vuole che si seppellisca con lui dopo la sua morte. La sua volontà è espressa e noi l’eseguiremo.

Cyrus Smith ed i suoi compagni, dopo una conversazione che si prolungò alcun tempo ancora, ridiscesero nell’interno del Nautilus. Colà presero un po’ di cibo, e rientrarono nel salotto. [p. 59 modifica]

Il capitano Nemo era uscito dallo sfinimento, e gli occhi suoi avevano ripreso il loro fulgore, si vedeva una specie di sorriso fra le sue labbra.

I coloni gli si accostarono.

— Signori, disse loro il capitano, voi siete uomini coraggiosi, onesti e buoni. Vi siete tutti consacrati all’opera comune. Io vi ho spesso osservato, vi ho amato e vi amo. La vostra mano, signor Smith.

Cyrus Smith tese la mano al capitano, che la strinse affettuosamente.

— Sta bene, mormorò egli.

E proseguì:

— Ma basti di me. Debbo ora parlarvi di voi medesimi e dell’isola Lincoln, su cui avete trovato rifugio. Fate voi conto di abbandonarla?

— Per ritornarvi, capitano, rispose vivamente Pencroff.

— Ritornarvi? Lo so, Pencroff, rispose il capitano sorridendo, lo so quanto voi l’amiate quest’isola. Si è modificata per opera vostra, e vi appartiene.

— Il nostro disegno, capitano, disse allora Cyrus Smith, sarebbe di dotarne gli Stati Uniti e di fondarvi per la nostra marina una stazione di riposo, che si troverebbe situata felicemente in questa parte del Pacifico.

— Voi pensate al vostro paese, rispose il capitano, voi lavorate per la sua prosperità, per la sua gloria. Avete ragione! La patria, è là che bisogna tornare! È là che si deve morire! Ed io muojo lontano da tutto quello che ho amato!

— Avreste qualche ultima volontà da trasmettere? disse vivamente l’ingegnere; qualche ricordo agli amici che avete potuto lasciare nelle montagne delle Indie?

— No, signor Smith, non ho più amici; sono l’ultimo della mia razza e sono morto da un pezzo per tutti coloro che ho conosciuti. Ma torniamo a voi; [p. 60 modifica]la solitudine, l’isolamento, sono cose tristi, superiori alle forze umane.... Io muojo per aver creduto che si potesse viver solo. Dovete dunque tentare ogni cosa per rivedere la terra in cui siete nati. So che quei miserabili hanno distrutto il battello che avevate fatto.

— Noi costruiamo una nave, disse Gedeone Spilett, una nave grande tanto da trasportarci alle terre più vicine; ma se riusciamo a rimpatriare, tosto o tardi, torneremo all’isola Lincoln, a cui ci legano oramai cari ricordi.

— È qui che avremo conosciuto il capitano Nemo, disse Cyrus Smith.

— Qui soltanto ritroveremo la vostra memoria intiera, disse Harbert.

— Ed è qui ch’io riposerò nell’eterno sonno, se... rispose il capitano.

Esitò, e invece di compiere la frase si accontentò di dire:

— Signor Smith... vorrei parlare a voi solo!...

I compagni ed il reporter, rispettando questo desiderio del morente, si ritirarono.

Cyrus Smith rimase alcuni istanti chiuso col capitano Nemo, e subito richiamò i compagni, ma non disse loro nulla delle cose segrete che il morente gli aveva voluto confidare.

Gedeone Spilett osservò allora il capitano con estrema attenzione. Era evidente che egli non era più sostenuto in vita che da un’energia morale, la quale non potrebbe in breve reagire più contro la debolezza fisica.

La giornata terminò senza che si manifestasse alcun mutamento.

I coloni non lasciarono un istante il Nautilus. Era venuta la notte, benchè fosse impossibile avvedersene in quella cripta, Il capitano Nemo non soffriva, ma declinava. La sua nobile faccia, impallidita dalla [p. 61 modifica]morte, era serena. Dalle sue labbra sfuggivano talvolta parole incomprensibili che si riferivano ad alcuni incidenti della sua strana esistenza. Si sentiva che la vita si ritirava a poco a poco da quel corpo, le cui estremità erano già fredde.

Una o due volte ancora egli volse la parola ai coloni che gli stavano a fianco, e sorrise l’ultimo sorriso che si continua fin nella morte.

Finalmente verso la mezzanotte il capitano Nemo riuscì, facendo uno sforzo supremo, ad incrociare le braccia sul petto come se avesse voluto morire in quell’atteggiamento. Verso il mattino tutta la sua vita erasi rifugiata nello sguardo. Un ultimo fuoco brillò sotto quella pupilla, in cui tante fiamme s’erano accese altre volte. Poi mormorò queste parole: “Dio e patria!...” e spirò dolcemente.

Allora Cyrus Smith, curvandosi, chiuse gli occhi di colui che era stato il principe Dakkar e che non era nemmanco più il capitano Nemo.

Harbert e Pencroff piangevano. Ayrton asciugava una lagrima furtiva, Nab stava inginocchiato presso al reporter, mutato in statua.

E Cyrus Smith, sollevando la mano sopra il morto: “Dio abbia l’anima sua,” disse, e volgendosi verso i compagni, aggiunse:

“Preghiamo per colui che abbiamo perduto!”

· · · · · · · · · · ·

Alcune ore dopo i coloni adempivano alla promessa fatta al capitano, compiendo l’ultima volontà del morto.

Cyrus Smith ed i compagni lasciarono il Nautilus, portando seco l’unico ricordo del loro benefattore, quel forziere, che conteneva ricchezze sterminate. La maravigliosa sala sempre inondata di luce fu chiusa attentamente. Fu allora inchiavardata l’apertura del boccaporto, in guisa che non una goccia d’acqua avrebbe potuto penetrare nel Nautilus. [p. 62 modifica]

Poi i coloni scesero nel canotto, che era ormeggiato a fianco del battello sottomarino. Codesto canotto fu condotto a poppa. Colà nelle linee d’immersione s’aprivano due larghe chiavi, che erano in comunicazione coi serbatoj destinati a determinare l’immersione dell’apparecchio. Furono aperte le chiavi, i serbatoj si riempirono, ed il Nautilus, affondando a poco a poco, sparve sotto la zona liquida.

Ma i coloni poterono seguirlo ancora attraverso gli strati profondi, che la sua poderosa luce rischiarava, mentre la cripta ridiventava oscura. Poi si cancellarono finalmente i bagliori elettrici. Il Nautilus, divenuto la bara del capitano Nemo, riposava in fondo ai mari.