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Il capitano Nemo era uscito dallo sfinimento, e gli occhi suoi avevano ripreso il loro fulgore, si vedeva una specie di sorriso fra le sue labbra.

I coloni gli si accostarono.

— Signori, disse loro il capitano, voi siete uomini coraggiosi, onesti e buoni. Vi siete tutti consacrati all’opera comune. Io vi ho spesso osservato, vi ho amato e vi amo. La vostra mano, signor Smith.

Cyrus Smith tese la mano al capitano, che la strinse affettuosamente.

— Sta bene, mormorò egli.

E proseguì:

— Ma basti di me. Debbo ora parlarvi di voi medesimi e dell’isola Lincoln, su cui avete trovato rifugio. Fate voi conto di abbandonarla?

— Per ritornarvi, capitano, rispose vivamente Pencroff.

— Ritornarvi? Lo so, Pencroff, rispose il capitano sorridendo, lo so quanto voi l’amiate quest’isola. Si è modificata per opera vostra, e vi appartiene.

— Il nostro disegno, capitano, disse allora Cyrus Smith, sarebbe di dotarne gli Stati Uniti e di fondarvi per la nostra marina una stazione di riposo, che si troverebbe situata felicemente in questa parte del Pacifico.

— Voi pensate al vostro paese, rispose il capitano, voi lavorate per la sua prosperità, per la sua gloria. Avete ragione! La patria, è là che bisogna tornare! È là che si deve morire! Ed io muojo lontano da tutto quello che ho amato!

— Avreste qualche ultima volontà da trasmettere? disse vivamente l’ingegnere; qualche ricordo agli amici che avete potuto lasciare nelle montagne delle Indie?

— No, signor Smith, non ho più amici; sono l’ultimo della mia razza e sono morto da un pezzo per tutti coloro che ho conosciuti. Ma torniamo a voi;