I dintorni di Firenze, volume I/IV. Barriera delle Cure

IV.Barriera delle Cure

../III. Barriera della Querce ../V. Barriera del Ponte rosso IncludiIntestazione 13 marzo 2020 75% Da definire

III. Barriera della Querce V. Barriera del Ponte rosso
[p. 95 modifica]

IV.

Barriera delle Cure


Itinerario. — Via Boccaccio - S. Domenico di Fiesole - Via delle Fontanelle - Via della Badia Fiesolana.
Via Giuseppe Mantellini - Doccia - Fiesole.
Via Vecchia Fiesolana - S. Ansano - Fiesole - Via delle Coste.
Fiesole - Città, monumenti ecc.
Via del Carro - Belvedere - Via Ferrucci - Borgunto - Via del Fossataccio e vie sulla pendice a tramontana di Fiesole.
Via de’ Bosconi - Muscoli - S. Clemente - Saletta - Montereggi Bujano - L’Olmo.

Mezzi di comunicazione. — Ferrovia - Firenze-Faenza (Stazione delle Caldine) — Tranvai Firenze-Fiesole (fermate di S. Domenico, Majano, Fiesole) — Diligenze per le Caldine e la Querciola.

Uffici di posta e telegrafo. — Fiesole - S. Domenico Caldine.


ra le mura della città, il torrente Mugnone e la pendice meridionale delle colline di Camerata e delle Forbici si stendevano delle ampie praterie in mezzo alle quali un canale, alimentato dalle acque dello stesso torrente, serviva per lavarvi le lane e le biancherie. La località ed un gruppo di case, abitate specialmente dalle famiglie che esercitavano cotesto mestiere, si chiamò le Cure il nome che è oggi proprio della Barriera e del piazzale esterno. Dacché Firenze distese il suo fabbricato fuori delle vecchie mura medioevali, i prati delle Cure furono occupati da nuove strade e da case che costituiscono oggi uno dei più popolosi ed eleganti quartieri del suburbio. [p. 96 modifica]Dalla Piazza delle Cure si partono in varie direzioni parecchie strade che conducono verso il Campo di Marte e le colline di Camerata e di Fiesole; ma queste abbiamo già percorse nel precedente capitolo, sicché non ci resta che seguire la Via Boccaccio la quale va nel suo primo tratto parallela al torrente Mugnone.

Sul canto della Via Maffei, una delle nuove strade, è un

Tabernacolo di elegantissime forme architettoriche, con alcune figurette di angeli e che ha nell’interno la figura della Vergine col bambino Gesù in braccio. Il tabernacolo, come le sculture in pietra, sono un felice lavoro del Giambologna.

La Via Boccaccio, passando disotto alla Villa Palmieri sbocca sulla Piazza di S. Domenico dove fanno capo le altre strade che da Firenze si dirigono verso Fiesole e delle quali abbiamo discorso nel capitolo precedente (Barriera della Querce).

Schifanoja o la Fonte de’ Tre Visi. - Villa Palmieri ora del Conte di Crawford e Belcarres. — La incantevole bellezza del luogo le dette il primo nome, una fontana adorna forse di una testa di Giano a tre faccie, il secondo; più noto é però il nome di Villa Palmieri, giacché fu quest’antica e ricca famiglia che rabbellì e la rese splendidissima. Le tradizioni relative al Boccaccio ed al Decamerone, dicono come essa fu uno dei soggiorni più favoriti di Messer Giovanni ed egli stesso narra d’essersi qui a lungo trattenuto colle sue novellatrici.

In antico la villa di Schifanoja era di Cione di Fine della famiglia Fini, poi passò nei Solosmei, che la possedevano nel 1427 e da Matteo la comprava nel 1457 Marco Palmieri. I Palmieri l'hanno posseduta fino al decorso secolo ed a loro si debbono tutti gli abbellimenti che furono arrecati all’edilizio ed ai suoi annessi. Fra questi l’antichissima volta che attraversava per un lungo tratto la strada, formando una splendida terrazza che metteva poi in comunicazione la villa coi giardini.

La villa fu dopo Farchill, poi della Granduchessa Maria Antonia di Toscana che l’ebbe in dono e i di lei amministratori la vendevano, anni addietro, al conte di Crawford [p. - modifica]

[p. - modifica] [p. 97 modifica]e Belcarres pari d’Inghilterra ed uno dei più ricchi gentiluomini del Regno Unito.

I possessori attuali ebbero l’onore di ospitarvi, nel lungo soggiorno fatto a Firenze, S. M. la Regina Vittoria della Gran Brettagna.

Ad essi si deve la soppressione della vecchia ed incomoda strada e la sostituzione d’essa con altra che, liberando la villa, si svolge con leggera inclinazione sulla pendice della collina verso la valle del Mugnone.

Lungo questo tratto di via venne edificato dallo stesso Conte di Crawford un piccolo ospizio che serve di sosta alle Confraternite di Misericordia di Firenze e di Fiesole, quando trasportano gl’infermi allo Spedale.

Schifanoja. - Villa Young Nonvood. — Poco distante dall’antica villa Palmieri, sorge un’altra antica villa che è stata modernamente ingrandita e corredata di uno splendido giardino. In origine apparteneva alla famiglia Cresci, la quale ebbe numerosi possessi in altra parte della pittoresca valle del Mugnone e che la possedette fino all’anno 1550 in cui la vendè a Bartolommeo di Bate di Zaccheria. Questi la lasciò per testamento, nel 1571, ad Antonio di Marco Pacini dall’Incastro il quale la vendeva dopo tre anni a Francesco di Filippo Alamanneschi della consorteria degli Adimari e nel 1613 la villa andò in dote a Caterina di Filippo moglie del Cav. Cosimo di Filippo Dell’Antella. Nel 1755 Girolamo Capponi Dell’Antella la vendeva a Lorenzo di Bartolommeo Saletti valente cultore dell’arte musicale e più tardi fu dei Ciacchi, quindi dei Settimanni loro eredi.

Schifanoja o la Badia. - Villa Pasqui. — Di questa villa si trova ricordo in un documento dal 1341 dal quale risulta che Sandro del fu Lapo Covoni dava in affitto a Giovanni di Lapo di Giunta due poderi, detti Schifanoja e Granajo. Il primo di cotesti poderi colla villa che vi fu fabbricata, passò in possesso della Compagnia di S. Donato di Scozia nella Badia Fiesolana, dalla quale fu dato a livello nel 1493 a Giovanni di Jacopo Dell’Erede. Nel 1562 i diritti livellari passarono per compra in Carlo di Tommaso Sacchetti maniscalco ed alla morte di lui, nel 1588, [p. 98 modifica]vennero trasferiti a Domenico Pancini che li cedette nel 1590 a Clemente di Niccolò degli Albizzi. Questa famiglia possedette poi liberamente la villa fino al XIX secolo.

Giunti alla Piazza di S. Domenico, che occupa un piccolo altipiano fra i colli di Camerata ed il poggio di Fiesole, ci occuperemo anzitutto della:

Chiesa e Convento di S. Domenico di Fiesole. — In una vigna posta a Camerata, donata da Jacopo Altoviti vescovo di Fiesole a Frate Giovanni Domenichi, incominciò nel 1406 la costruzione di una chiesa e di un convento dell’ordine domenicano. Però, mancando i denari necessari, l’opera dovette essere abbandonata. Barnaba degli Agli cittadino ricchissimo che aveva già dato 600 fiorini per incominciare il lavoro, venuto a morte, dispose per suo testamento che si portassero a termine chiesa e convento, che vi si collocasse sulle porte il suo stemma e che la chiesa si chiamasse S. Barnaba. I Domenicani nel 1418 dettero ai tre figli di Barnaba il luogo del monastero che con ingentissima somma fu da questi compiuto e restituito poi ai frati. Le disposizioni testamentarie di Barnaba vennero in ogni parte osservate, meno in quella relativa al nome, perchè la chiesa fu dedicata a S. Domenico e mai si chiamò di S. Barnaba.

Diverse famiglie contribuirono a compiere ed arricchire la chiesa e fra le altre i Gaddi, i Dazzi, i Martini ecc. Cosimo Granduca di Toscana, per malvolere verso i frati Domenicani di S. Marco, stati sempre amanti della libertà, tolse loro il convento e lo concesse ai frati Domenicani di Lombardia; ma dopo pochi mesi, il Papa disponeva che il monastero tornasse, come tornò difatti, agli antichi possessori.

Molti abbellimenti e molte importanti aggiunte furono fatte in varie epoche alla chiesa ed al monastero.

Frate Serafino Banchi vi fece erigere a sue spese il coro, la tribuna dell’altar maggiore e la libreria, corredandola di opere rarissime; Fra Cipriano Brignole, esso pure religioso in questo monastero, vi fabbricò, un noviziato e regalò il ciborio di legno dell’altar maggiore; e [p. 99 modifica]finalmente i fratelli neofiti Alessandro ed Antonio di Vitale Medici, decorarono la fronte della chiesa del portico eretto col disegno di Matteo Nigetti nel 1685.

Molti celebri personaggi vestirono l’abito religioso in questo convento e basterà nominare fra gli altri: Antonino Pierozzi poi arcivescovo di Firenze, Fra Bernardo Del Nero vescovo di Bisignano, Monsignor Ercolano e Mons. Angelo Da Diacceto vescovi, l’uno di Perugia, l’altro di Fiesole, Fra Giovanni Angelico detto il Beato Angelico uno dei riformatori della pittura italiana, il P. Domenico Buonvicini seguace di Savonarola, che insieme a lui ed al P. Silvestro Marniti fu impiccato e poi arso in Piazza della Signoria la mattina del 28 Maggio 1498, Santi Pagnini insigne professore di lettere ebraiche ecc.

La chiesa ha nel suo interno subito, in varie epoche, restauri rilevantissimi che le hanno fatto perdere in parte il suo aspetto primitivo; ma rimangono ancora intatti i prospetti delle varie cappelle adorni di squisiti ornamenti in pietra che si attribuiscono a Giuliano da S. Gallo.

Ricchissimo poi è il corredo delle opere d’arte della chiesa, nonostante le spogliazioni sofferte per il passato a benefizio di musei esteri, dove] oggi fan bella mostra numerose tavole dell’Angelico che per essa costituivano un tesoro preziosissimo. Si trovano infatti nella chiesa di S. Domenico: una tavola dell’Angelico con aggiunte di Lorenzo di Credi nel coro; il Battesimo di Gesù Cristo di Lorenzo di Credi, l’adorazione dei Magi di Gio. Antonio Sogliani finita da Santi di Tito; l’Annunziazione di Jacopo da Empoli; un miracolo di S. Antonino di Gio-Batta Paggi; una copia della tavola del Perugino trasportata in Galleria degli Uffizi; la Madonna del Rosario di Francesco Curradi un crocifìsso di Andrea Ferrucci di Fiesole, dei sedili a postergali ed un banco di Sagrestia squisiti lavori d’intaglio e d’intarsio del XV secolo. Il campanile, elegante costruzione di Matteo Nigetti sorto fra il 1611 e il 1613, venne restaurato nel 1900.

L’annesso convento, dopo la soppressione francese, fu venduto ai Velluti Zati Duchi di S. Clemente che lo ridussero a quartieri da villeggianti; ma nel 1879 i [p. 100 modifica]Domenicani di S. Marco lo riacquistavano e lo riducevano a noviziato dell’ordine. Anche il convento era ricco d’opere dell’Angelico, alcune delle quali andarono vendute; ma altre poterono sfuggire alla dispersione, alcune vennero scoperte sotto lo scialbo e così nel ripristinato cenobio resta ancor vivo il ricordo della feconda attività dell’insigne pittore domenicano.

Nella vigna annessa al convento è la graziosa cappellina detta delle Beatitudini, dove si veggono i resti di pregevoli affreschi di Lodovico Buti, quasi distrutti dalle intemperie e dal lungo abbandono.

Compagnia di S. Donato di Scozia. — Di fianco alla chiesa di S. Domenico è l’oratorio dell’antica compagnia di S. Donato di Scozia che fin da tempo remoto aveva sede presso la badia Fiesolana. Alla soppressione di questa, la compagnia si trasferì a S. Domenico e nel 1792 edificò la sua nuova sede. In essa si conserva un interessante busto di rame dorato rappresentante S. Donato, pregevole lavoro di oreficeria in rame eseguito nel 1546 da un Maestro Niccolò Guascone.

Difaccia alla chiesa di S. Domenico è

Il Granajo o i Granai. - Villa Paoletti. — La villa è di moderna ed elegante costruzione; ma occupa il luogo di un antico fabbricato che conserva nel suo nome il ricordo dell’uso al quale era destinato. Era difatti il granajo dove i Monaci della Badia Fiesolana raccoglievano i prodotti dei molti possessi che avevano nelle adiacenze del loro monastero. Più tardi, quando poterono concentrare nell’edifizio monastico anche la loro amministrazione agricola, ridussero il granajo a villa che affittarono e dettero a livello a diverse famiglie. L'ebbero fra le altre le famiglie Gabbuggiani e Palagi.

Muovendo dalla piazza e fiancheggiando per un tratto il convento di S. Domenico, è la Via delle Fontanelle che discende verso la fresca vallicella del torrente Affrico, conducendo a diverse ville di antica origine.

Frosino. - Villa Kramsta. — La costruzione di questa villa data dalla fine del XV secolo, quando apparteneva [p. 101 modifica]alla famiglia Da Filicaja dalla quale passò ai primi del secolo successivo nei Lippi di Dinozzo. Da Francesca vedova di Lorenzo di Dante Lippi e da Cosimo di Giovanni Tassi di lei nipote l’acquistava nel 1547 Ser Bonaccorso Bonaccorsi del gonfalone Drago S. Giovanni che la rivendeva nel 1556 a Augusto di Chimenti Fiorini. Le figlie di Francesco di Niccolò Fiorini l’alienavano nel 1628 al capitano Giovanni Paganucci, dalla vedova del quale, Margherita Barberini, la ricomprava nel 1673 il Sacerdote Giovanni di Ser Tommaso Cordelli e l’erede di questi, Niccolò di Giovanni, la vendeva nel 1717 al Conte Giulio Cesare di Guido Della Gherardesca, il quale possedeva già l’altra vicina villa detta la Torraccia. I Conti Della Gherardesca erano in possesso della villa del Frosino anche ai primi del decorso secolo.

Scopeto o La Torraccia. - Villa Richardson. — La famiglia Dazzi che sul colle di Camerata e sulle pendici fiesolane ebbe numerosi possessi, era padrona di quest’antichissima villa la quale da una torre che un giorno la dominava, trasse il suo più vecchio nomignolo. Gostanza Dazzi la portò nel 1532 in dote al marito Carlo di Niccolò Federighi il quale, nel 1540, la vendè a Giovanni e Cristofano Alessandrini. Certo per ragione di crediti che avevano cogli Alessandrini, gli Ufficiali dell’Abbondanza vennero in possesso della villa della Torraccia e nel 1619 la vendevano a Giovanni ed altri Bini. Il Conte Guido Della Gherardesca, il 17 febbraio 1705, l’acquistava all’incanto dalla Curia Arcivescovile di Firenze, come beni dell’eredità del Senatore Bernardo di Lorenzo Bini e i successori di lui lungamente la possedettero. Modernamente fu Landor.

La villa conserva parte della sua antica e grandiosa costruzione, e fra le altre un severo loggiato del XIV secolo.

Le Fonti. - Villa Smith. — Nella piccola vallicella dell’Affrico, lungo una vecchia stradella che andava da S. Domenico a Majano, sorge quest’antica villa, bella e grandiosa costruzione di carattere del xvi secolo. Ma la sua origine è assai più antica, perchè fin da’ primi del XV secolo era casa da signore della famiglia dei Neroni [p. 102 modifica]di Nigi che in Firenze ebbe i suoi palazzi nella via de’ Ginori. Nel 1488 la villa pervenne in Filippo di Giannozzo Pandolfini come erede della suocera Smeralda vedova di Francesco di Nerone Neroni ed i Pandolfini tennero lungamente questo gaio luogo di villeggiatura che più volte abbellirono e adornarono. Batista di Batista Pandolfini la vendè finalmente il 29 settembre del 1769 a Paolo Luigi di Gio. Battista Pini, i successori del quale la possedevano anche ai primi del decorso secolo.

La Fontanella. - Villa Rosseìli Del Turco. — È situata anch’essa nella vallicella dell’Affrico e dette nome alla via delle Fontanelle che da S. Domenico conduceva a Majano. Ai primi del XV secolo era fra i numerosi possessi che aveva qui attorno la famiglia Dazzi. Nella metà del secolo successivo la villa era divisa fra Andrea di Giovanni Dazzi e la sorella Caterina moglie di Giovanni di Lorenzo Ciaini Da Montaguto che l’aveva avuta in dote. Francesco di Bastiano di Jacopo Del Turco comprava il 27 maggio 1547 la metà della villa da Giovanni Ciaini ed il 7 agosto 1549 l’altra metà e da quell'epoca la famiglia Del Turco ha gelosamente conservato questo suo possesso. Nel 1577 dimorò in questo luogo, ospite di Pier Francesco Del Turco che l’aveva accompagnato a Firenze, S. Luigi Gonzaga al quale venne dedicata la graziosa cappella annessa alla villa.

Tornando sulla Piazza di S. Domenico, prenderemo la piccola Via della Badia dei Roccettini che con ripida inclinazione scende nella valle del Mugnone e sbocca dinanzi al Ponte alla Badia.

Badia Fiesolana. — Sulla scoscesa pendice del monte fiesolano che precipita verso la stretta valle del Mugnone, sorge colla massa severa e solenne del suo fabbricato la vecchia Abazia di S. Bartolommeo che riunisce in se un tesoro di gloriose memorie ed i resti tuttora cospicui di un doviziosissimo patrimonio artistico.

Che nel luogo dell’abazia sorgesse la cattedrale primitiva di Fiesole, edificata, come era costume del tempo, fuori delle mura fortificate, è ormai accertato senza dubbiezze, [p. 103 modifica]mentre non è avvalorata da nessun fondato elemento l’altra affermazione degli antichi storici che quivi sorgesse quel castello presso al quale i fiorentini guidati da Stilicone avrebbero nel 406 vinto e fiaccato l’orgoglioso Radagasio re dei Goti, che con infinite milizie scendeva giù per la valle del Mugnone ad imporre colla violenza l’autorità sua. Fiesole, più per le condizioni mutate dei tempi e per l’abbandono dei suoi cittadini più cospicui, che per violenze altrui, era attorno al 1000 caduta nel massimo squallore e il vescovo Jacopo Bavaro iniziò i tentativi per farla risorgere col trasferirvi la cattedrale che era rimasta per tanti secoli isolata e divisa dalla popolazione che vi era soggetta.

Spogliata degli onori di cattedrale, la chiesa perdette anche l’antico titolo di S. Pietro al quale il vescovo volle fosse sostituito quello di S. Bartolommeo, sotto il quale la vediamo poco dopo risorgere dalla rovina nella quale era caduta per l’abbandono, ricca e fiorente abazia dell’ordine benedettino. E tale si mantenne fino all’anno 1439 in cui Papa Eugenio IV la soppresse per concederla nel 1445 ai Canonici Regolari di S. Agostino, arricchita coi beni di chiese e di conventi che vi furono riuniti ed aggregati. Dalla presa di possesso per parte di questi Canonici Lateranensi, chiamati anche Roccettini, cominciano la vera grandezza e la fama della Badia Fiesolana. Cosimo de’ Medici, amico di alcuni di quei dotti Canonici, impiegò le sue ricchezze a rifabbricare chiesa e convento, valendosi dell’opera di Filippo di Brunellesco, e non è a dirsi se coll’oro dei Medici ed il genio peregrino del Brunellesco, l’edifizio riuscisse splendido e degno del suo benefattore. Il Vasari non esita a dire che Cosimo impiegasse in tal opera la egregia somma di 100,000 scudi, e certo dalla grandiosità dei lavori si può arguire che l’asserzione dello storico dell’arte non debba esser troppo lungi dal vero.

Brunellesco rifabbricò la chiesa lasciandovi solo una parte della caratteristica facciata incrostata di marmi alla maniera del secolo X, e dipoi Michelozzo Michelozzi vi uni una grandiosa sagrestia, costruì eleganti ed ampj [p. 104 modifica]chiostri con porticati, un bel refettorio, il noviziato ed una biblioteca, dove Cosimo de’ Medici raccolse una splendida collezione di codici e di opere rare. Tante cure egli ebbe per questa badia, tanto affetto portò a questo luogo e ai dotti Canonici Lateranensi, che fattosi costruire un apposito quartiere, veniva di frequente a passarvi alcuni giorni. Durante il soggiorno di Cosimo, la Badia Fiesolana diventava il ritrovo di tutti i sommi ingegni di quel tempo che nel Medici avevano ritrovato un dotto e splendido mecenate. E tale fu per essi anche Lorenzo il Magnifico, che egual culto ebbe per la Badia dove si recava spesso insieme a Poliziano, a Pico, al Crinito, allo Scala ed a tanti altri grandi letterati e filosofi.

Fu nella Badia che vestì solennemente l’abito cardinalizio Giovanni de’ Medici che fu poi Papa Leone X.

Questo edifizio non fu risparmiato dalle milizie che assediavano Firenze nel 1529 e molti danni vi arrecarono che furon poi riparati in guisa che più non ne restasse traccia.

Nella Badia Fiesolana, per iniziativa del P. Abate Ubaldo Montelatici, che con molta cura si dette agli studj d’agricoltura, si può dir che sorgesse la prima Accademia Agraria tra quante ne conta l’Europa, l’Accademia dei Georgofili che il dottissimo religioso insieme ad altri scenziati e studiosi istituì nel 1753.

Il monastero venne soppresso nel 1778 e concesso agli Arcivescovi di Firenze che più tardi lo permutarono col Capitolo di Fiesole. Intanto la chiesa fu chiusa al culto, le opere d’arte andarono per la maggior parte disperse, mentre la preziosa biblioteca era nel 1783 trasferita nella Medicea Laurenziana.

Fra i molti usi ai quali l’ampissimo locale venne destinato, uno solo fu degno della sua fama e della sua importanza, giacche concesso in parte all’illustre archeologo Francesco Inghirami, divenne Sede di quella Poligrafia Fiesolana da lui fondata che produsse splendidi lavori in tipografia ed in litografia fra i quali van ricordati le accurate mappe e carte geografiche del Granducato di Toscana. Ma le tristi vicende della celebre Abazia [p. 105 modifica]continuarono per un lungo periodo di anni; la chiesa fu utilizzata come cimitero della Misericordia di Firenze e le maestose corsie, i saloni della opulenta abazia divisi in tanti quartierini, furono abbandonati alla mercè di villeggianti e di pigionali che fecero man bassa di ogni artistica vestigia.

Fortunatamente a scongiurare l’estrema rovina di quell'insigne monumento intervenne un fatto che ha valso a restituirlo all’antico decoro e si potrebbe dire all’indole sua di luogo sacro agli studj; vogliamo dire l’acquisto che ne fecero circa 25 anni addietro dal Capitolo Fiesolano i Padri Scolopi per convertirlo in un collegio convitto. Prima cura dei nuovi proprietarj fu quella di distruggere anche le tracce del lungo e deplorevole periodo di decadenza e di abbandono e di restituire la superba abazia al suo pristino splendore. I restauri, condotti con sano criterio artistico, valsero a farci rivedere in tutta la superba bellezza delle sue forme del rinascimento l’ampio cortile a logge d’ordine jonico, la caratteristica sala del Capitolo, il refettorio vastissimo, il quartiere di Cosimo I, parti tutte del monastero ideate e compiute da Michelozzo Michelozzi l’architetto prediletto di Cosimo Pater Patriae. Cosi pure si restituì a conveniente aspetto l’abbandonata chiesa, si consolidò il campanile vetusto, si ripararono le finissime decorazioni di pietrame logorate dalle intemperie e deturpate dall’ignoranza degli uomini. In sostanza i Padri Scolopi nel dar degna, comoda e conveniente sede al loro fiorentissimo collegio, fecero opera degnissima di fronte all’arte ed alla storia, facendo rivivere un monumento insigne che pareva condannato alla rovina ed all’oblio.

Abbiamo detto che le vicende occorse dopo la soppressione avevano condotto alla dispersione del patrimonio artistico della Badia; pure qualche cosa ha potuto sfuggire al moderno vandalismo. Nell’ex-monastero infatti si veggono alcune di quelle opere d’arte che l’adornavano e che per la natura loro hanno opposto la loro gagliarda solidità all’ingordigia degli spogliatoio.

Nel gran Refettorio, oltre all’affresco dove sono [p. 106 modifica]rappresentati Gesù cibato dagli angeli, dei gruppi d’angeli e le mezze figure dei Santi Bartolommeo ed Agostino, opera firmata di Giovanni da S. Giovanni che porta la data 1629, si ammira tuttora il pulpito leggiadramente intagliato in pietra da un artista della maniera di Giuliano da Maiano, mentre nel vestibolo che precede il salone è un superbo lavabo che si attribuisce a Michelozzo; un altro lavabo di marmo, buon lavoro, forse di uno de’ Ferrucci di Fiesole, è in un’altra sala che servì già ad uso di sagrestia, e nel gran chiostro, al disopra della porta che dava accesso al quartiere di Cosimo il Vecchio, è il ritratto a bassorilievo del benefattore della Badia, scolpito probabilmente da Baccio Bandinelli nel 1600.

Sorti più disgraziate ebbe la chiesa, alla quale non restò che la severa bellezza delle sue pure linee magistrali, immaginate dal genio del Brunellesco. Sussistono le gentili decorazioni scolpite sulle due porte laterali della tribuna, è rimasto a posto il ricco altare del XVII secolo colle armi Medicee, ma tutto il resto è scomparso, lasciando le cappelle in uno stato di squallida nudità. Queste cappelle, quattro per lato, oltre la tribuna o cappella maggiore, erano state fondate da illustri e facoltose famiglie fiorentine: Tani, Martelli, Sassetti, Portinari, Medici, Gaddi, Palmieri e Pazzi, e tutte dovevano essere adorne di adeguate e preziose tavole d’altare; ma oggi della loro doviziosa ornamentazione non è rimasto che il ricordo, lo scheletro nudo rappresentato dalle linee architettoniche e dagli altari spogliati.

A breve distanza della Badia Fiesolana, fra la pendice del monte di Fiesole e la via Faentina, sono diverse antiche ville.

La Palajuola. - Villa Pampaioni. — Sotto il nomignolo di Palajuola, Palajuole e Pagliajuole si trovano fin da tempo lontano indicate diverse ville, più tardi chiamate le Palazzine, poste sulla pendice a libeccio del poggio di S. Francesco di Fiesole verso il Mugnone. Di questa villa di Palajuola è ricordo in un contratto d’affitto fatto nel 1351 da Balda d’Inghilberto vedova di Jacopo di Gino, [p. 107 modifica]conservato fra le pergamene di S. Pancrazio. Il possesso è allora indicato come un podere con resedio, orto e canneto in luogo detto Palajola nel popolo della Badia di Fiesole. Nel XV secolo la casa da signore apparteneva ad un tal Nardo scalpellatore di Fiesole, il quale la lasciò alla moglie Ginevra che nel 1481 la vendè ai figli di Agostino Bandocci. Restò in possesso di questa famiglia fino all’anno 1543 in cui fu data ad Arcangiolo Spigliati per restituzione di dote e per lodo nell’eredità di Bernardo di Domenico Bandocci. Agnola figlia d’Arcangiolo Bandocci la portò in dote a Francesco di Benedetto di Frosino vajaio che nel 1552 la vendè a Raffaello di Rinaldo Rinaldi. Restò nei Rinaldi fino alla morte del Bali Raffaello dopo la quale, gli Ufficiali della Decima la vendevano nel 1711 per 1600 scudi a Sante del capitano Dionisio Lenzi del gonfalone Nicchio. Nel 1751 questi la lasciava in eredità ad Anton Francesco di Francesco Pesci fornajo in Piazza di S. Maria Nuova gli eredi del quale possedettero la villa fino a’ primi del decorso secolo

Le Palajuole o Le Pagliajuole. - Villa Von Buerkel. — Questa villa è di antichissima origine. Ai primi del XV secolo era indivisa fra Batista di Biagio Sanguigni e Chimenti di Cipriano Sernigi e da queste famiglie e da altri comproprietarj l’acquistava nel 1460 Lorenzo di Francesco degli Strozzi. Questo ramo dell’illustre famiglia fu in possesso della villa fino al XIX secolo. Degli Strozzi vedesi lo stemma del XV secolo sul portone d’accesso ad una viottola che conduce alla villa, posto lungo la via della Badia Fiesolana.

Le Pagliajole ora Le Palazzine. - Villa Gronau. — La famiglia Strozzi ebbe fino dal xv secolo il possesso di diverse ville e di terreni sul poggio Fiesolano. Oltre a quella già rammentata nella località chiamata Palajole o Pagliajuole gli Strozzi furon padroni anche di questa che le sorge vicina. Nel xv secolo era dei Migliori ed a’ primi del XVI secolo apparteneva a Lorenzo di Filippo Strozzi. Più tardi passò nella famiglia Giunti e nel 1607 a dì 5 luglio Giovanni Battista Strozzi P acquistava da Modesto, Gio. Donato e Bernardo di Filippo Giunti per riunirla al suo vicino [p. 108 modifica]possesso del quale seguì dipoi le sorti. Negli architravi di alcune porte si trova inciso il nome di Gio Battista Strozzi.

Per andare da S. Domenico a Fiesole si possono prendere due differenti strade: la Strada Nuova, oggi Via Giuseppe Mantellini che è pure percorsa dal tranvai e la Strada Vecchia che ad un certo punto si biforca, prima colla stradella volgamente chiamata Vecchissima, poi colla Via delle Coste.

Percorreremo separatamente queste diverse strade che fan capo a Fiesole e poi illustreremo brevemente l’antica e storica città.

Via Giuseppe Mantellini già Strada Nuova Fiesolana. Lungo questa strada hanno l’accesso numerose e belle ville delle quali ricorderemo le più importanti, per i loro storici ricordi, cominciando da quelle che si trovano dal lato destro verso la piccola valle dell’Affrico.

Pratellino. - Villa Hay-Frescobaldi. — I più antichi possessori di questa villa, posta a confine cogli orti del convento di S. Domenico appariscono i Buoninsegni da’ quali ne fa acquisto nel 1475 un Domenico di Bartolommeo Mori tintore. Pochi anni dopo, passò in possesso della famiglia Del Barbigia e nel 1523 i sindaci sugli affari di Bernardo d’Antonio vendono a Giovanni di Piero Landi una parte del possesso. L’altra parte restò a Dada di Antonio Del Barbigia moglie di Francesco Del Padovano. Dopo diversi passaggi delle singole parti, la villa fu acquistata nel 1602 da Jacopo di Francesco Quaratesi e poi, in certe divise di famiglia toccò nel 1745 alla famiglia Dazzi che lo possedette fino a che l’ebbero i Frescobaldi.

Bellagio. - Villa Arnhold. — Il nome di Bellagio, dato a questa villa posta in ridentissima situazione e circondata da un delizioso giardino, è affatto moderno. In antico era indicata semplicemente come «la villa sotto S. Maurizio» e fin da’ primi del XV secolo era casa da signore di un Maestro Falchetto di Valentino Falchetti. In questa famiglia la troviamo fino all’anno 1547 in cui Niccolò [p. 109 modifica]di Mariano la vende a Michele di Pagolo Ulivieri. Gli Ulivieri debbono aver ampliato e restaurato coteste villa, giacché sullo spigolo d’una cantonata si vede tuttora lo stemma di quella famiglia. Poco dopo l'acquisto fattone, Michele Ulivieri dette questo suo possesso in dote alla figlia Cassandra sposa di Piero di Bernardo Corsini. Il figlio di lei Piero la rivendè nel 1613 a Ser Matteo Corboli e da Piero di Matteo Corboli la comprò nel 1617 Agnolo di Bastiano Del Turco. Nel 1768 poi i Del Turco l’alienarono alla famiglia Micheli che la possedeva anche ai primi del decorso secolo.

In questo lieto soggiorno, che egli aveva acquistato dagli eredi De Magny, dimorò alcuni anni e cessò di vivere Arnoldo Böcklin uno dei più celebri pittori tedeschi contemporanei.

Lucente. - Villa Egerton. — Di questa villa elegante posta fra la nuova via fiesolana e l’oratorio di S. Maurizio, non troviamo ricordi anteriori ai primi del XVI secolo nel quale faceva parte della dote della Cappella di S. Antonio abate nella Pieve di Borgo S. Lorenzo. Da questa cappella la tolse a livello Messer Francesco di Tommaso Minerbetti vescovo di Sassari, il quale si costituiva un cospicuo possesso attorno alla cappella di S. Maurizio. L’ampliamento della villa si deve certo ai Minerbetti ai quali essa appartenne fino all’anno 1768 in cui Andrea del Cav. Orazio la vendeva insieme ad un altra villa poco lontana a Pietro di Filippo Orlandini i successori del quale la possedevano anche nel XIX secolo.

Oratorio di S. Maurizio. — Remota è l’origine di questo oratorio che nel 1364 si trova esser di patronato dei Canonici di Fiesole. Monsignore Francesco Minerbetti vescovo di Sassari e poi d’Arezzo, che possedeva due ville in questa località alla quale si era in particolare modo affezionato, ebbe cure speciali per questo oratorio che attorno alla metà del XVI secolo fece completamente restaurare, ponendovi sulla porta il proprio stemma. Morendo, egli assegnò varj beni a cotesto oratorio e colla vendita di essi venne più tardi eretto un canonicato Minerbetti [p. 110 modifica]nella cattedrale di Fiesole. Il piccolo oratorio, che conserva in molta parte la venustà del suo carattere semplice e severo è ora una dipendenza della vicina villa.

San Maurizio. - Villa Chambers. — L’oratorio di S. Maurizio che oggi ne è divenuto un annesso, dette nome a questa villa la quale fin da tempo remoto apparteneva a quella Compagnia di S. Croce al Tempio che aveva il mesto ufficio di accompagnare e confortare i condannati all’estremo supplizio. Il Vescovo Francesco Minerbetti ottenuto dal Capitolo di Fiesole il vicino oratorio del quale si fece nominare rettore, prese a livello anche la villa e nella concessione livellare successe verso il 1770 ai Minerbetti la famiglia Griovagnoli di Rassina in Casentino. Modernamente la villa fu Bagni e poi Berti.

Bencistà o Morene. - Villa Böcklin. — Questa villa situata sulla pendice sotto l’oratorio di S. Maurizio, fu possesso dell’illustre famiglia Valori ed ai primi del secolo aparteneva a Bartolommeo di Niccolò che fu cittadino di grande autorità. Più tardi fu di Bartolommeo di Filippo Valori celebre nei ricordi degli ultimi tempi della repubblica e delle vicende successive. Egli tenne da parte Medicea e accettò anche l’ufficio di Commissario del Papa Clemente VII nel celebre assedio contro Firenze. Da Alessandro de’ Medici ebbe un seggio di senatore; ma ben presto egli si ravvide, sentì il peso della tirannia del primo Duca e si uni ai più caldi fautori di libertà, combattendo con essi da valoroso nel memorabile fatto d’armi di Montemurlo. Cosimo I non volle perdonargli l’infedeltà ed il 20 Agosto del 1537 il Valori fu decapitato. I beni di lui vennero confiscati. La villa del Morone fu nel 1542 venduta dagli ufficiali dei ribelli al Vescovo Raffaello Minerbetti un dei più fidi partigiani di casa Medici. Fu a tempo del Minerbetti che la villa ebbe il nome di Bencistà che sostituì quello antico usato dai Valori. Dai Minerbetti passò nel secolo successivo nei Ticciati e da questi nel 1719 nelle Monache di S. Anna sul Prato.

Dal lato opposto della strada è

Il Borghetto o il Poggio. - Villa Edlmann. — È un [p. 111 modifica]comodo edifizio posto sopra ad un verdeggiante poggetto die sporge verso la vallicella dove ha origine il torrente Affrico. Nel 1427 la villa appartiene ad un Andrea di Piero orafo dal quale passa per eredità nella nipote moglie di Bernardo di Simone donzello che nel 1548 la vende a Matteo di Paolo Delle Macchie. Questi la rivende nel 1549 ad Alessandro di Bartolommeo Talani d’un antica e storica famiglia che aveva le sue case dietro Palazzo Vecchio. I Talani caddero in rovina per ragioni di commercio ed i Signori Sei di Mercanzia vendettero questa loro villa al Marchese Scipione figlio del colonnello e senatore Piero Capponi del ramo detto di Via Carraja. I Capponi la possedettero fino al secolo ora scorso.

La Fonte o a’ Mazzi, ora la Torre Rossa. - Villa Handerson. — Questa villa, che è situata lungo la via che va a Majano, nel luogo dove ha la sua sorgente il piccolo torrente Affrico, appartenne in antico alla famiglia Parenti del gonfalone vajo, poi, alla metà del xv secolo passò alla famiglia Mazzi del gonfalone Lion d’oro che l’ebbe per lunghissimo tempo lasciandole il nomignolo di a ’ Mazzi. Alla fine del 600 era de’ Pratesi dalla quale la comprarono nel 1760 i Perini. La villa è stata ridotta or non è molto a carattere moderno.

San Michele alla Doccia. - Villa Cannon. — Sulla pendice del poggio Fiesolano che scende verso la vallicella dell’Affrico, sorge questo antico e grandioso edifizio di carattere monastico, circondato da un folto ed annoso bosco che contribuisce a dare alla località un carattere solenne di quieta e tranquilla solitudine. Quell’edificio attorniato da portici, che nonostante la sua riduzione a villa, conserva tuttora l’aspetto antico, fu per il corso di varj secoli convento dell’ordine Francescano. Nel luogo dov’era una casa campestre dei Benintendi, Niccolò Davanzati, sollecitato dalle preghiere di Frate Francesco da Scarlino fece erigere verso il 1414 un piccolo fabbricato dove quel romito si ritirò insieme a pochi compagni. L’elemosine da essi raccolte, valsero ad ampliare la fabbrica ed a costruire una chiesa che fu dedicata a S. Michele Arcangelo. Ma per cagione di un [p. 112 modifica]omicidio commesso da uno di quei romiti sopra ad un compagno, il luogo venne abbandonato ed i Davanzati lo donarono ai Frati Minori Osservanti che vi si stabilirono nel 1486 e vi stettero fino alla soppressione del 1808. La famiglia Davanzati, che fu sempre patrona del convento, rabbellì in varie epoche e fra le altre cose vi fece costruire il grazioso portico che Santi di Tito eresse col disegno di Michelangiolo Buonarroti. Il convento è attualmente ridotto a villa; ma la chiesa è stata conservata tuttora. Fra gli oggetti d’arte che adornano i suoi cinque altari sono da annoverarsi: l’apparizione di un angelo di Nicodemo Ferrucci, una crocifissione di Santi di Tito e un S. Girolamo dell ’Empoli. Lo stemma col leone dei Davanzati, posto sulla facciata della chiesa, è scolpito maestrevolmente e la tradizione lo vuole di Donatello, per quanto sia di fattura notevolmente posteriore. Nella chiesa stessa è sepolto l’illustre giureconsulto Giuliano Davanzati vissuto nel XV secolo.

Dopo la soppressione del 1808, il locale fu venduto e la famiglia Cuccoli-Fiaschi che lo possedette lungamente lo ridusse a villa. Dalla chiesa fu trasportata in galleria una bella ancona d’altare dei primi del XV secolo che concessa dipoi in deposito ai frati Vallombrosani, si vede oggi sull’altar maggiore della chiesa di S. Trinità.

Buonriposo. - Villa Westbury. — Questa villa deve la sua importanza alla famiglia Minerbetti, essendo stata favorita villeggiatura di Messer Francesco di Messer Tommaso Minerbetti prelato ricchissimo che fu vescovo di Sassari e che scelse questa parte vaghissima de’ colli fiesolani come luogo di riposo e di quiete, dopo le agitazioni nelle quali, come fiero partigiano di casa Medici, s’era trovato coinvolto. Nel 1578 la villa di Buonriposo, quanto una vicina casetta detta la casa del Golpe furono con sentenza dei Conservatori di Legge assegnate vita natural durante a Caterina di Cristofano Fantacci moglie di Gabbriello Guidi di Fucecchio; ma non ne conosciamo la ragione per causa di una lacuna dell’archivio di quel magistrato. Certo la villa tornò ai Minerbetti che la possedettero fino all’anno 1768 nel quale Andrea del cav. Orazio la vendeva insieme all’altra villa [p. - modifica]

[p. - modifica]


[p. - modifica]


[p. - modifica] [p. 113 modifica]chiamata Lucente a Pietro di Filippo Orlandini. Essendo appartenuta ad una signora Costanza Orlandini, questa sostituì all'antichissimo nomignolo di Buonriposo o Belriposo quello di Villa Costanza.

La Doccia o I Ferrucci. - Casa Westbury. — Per quanto ridotto a casa colonica, l'edifizio conserva nelle proporzioni e nelle forme il carattere di villa; e fu difatti casa da signore e il principale dei possessi che in questa parte del monte fiesolano ebbe la celebre famiglia dei Ferrucci scultori. Insieme ai resti di eleganti decorazioni in pietra, esistevano lino a pochi anni addietro in questa casa, un elegante camino e un lavabo di pietra con decorazioni e collo stemma dei Ferrucci, che il proprietario fece trasportare in un fabbricato prossimo al suo castello di Vincigliata ed alle cave di Majano.

I Ferruzzi o I Ferrucci. - Villa Maremmi. — La villa non è di antica costruzione e sorge lungo una piccola via detta del Borghetto, nel luogo dov’erano diverse case appartenenti per la maggior parte a quella famiglia Ferrucci di Fiesole, che dette all’arte, della scultura specialmente, maestri valentissimi nel periodo più florido del rinascimento.

Palagio Del Sera. - Villa Kraus. — Elegante e comoda villa che, circondata da graziosi villini di moderna costruzione, sorge sulla ridente pendice fiesolana presso la vecchia strada detta del Borghetto. Fu possesso antichissimo dei Bonagrazia, potente famiglia che ebbe le sue case di Firenze in Borgo Pinti, dov’è oggi il Palazzo Carobbi, e che decadde dell’antico splendore, quando si schierò contro la tirannia Medicea. Niccolò di Buono Buonagrazia la lasciò nel 1469 a Nera Del Sera discendente da una famiglia la quale, per aver favorito la caduta di Semifonte in mano de’ fiorentini, godeva fin da tempo remoto l’esenzione da ogni pubblica imposizione. Dal 1580 al 1597 la villa di Fiesole appartenne a Neri di Neri Griraldi che l’aveva comprata a vita, poi tornò ai Del Sera, la famiglia dalla quale discendeva la madre di Michelangelo Buonarroti. Essi la possedettero fino agli ultimi del XVIII secolo e dipoi andò negli Ulivelli-Ulivieri. Da [p. 114 modifica]parecchi anni appartiene alla famiglia dei Baroni Kraus, cultori egregi dell’arte musicale i quali hanno in questa loro ospitale dimora raccolto un importantissimo e prezioso museo di strumenti ed un copioso archivio di musica antica.


La via seguita fino alla Piazza di Fiesole; ma noi torneremo ancora sulla piazza di S. Domenico, onde percorrere la

Via Vecchia Fiesolana.

Il Palagio di Trebbiano. - Villa Benvenuti. — La villa, che fa parte del gruppo di fabbriche che attorniano la località chiamata fin da tempo lontano Le Tre Pulzelle, circondata da un bel giardino, ha aspetto moderno, per quanto sia di antichissima origine. Si diceva ilPalagio o il Palagio di Trebbiano ed ai primi del XV secolo faceva parte dei moltissimi beni che sulle pendici fiesolane possedeva fin da tempo remotissimo la potente famiglia dei Ghinetti o Aghinetti chiamati anche Neri di Lippo, la quale da un altro palagio posto alle falde settentrionali del poggio di Fiesole, aveva preso il nuovo cognome di Del Palagio. Nel campione della decima del 1427 troviamo infatti che i figli di Giovanni d’Andrea di Neri di Lippo possedevano un luogo detto il Palagio nel popolo della Badia di Fiesole. Quando e come avvenisse il passaggio non sappiamo; ma la casa da signore col podere andò a far parte del patrimonio dei Canonici lateranensi della vicina Badia di Fiesole. Nel 1653 i monaci la dettero a livello ad Orazio, al Canonico Giuseppe e ad altri Marucelli che più tardi, affrancato il livello, ne divennero liberi possessori. Fra i moderni ricordi di questa villa devesi notare com’essa appartenesse al Prof. Pietro Benvenuti il quale, ne’ primordi del XIX secolo, fu uno de’ più efficaci riformatori della decaduta pittura toscana.

Le Tre Pulzelle. - Era il nome di un’antica e famosa osteria, luogo di ritrovo un giorno delle allegre brigate che da Firenze recavansi a Fiesole ed il convegno dei villeggianti che nella calda stagione vi si trattenevano a conversare all’ombra gradita degli alberi annosi. Fra [p. 115 modifica]i più assidui frequentatori di questo luogo era anche l’Abate Lami il celebre erudito autore delle Lezioni sulle Antichità Toscane. Papa Leone X, recandosi ai di 11 gennaio 1516 a Fiesole, si soffermò alle Tre Pulzelle per qualche momento ed in ricordo di questa visita, venne posta sull’angolo della casa l’arme Medicea colle insigne Pontificie. Ora alle Tre Pulzelle sono alcune case appartenenti al possesso Benvenuti.

Difaccia, dal lato opposto della via, è la

Fontana delle Tre Pulzelle. — In antico era un tabernacolo con una sorgente d’acqua alla base e lo avevano costruito gli Spinelli dei quali vedesi tuttora lo stemma nel serraglio dell’arco. Lo scultore Baccio Bandinelli, al quale appartenne la vicina villa, restaurò la fonte e l’adornò di colonne e di mascheroni da lui scolpiti in marmo. La fonte, che era ridotta in cattivo stato, fu modernamente restaurata, secondo il vecchio disegno del Bandinelli, dall’architetto Majorfi.

Papiniano, già le Tre Pulzelle. — In epoca lontana fu degli Spinelli, famiglia di ricchi mercanti che si rese altamente benemerita delle arti, contribuendo con somme ingenti alla fabbrica ed all’adornamento della chiesa e del convento di S. Croce di Firenze. Nel 1427 era di Bartolommeo di Bonsignore Spinelli ed in possesso di questa famiglia restò fino a che, nel 1533, Domenico di Cristofano la vendè a Bartolommeo, comunemente chiamato Baccio, di Michelangiolo Bandinelli. Il Bandinelli scultore ed architetto non privo di merito, ma macchinoso e convenzionale, fu uno degli artisti più fidi alla famiglia Medicea colla quale ebbe una certa dimestichezza, talché egli scelse questo luogo come soggiorno favorito, perchè prossimo a diverse ville dove suolevano villeggiare i principi della casa Granducale. Il figlio di lui Michelangiolo, rivendè la villa nel 1570 a Filippo di Averardo Salviati e d’allora essa andò a far parte dell’ampia possessione che quell’opulenta famiglia aveva a poco a poco costituita su’ colli fiesolani e nelle adiacenti campagne. Modernamente fu proprietario di questa villa fino alla morte Giuseppe Mantellina deputato e giurista illustre il quale volle dedicarla [p. 116 modifica]a Papiniano, le opere del quale egli aveva dottamente illustrate.

Il Teatro. - Villa Albizzi. — Sopra un terreno concessole dal Duca Salviati, un’Accademia intitolata dei Generosi, costituita da villeggianti che suolevano passar la bella stagione sulle pendici fiesolane, edificava nel 1771 col disegno dell’architetto Del Rosso un piccolo casino con teatro nel quale si eseguirono da abili dilettanti delle opere nuove di Giovan Battista Brocchi e di Lorenzo Cipriani e poi delle commedie. Non ebbe però lunga vita cotesto piacevole luogo di ritrovo, poiché a’ primi del decorso secolo, dopo diversi anni d’inoperosità, il casino fu trasformato in villa.

Le Masse. - Villa dei Principi Buoncompagni Ludovisi. — Fra le tante ville del colle fiesolano è una delle più grandiose e più splendide per la situazione favorevole e per la ricchezza degli annessi. Il primo ricordo di questa località si trova in un documento del 1414 dal quale apparisce che Antonia del fu Martino di Vanne vedova di Romolo di Lapo donava un podere con quattro casolari nel luogo detto Le Masse a Filippo di Benedetto di Piero. Della villa però non si hanno tracce che nel 1548, quando Matteo di Pagolo Delle Macchie compra il podere da Domenico di Lodovico Martini. Per ragioni di confisca, la casa edificata dal Della Macchie passò in possesso di Cosimo I granduca di Toscana il quale nel 1551, con molti altri beni, ne fece dono al suo fido coppiere Sforza Almeni di Perugia. L’ampliamento della villa e la creazione di un meraviglioso giardino a più ripiani, ricco di adornamenti e di giuochi d’acqua, debbonsi all’Almeni, al quale non mancava mai il più largo aiuto del suo signore. Ma la fortuna del favorito cortigiano fu bruscamente troncata ed è ben nota la triste leggenda che si chiude coll’uccisione di lui per mano stessa del Granduca, il quale volle punirlo forse di troppo ardite iniziative verso le amanti del generoso protettore. Gli eredi dell’Almeni si sbarazzavano ben presto di questo possesso il quale venne acquistato nel giugno del 1566 da Antonio del Senatore Giovanni Ramirez di Montalvo, un altro dei fidi gentiluomini della [p. 117 modifica]corte Medicea. Nemmeno costui la tenne lungamente, perchè nel 1584 la rivendeva a Lucrezia di Piero Da Gagliano moglie di Antonio di Filippo Salviati. Essendo pervenuta in possesso di Filippo Salviati vescovo di San Sepolcro, venne nel 1636 alienata a Cassandra del Senatore Francesco Guadagni vedova di Antonio Salviati, la quale la lasciò in parti eguali a Piero e Jacopo Corsi, a Maria Salviati nei Medici ed a Laura Salviati. Questa si fece monaca in S. Niccolò di Cafaggio, la parte dei Corsi andò a Ippolita Della Gherardesca e quella di Maria Salviati in Lorenzo del Senatore Raffaello de’ Medici. Da questi differenti possessori acquistò la villa nel 1641 Giulio Vitelli che di nuovi adornamenti volle arricchirla, Restò in possesso di questa opulenta famiglia fino a che, venuta a mancare la discendenza, patrimonio e nome pervennero nei Marchesi Rondinelli da’ quali l’attuale possessore l’ha avuta per ragioni dotali.

Montaltuzzo o Altuzzo. - Villa Stefanelli. — È situata nel punto in cui si congiungono la strada delle Coste che guida a Fontelucente e il viale della Villa Medicea, convertito poi in strada pubblica. Sulla fine del xv secolo era di una famiglia Ferretti fiesolana che la vendè nel 1642 a Benedetto di Giovanni Del Mela; dall’eredità di lui l’acquistò nel 1652 Giuseppe di Marcantonio Aloigi rivendendola nel 1686 a Orazio di Giovan Matteo Landi. Poco dopo passò per eredità nei Carucci che la possedettero per oltre un secolo; poi fu dei Marchesi Bourbon Del Monte.

Delle località alle quali guida la via di Fontelucente o delle Coste parleremo altrove, proseguendo intanto fino alla villa un giorno Medicea, dinanzi alla quale sbocca la ripida stradella detta la strada vecchissima per essere stata in antico l'unica che da Firenze guidava alla città di Fiesole. A poca distanza da questo luogo sorge la chiesetta di

Sant’Ansano, alla quale è annesso il Museo Bandini. È una chiesa di antichissima origine, della quale serba, nella parte tergale specialmente, le tracce e vuolsi fosse fin dal X secolo una delle parrocchie suburbane di Fiesole. [p. 118 modifica]Nel 1200 serviva alle radunanze d’una compagnia detta della SS. Trinità, composta in gran parte di fiorentini. Acquistata nel 1795 dall’illustre canonico Angiolo Maria Bandini, la chiesetta di S. Ansano fu restaurata e convertita cogli annessi locali in uno splendido museo che l’illustre fondatore lasciava poi in eredità al Capitolo Fiesolano, come dote di un canonicato.

Troppo lungo sarebbe l’enumerare tutti gli oggetti d’arte che sonovi raccolti e preferisco accennarne i principali, spogliando l’inventario che ne fu fatto per conto delle RR. Gallerie.

Nella chiesa si vedono: una testa di S. Ansano, di Luca della Robbia — una testa di S. Giovanni — un Gesù Bambino — una statuetta di S. Ansano — una visitazione ed altri oggetti in terra cotta invetriata, di Andrea Della Robbia e della sua scuola — quattro tavolette rappresentanti i Trionfi dell’Amore, della Castità, del Tempo e della Divinità, della scuola di Sandro Botticelli — una Vergine in trono, della scuola di Domenico Ghirlandajo — una Madonna, di Taddeo Gaddi — una Madonnina, di Fra Benedetto — un quadro con diversi santi, della maniera di Giotto — un S. Giovanni, bassorilievo di Baccio Bandinelli.

Nella Tribuna si notano: un santo Vescovo ed una Pietà, della scuola di Giotto — l’Incoronazione della Vergine, forse di Cosimo Rosselli — la Vergine con S. Giuseppe, della scuola di Lorenzo di Bicci — un frammento d’un quadro della Presentazione, di Jacopo del Casentino — l’Adorazione de’ pastori, terra cotta attribuita a Michelangelo Buonarroti — una Madonna col bambino Gesù, della maniera di Donatello — gli Angeli, un Cristo con S. Giovanni nel Deserto e un S. Giovanni della croce di Andrea Della Robbia; all’altare sono due mensole di marmo che si dice provengano dall’antico altare di S. Giovanni di Firenze.

In una cappellina annessa alla chiesa si vedono: una Vergine cogli Angeli che adorano Gesù, superbo bassorilievo di Luca Della Robbia — un’Incoronazione pittura di grande interesse storico, attribuita a Giovanni o Niccola Pisano — S. Girolamo, S. Giovanni Battista, S. Maria [p. 119 modifica]Egiziaca, S. Maria Maddalena, dipinto della scuola di Andrea del Castagno.

Belcanto o il Palagio di Fiesole. - Villa Mac Calman. — Regina delle ville fiesolane, essa è uno di quei tanti edifizj che ricordano la magnificenza ed il gusto artistico della famiglia Medicea che tenne questo luogo come una delle sue villeggiature preferite.

In origine fu casa da signore appartenente ad una famiglia Baldi ascritta al gonfalone Vajo. Cosimo il Vecchio de’ Medici comprò le casa ed i terreni vicini da Niccolò del Maestro Giovanni Baldi nel 1458 ed a Michelozzo Michelozzi, il suo architetto favorito, fece erigere la splendida villa, circondandola di deliziosi giardini. Il Palagio di Fiesole, divise con Careggi il vanto d’esser sede di quelle riunioni di letterati, di filosofi e di artisti che contribuirono in modo così efficace ad accrescere la popolarità e la potenza di Cosimo il Vecchio e de’ figli suoi.

Qui, sotto gli auspici di Lorenzo il Magnifico, si tennero le adunanze platoniche, e qui si fecero quei memorabili banchetti in onore del filosofo greco, banchetti dei quali è giunta fino a noi la fama dello splendore. Ed era qui che insieme a molti altri ingegni preclari di quei tempi convenivano Poliziano, Pico della Mirandola, il Verino, Cristoforo Landini, il Del Riccio (detto Pier Crinito) il Nuti, il Cavalcanti e tanti altri. In uno di quei lieti banchetti, dato in onore del giovane cardinale Riario, avrebbero dovuto soccombere Lorenzo e Giuliano De Medici, perchè così era stato fissato in quella fatale congiura che si chiamò de’ Pazzi; ma l’assenza imprevista di Giuliano, fece mutar pensiero ai congiurati che attesero invece un’occasione più propizia.

La villa restò in possesso di casa Medici anche quando la famiglia ascese al Principato; ma Cosimo III, appena giunto al potere la vendè il 27 febbraio 1671 per 4000 scudi a Vincenzo del Senatore Cosimo Del Sera. Ai Del Sera appartiene appunto lo stemma che vedesi tuttora sull’angolo dell’ampia terrazza che a guisa di bastione circonda il giardino dal lato della vecchia strada fiesolana. Nel 1721 passò per eredità nei Durazzini che nel 1725 [p. 120 modifica]la vendevano ai Borgherini. Estinta questa famiglia, la villa fu acquistata nel 1771 dal tenente colonnello Albergotto Albergotti che la rivendeva Fanno seguente a Margherita Rolle vedova di Boberto Walpole conte di Oxford.

Dalla prima metà del XIX secolo fino a pochi anni addietro la villa fu del Cav. Guglielmo Spence, gentiluomo inglese, artista geniale, che per lunga consuetudine divenne fiorentino, lasciando i più cari e graditi ricordi del suo spirito, della sua liberalità, della sua intraprendenza, del suo ingegno multiforme.

La villa conserva in molte parti la bella architettura di Michelozzo.

Sull’opposto lato della via, alla pendice del poggio di S. Francesco, sorge la villa, già convento di

S. Girolamo. — Carlo dei Conti Guidi di Montegranello fondò nel 1360 in questo luogo un piccolo convento, dove istituì la congregazione degli Eremiti di S. Girolamo, che venuta ben presto in gran favore, immensamente si accrebbe, cosicché Cosimo de’ Medici, per amicizia che aveva col fondatore di cotest’ordine, fece ampliare e ricostruire a sue spese il convento e la chiesa coll’architettura del Michelozzi. Altre famiglie seguirono l’esempio dei Medici e così la chiesa di S. Girolamo fu abbellita straordinariamente di altari, di marmi, e di opere d’arte. I Salviati, i Bucellai, i Guadagni, i Medici, ebbero il patronato degli altari che adornano la chiesa. Fra le opere d’arte si notavano dei dipinti del Ghirlandajo dell’Angelico, di Neri di Bicci, dei bassorilievi in porfido di Francesco Ferrucci, opere che per la difficoltà dell’esecuzione parvero meravigliose, pitture di Giovanni da S. Giovanni nel refettorio, e diverse altre cose pregevolissime.

Soppressi i Girolamini nel 1668 da Clemente IX, il vasto convento fu acquistato dai Conti Bardi di Vernio che lo ridussero a villa, conservando la chiesa ad uso di cappella. Dopo fu dei Ricasoli ed il P. Luigi Ricasoli della compagnia di Gesù lo lasciava alla compagnia stessa che per qualche tempo lo tenne come casa generalizia.

Le opere d’arte che erano nella chiesa andarono vendute prima che ne prendessero possesso i Gesuiti ed il [p. 121 modifica]solo monumento del Ferrucci potè da alcuni Ferrucci esistenti a Firenze essere ricuperato e trasportato poi nella cattedrale fiesolana.

Il portico esterno della chiesa fu eretto nel 1634 col disegno di Matteo Nigetti. Dalla chiesa muoveva una grandiosa scala di 81 gradino che shoccava nella strada pubblica, ma venne barbaramente distrutta nel 1797.

Nel breve tratto di via che conduce a Fiesole si trova a destra il

Tabernacolo del Proposto, così chiamato perchè edificato lungo un podere spettante alla propositura di Fiesole. In esso è dipinto un’importante affresco attribuito alla maniera del Perugino o a Filippino Lippi. Rappresenta la Madonna in trono col bambino Gesù, S. Pietro Apostolo, S. Lorenzo e S. Giovannino. Nell’imbotte sono i Santi Sebastiano e Rocco, molto danneggiati e la mezza figura dell’Eterno Padre nel sott’arco.

La Cappella già il Piano. - Villa Giannelli. — La villa col podere, sul muro del quale è il Tabernacolo detto del Proposto, costituiva fino da tempo antico il patrimonio della cappella di S. Giovanni nel Duomo di Fiesole assegnata come benefizio ai Proposti. Forse servì anche di dimora ai Proposti per qualche tempo; dopo fu data a livello e nella seconda metà del XVIII secolo la troviamo in conto di una famiglia Fortini. Modernamente era Buonamici.

Siccome siamo giunti presso la piazza di Fiesole, retrocederemo ancora fino alla villa di Montaltuzzo, dove si dirama la

Via delle Coste. — Questa strada forma quasi un semicerchio irregolare attorno al poggio di S. Francesco o della Rocca Fiesolana e si dirama in minori stradelle fin che trova la Via Giovanni Duprè che sale alla Piazza di Fiesole dal lato di tramontana. Illustreremo brevemente le numerose ville che si trovano lungo questa via.

Belvedere, o il Poderino, o le Coste. - Villa Gentilini. Nell’aprile del 1436 Lodovico di Alamanno Ghetti comprava da Batista Sanguigni una casetta da lavoratore con alcuni terreni annessi che nel 1470 si trova in possesso di [p. 122 modifica]Bartolommeo da S. Leolino e colla denominazione di Romitorio. La costruzione della casa da signore dev’essere avvenuta circa questo tempo. Essa va in possesso di Bartolommea Del Bambo moglie di Bernardo Del Benino nel 1471, poi in certi Papi o di Papo e nel 1536 l’ha Jacopo Cennini fattore del Duca Cosimo che la vende ai figli di Lorenzo Salvestrelli. Circa un secolo dopo, un altro Lorenzo Salvestrelli lascia il possesso ai Frati di S. Girolamo di Fiesole i quali nel 1632 la danno a livello agli Ambrogi e più tardi, nel 1720, ai Lapi che la tennero fino al secolo passato. Poi fu Ricceri e Baccani.

Le Pergole o gli Angioli. - Villa Jeaffreson. — La costruzione di questa villa di bell’aspetto ed in vaghissima posizione, non è anteriore alla prima metà del XVI secolo e dev’essere avvenuta per opera di un Francesco di Piero che possedeva alcune terre in quel luogo. Da lui pervenne in Antonio di Francesco Grazzini sarto, che nel 1559 la vendeva ai Frati Camaldolesi di S. Maria degli Angioli, insieme ad altri beni da lui acquistati. Nel 1572 i frati allivellarono la villa a Filippo Bigordi, ai figli ed ai nipoti, discendenti da quella famiglia alla quale appartenevano i celebri artisti noti col nome del Ghirlandaio.

Ma il Bigordi nel 1596 cedette i suoi diritti livellari al Canonico Scipione Ammirato che altri beni possedeva contigui a questi. Morto nel 1600 l'Ammirato, la villa delle Pergole tornò ai Bigordi e nel 1636, finita la famiglia, venne per un errore che parrebbe strano, impostata al Catasto fra i beni dei frati della SS. Annunziata. Nonostante, questi la tennero come cosa loro e fu soltanto nel 1658 che, scoperto l’errore, vennero citati e condannati in contumacia a restituire i beni a’ frati degli Angioli legittimi possessori. Questi tennero la villa per loro uso; poi, nel 1701, la dettero a livello ai Paolini e quindi ad altre famiglie, fino a che, colla soppressione non divenne di proprietà del Demanio.

Capraja o Le Coste. - Villa Macciò. — La villa è relativamente moderna, perchè venne edificata attorno al 1780. Fu dei Tafani, poi appartenne a Giuseppe Bezzoli uno dei più celebrati pittori fiorentini, vissuto nella prima metà [p. 123 modifica]del decorso secolo. Per eredità passò nel Prof. Demostene Macciò pittore ed archeologo distintissimo. Il Prof. Bezzoli dopo il 1835, fece ampliare e adornare la villa coi disegni del Silvestri e del Batelli.

Bagno alla Cicala. - Casa Bernard. — È una casetta semidiruta il nomignolo della quale fa supporre l'esistenza in questo luogo d’un antico bagno. La casa nel XV secolo apparteneva già alle Monache di Montedomini che l'allivellarono a diverse famiglie fra le quali i Balbi nel XVII secolo. Più tardi v’ebbe certi diritti il Vescovado di Fiesole.

Le Fornacelle, già Fedra e Bruscoli. - Villa Bernard. — Il primo nome di questa villa fu Bruscoli, sotto il quale la vediamo indicata anche nel XV secolo; nel XVIII secolo la troviamo denominata Fedra, mentre l’altro nome di Fornacelle è affatto moderno. Era nel 1427 casa da signore dei Del Riccio e poco dopo passò nei Della Casa. Un ricordo storico importantissimo evoca questa graziosa villa che sorge sulla pendice verso Val di Mugnone, al disopra del pittoresco ponte del Calderajo. Essa fu difatti possesso e gradita dimora di Agnolo Cini detto il Poliziano, poeta ed umanista celebrato ed amicissimo di Lorenzo il Magnifico. Risulta infatti come sotto il 21 ottobre del 1483 i Della Casa, venderono per mezzo del giudice del Podestà la casa da signore ed il podere di Bruscoli a Ser Bartolommeo di Lorenzo notaro, il quale nominò compratore Messer Agnolo da Montepulciano. Il Poliziano acquistò forse la villa colle rendite della chiesa di S. Paolo di Firenze della quale aveva avuto con molti altri benefizj il priorato, perchè morendo nel 1494, lasciò il possesso a quella chiesa. Nel 1495 la villa fu data a fitto ad Alfonso di Giannozzo Pitti e poco dopo agli eredi di Agostino Giuntini. Permutata nel 1719 con una casa del Capitolo Fiorentino, la villa di Bruscoli fu presa a livello dai Ricciardi Pollini che ne divennero poi liberi possessori. Nel 1791 passò alla famiglia Baldi e poco dopo, nel 1796, nei Rilli-Orsini che l’ebbero fin dopo la metà del secolo scorso. Fu dipoi dei Libri, Marchesini e Bernard.

Sarebbe da augurarsi che un ricordo del Poliziano [p. 124 modifica]fosse collocato in questa villa della quale nelle sue lettere egli celebra la vaghezza e la quiete deliziosa.

Oratorio del Crocifisso di Fonte Lucente. — Sulla ripida pendice detta delle Coste, che dalla parte occidentale del monte di Fiesole scende verso la gola del Mugnone, è quest’oratorio edificato nel XVI secolo per racchiudervi un vecchio tabernacolo dov’era un Crocifisso scolpito in pietra. Diverse famiglie di Fiesole, o che avevano ville qui attorno, contribuirono insieme al popolo alla costruzione di quest’oratorio che venne adornato di buoni affreschi di Vincenzo Meucci e di Antonio Pittori.

Si conserva pure in quest’oratorio una tavola colla data 1398, quivi trasportata dalla chiesetta del distrutto Spedale di S. Giovanni Decollato in Pian di Mugnone, del quale parleremo a suo tempo. Rappresenta questo dipinto la Vergine in gloria che porge la cintola a S. Tommaso; ai lati sono S. Girolamo e S. Giovanni Battista.

Le Pergole. - Villa Ciardi-Duprè. — I frati Camaldolesi del monastero di S. Benedetto al Mugnone, uno degli edifizi distrutti nei giorni che precedettero l’ultimo assedio di Firenze, possedevano fino da’ primi del XV secolo un podere nelle Coste che più tardi s'intitolò le Pergole. Della villa non si trova ricordo che alla fine del XVI secolo, sicché è da argomentarsi che i frati edificassero qui un luogo di villeggiatura, dopo la distruzione del loro convento. Nel 1666 Domenico di Bartolommeo Naccherelli prese a livello la villa ed il podere dai frati, i quali per quanto riuniti a quelli degli Angioli, conservarono sempre la loro indipendenza amministrativa. I Naccherelli possedettero fino agli ultimi del XVIII secolo la villa che dipoi fu Mori-Ubaldini, Cambiagi, Orsi, Quadri. Modernamente appartenne all’insigne scultore Giovanni Duprè il quale predilesse tanto questo quieto soggiorno, che volle scegliersi anche V ultima sua dimora nel vicino cimitero fiesolano.

Gli Allori, o lo Rose, o le Coste. - Villa Bertelli. — Antichissimo possesso dei Giuntini, questa villa si disse anche le Rose forse perchè i di lei proprietarj avevano per arme le rose. I Giuntini la venderono nel 1622 a Maria [p. 125 modifica]de’ Rossi di Parma, moglie di Andrea di Mariotto Minghi scultore e l'anno dopo, essa la lasciò al fratello Stefano de’ Rossi. Caterina di Pietro Rossi, nel 1652, la portò in dote a Jacopo Ghettini che nel 1662 la vendè a Domenico di Giovanni Gattolini fiesolano. Fu de’ Gattolini fino all’anno 1770 nel quale la compravano i Mori-Ubaldini possedendola fino ai primi del decorso secolo.

Il Pozzo di S. Rosalia o le Coste. - Villa Pagni-Tempestini. — Un pozzo esistente fino da tempo remotissimo sulla pendice del poggio della rocca fiesolana, dette il nome di Pozzo a questa località e a due antiche ville che agli ultimi del xiv secolo appartenevano alle potenti famiglie Strozzi e Razzanti e che più tardi vennero ridotte a modeste case da pigionali. Questo pozzo fu in seguito intitolato a S. Rosalia, nome che divenne proprio di una casa edificata a’ primi del XVI secolo dalla famiglia Giuntini del gonfalone Ruote, che altri beni possedeva qui attorno.

Nel 1559, per sentenza dei Conservatori di Legge la villa fu assegnata ad Alessandra di Michele Chellini moglie di Dato Migliorati, la quale la vendè nel 1576 ai Marucelli. La ricomprò nell’anno stesso Pietro Migliorati e dai successori di lui acquistavala nel 1630 Giovan Francesco Ulivieri che l’ampliò notevolmente. Per eredità passò nel 1762 nei Martellucci, quindi nel 1772 nei Nardi di Pratovecchio che la vendevano nel 1776 a Giovan Leonardo ed altri fratelli Lessi. Dipoi fu Tempestini.

Spicchierello o le Coste. - Villa Vetri. — Si diceva in antico anche la Torricella ed apparteneva ai Busini. Stella vedova di Francesco Busini e moglie in seconde nozze di Lionardo intagliatore, donò tuttora vivente, casa e podere allo Spedale di S. Maria Nuova nel 1416. Nel 1453 gli ufficiali delle vendite del Comune l’alienavano a Biagio di Papi e nel 1535 da Cammilla vedova di Papi di Jacopo la casa da signore passò a Domenico di Piero Gherucci che l’alienò a Gherardo di Giovanni tavolaccino. Per dote della moglie l’ebbe nel 1542 Agnolo di Giulio della Mirandola speziale al Pagone che la rivendè ad Achille Venturini: e da Venturini la comprava nel 1578 Fiammetta di Orlando Orlandi. Numerosi passaggi di possesso si seguono [p. 126 modifica]di poi: nel 1607 l’ha Simone Conti, nel 1619 Michelangelo Cenni, nel 1625 la comprano i Carotti, poi va ai Taglini, ai Massetani, ai Patriarchi che la possedevano anche alla fine del XVIII secolo e più modernamente ai Sandrini.

Spicchiarello. - Villa Sandrini. — Il podere sul quale sorge la villa apparteneva nella prima metà del XV secolo ad un Antonio torniaio che lo vendè nel 1451 a Maria Bartola vedova di Giovanni di Sandro legnajolo. Da questa famiglia di legnajoli passò nel 1557 in M.° Carlo Cortesi medico cerusico, poi nel figlio di lui Ippolito e successivamente, verso il 1562, nei Monaci di S. Maria degli Angioli. Da questo momento il podere segue le vicende degli altri beni di quel monastero, fino a che nel 1666 è concesso a livello alla famiglia Taglini, la quale eresse forse la villetta, poi nel 1746 ai Bracci e quindi ai Ricciardi. Entrò nel secolo stesso in proprietà dei Sandrini che tuttora ne sono possessori.

San Martino alle Pergole. - Villa Del Vivo. — Il nome di Pergole, che può supporsi derivato dai pergolati delle vigne che fin dalla metà del XVI secolo possedevano in questa parte del monte desolano i Frati Camaldolesi, restò comune a tre ville che vennero costruite in questa località. Il nome di S. Martino, che non si trova negli antichi ricordi, venne forse dal titolo di qualche cappella quivi esistente. Il possesso oggi Del Vivo segui dapprima le sorti della non lontana villa delle Pergole o degli Angioli. Fu dato a livello ai Bigordi che per pochi anni lo concessero a Scipione Ammirato: fu assegnato per errore ai Frati Serviti, poi tornò ai Camaldolesi che l'allivellarono nel 1666 a Domenico Naccherelli. Più modernamente fu Basili, poi Bardi e da questi passò nei proprietarj attuali.

Casa al Pozzo. - Casa Del Vivo. — Presso la villa Del Vivo, è questo edifizio che conserva i caratteri di un’antica casa da signore. La località si chiamava fino da tempo antichissimo il Pozzo e più modernamente si disse il Pozzo di S. Anna. Della costruzione di questa villa si ha ricordo dal catasto del gonfalone Ruote dal quale risulta che Tommaso di Francesco farinajolo comprò nel 1493 un pezzo di terreno da Dato di Ceri legnajolo e vi [p. 127 modifica]fabbricò una casa. Essa passò dipoi a Raffaello di Luca sevajolo per tornare nel 1511 nella famiglia Di Dato e Dati del gonfalone Chiavi. Nel 1570 è d’una famiglia Starami ed il luogo si chiama anche le Ceppe. Andrea di Antonio Sapiti compra nel 1570 la villa da Giovanni Starnini e nel 1584 passa a Girolamo di Lazzaro di Fabiano che la rivende l’anno stesso a Lucantonio di Matteo Giannini e, sempre nel 1584, da Astolfo e Matteo Giannini l’acquista Scipione Ammirato canonico fiorentino e storico celebrato. Egli la possedette fino alla morte e con suo testamento del dì 11 gennajo 1600 la lasciava in eredità all’Opera dei Cappellani di S. Maria del Fiore, con certi obblighi1. I Cappellani la dettero a livello successivamente a varie famiglie e primo livellare fu Leonardo Montaguti che l’ebbe nel 1610.

Nell’interno della casa è un camino dov’è inciso il nome di Scipione Ammirato. Lo stemma di lui si vede anche sopra ad una cappellina prossima alla casa e che venne probabilmente costruita da lui stesso.

Il Pozzo. - Casa Barbi. — Un’altra delle case di proprietà Barbi che sorge in questa località, in antico denominata il Pozzo, ha aspetto di vecchia villa. Nell’interno di essa è un bel camino di pietra coll’arme e l’iscrizione Portigiano Portigiani e una data che parrebbe 1415, ma che dev’essere invece 1515 perchè a questo tempo richiama il carattere della scultura. La villa era degli Strozzi ai primi del XV secolo, poi fu dei Portigiani, quindi degli Altoviti.

FIESOLE

L’origine sua si perde nel mistero de’ tempi remoti, la sua potenza si affermò quando fu capo di una delle etrusche lacumonie, la sua opulenza ed il suo splendore raggiunsero


[p. 128 modifica]il più alto grado sotto la dominazione romana, la sua gloria più serena le venne dagli artefici sommi che in essa ebbero culla e la bellezza sua, superiore alle vicende della storia, rimasta fiorente ed incorrotta per il lungo corso de’ secoli, la rallegra e l’allieta tuttora, dandole fama d’uno de’ più deliziosi ed attraenti soggiorni dell’Italia nostra.

Superbamente assisa sul suo poggio ondulato, chiusa dal cerchio delle sue mura gagliarde, difesa dalla sua rocca formidabile, dominò il centro della Toscana, oppose un argine potente alle invasioni de’ barbari ed affermò l’autorità sua sopra ad un territorio ampissimo. Lucumonia etrusca, lungamente sostenne la sua indipendenza contro la invadente dominazione romana; caduta come tutte le altre libere città dinanzi alle coorti della repubblica predestinata signora del mondo, divenne colonia ricca e fiorente e si abbellì di meravigliosi edifizi; fiaccata dalle continue invasioni de’ barbari, impoverita in mezzo all’opulenza ed al fasto importati da Roma, rapidamente soverchiata dallo sviluppo di Firenze che molti secoli prima essa avea avuta come emporio del suo commercio, Fiesole subi la sorte comune a tutte le città, a tutti i luoghi edificati sui monti che nei tempi lontani erano unica difesa alla loro libertà, unico baluardo della loro potenza.

La distruzione di Fiesole che gli storici d’altri secoli affermavano compiuta nel 1010, non è che una favola che la critica moderna, indagatrice profonda e serena dei fatti, ha completamente sfatata.

La decadenza di Fiesole come di tutte le altre antiche città edificate sui monti, fu conseguenza logica e naturale del cambiamento delle abitudini, degli usi, della sostituzione di nuove esigenze, di nuovi bisogni, a quelli più modesti di tempi più semplici e più rudi. I popoli costretti a curare, prima d’ogni altra cosa la sicurezza e la sanità stavano sui monti, quando correvano di continuo il rischio di essere assaliti e debellati e quando le pianure erano paludose e infestate dalle febbri. Cessati questi pericoli, essi cercavano invece luoghi di più facile accesso e più [p. 129 modifica]propizj a quei commerci che erano l’unica fonte di prosperità e di benessere.

Ecco perchè Firenze, fondata da Fiesole, assorbì facilmente e rapidamente la potenza e la ricchezza della madre e da lei trasse pacificamente, larga fonte di vita e di prosperità.

La rovina del Campidoglio, dei templi, dei palagi, dei teatri, delle terme, delle mura di Fiesole, non fu opera delle violenza feroce ed insensata d’un popolo fratello, ma fu conseguenza naturale e spontanea dell’abbandono in cui vennero lasciate quelle fabbriche sontuose divenute inutili ai mutati costumi, invise alla religione nuova che si era imposta, inadatte alle abitudini di una vita differente.

I fiesolani discesero a Firenze per esercitarvi il commercio, per trarne i modi della loro esistenza, per aver parte nella pubblica cosa; e mentre Firenze si accresceva di fabbriche e imponeva l'autorità sua a’ signorotti orgogliosi e violenti, a’ popoli vicini irrequieti ed audaci, Fiesole restò spopolata e ridotta ad un villaggio modesto, al quale non restarono che i ricordi e le vestigie d’un passato splendido e glorioso.

Le restò la bellezza della sua giacitura felice, la vaghezza de’ suoi colli fioriti e questi il nuovo popolo di Firenze cosparse di palagi e di ville che per un lungo corso di secoli furono lieto e gradito soggiorno nelle miti stagioni e quieto riposo alle fatiche del commercio ed alle fortunose vicende della politica.

Nel medioevo, Fiesole non era più che un villaggio modesto, al quale la nuova cattedrale, eretta in mezzo ai ruderi delle fabbriche romane, valse a mantenere il nome di città, rappresentata dalle modeste case nelle quali si ridussero le famiglie di artefici che traevano il loro alimento dal faticoso esercizio delle cave esuberanti di fortissimi pietrami. Fiesole rivisse di vita nuova, allorché quest’arte, abbandonando la sua forma rude e primitiva, s’ingentilì sotto l’ispirazione de’ grandi maestri e quando divenne elemento essenziale per la costruzione dei grandi monumenti onde Firenze si fece ricca e bella. A Fiesole, [p. 130 modifica]come a Settignano, come a Majano, come in altre località di questi colli dove abbondavano i pietrami facili ed atti al lavoro dello scalpello, si costituirono delle vere e proprie scuole di artefici che associando alla spontaneità dell’ingegno, all’ingenuità della fattura, il sentimento ed il gusto dell’arte rinascente, seppero produrre le opere più geniali ed accurate.

Intere famiglie fiesolane si dedicarono a quell’arte che di padre in figlio si tramandava e che progressivamente s’ingentiliva e si perfezionava. I Ferrucci prima degli altri, i Bozzolini, i Portigiani, i Sermei, i Caldani, i Laschi i Pellucci rappresentarono degnamente la fiorente arte Fiesolana e seppero segnare in modo glorioso il nome loro nelle pagine di storia dell’arte toscana. Noverarli tutti sarebbe opera lunga e difficile: ma bastano da soli i nomi di Andrea, di Francesco, di Simone, di Marco, di Sebastiano, di Nicodemo Ferrucci, dei Bozzolini, dei Portigiani per proclamare l’importanza dell’arte fiesolana. Nè fra i fiesolani che tennero alto il nome della patria loro potremo dimenticare fra gli altri il Della Bella incisore, il Pettirossi architetto, il Mangani filosofo, il Bandini erudito profondo. Fiesole che per una lunga serie di secoli tenne a semplice titolo onorario il nome di città è giunta oggi a giustificarlo pienamente col progressivo sviluppo che ai nostri tempi si è largamente affermato. I suoi monumenti insigni non sorgono isolati in mezzo alle rovine, alla campagna deserta ed a poche e modeste case. Fiesole distende oggi superbamente il suo ampio caseggiato sulla sommità del colle dilettoso, ha piazze ampie e vie regolari; dovunque fan bella mostra palazzi, case e villini; ha comodi ed eleganti alberghi, decorosi negozi e non manca di tuttociò che la moderna esigenza richiede in un frequentato soggiorno di villeggiatura, in un luogo che è mèta costante delle escursioni di quanti sentono le attrattive dell’arte e delle naturali bellezze doviziosamente profuse in ogni parte della storica città.

Fiesole è posta sopra ad un poggio quasi isolato fra l’ampia valle dell’Arno e la fresca valle del Mugnone, ad [p. 131 modifica]un altezza che varia dai 296 ai 345 metri sul livello del mare, gode di una temperatura mitissima, d’un’aria pura e salubre, è provvista abbondantemente di acque, è sede di tutti quegli uffici che sono richiesti da un centro importante di popolazione e di movimento, ha un albergo di prim’ordine, possiede diverse fabbriche di eleganti lavori di paglia ed è posta in facile e rapidissima comunicazione con Firenze per mezzo di un servizio continuo di tranvai elettrico.

A Fiesole hanno sede: un Ufficio comunale succursale, il Vescovado, la posta, il telegrafo, il telefono, la stazione dei RR. Carabinieri. Vi si trovano inoltre un Museo Civico, le Scuole comunali, il Seminario vescovile, un Circolo di ritrovo, un teatro, un corpo musicale, servizi di vetture, alberghi, trattorie, caffè, ecc.

Piazza della Cattedrale, ora Piazza Mino. — È ampia, di forma rettangolare e ad essa si collega un altro spazio posto dinanzi alla facciata del Duomo. Da un lato s’inalzano annosi alberi, di sotto ai quali si gode lo splendido panorama di Firenze, dei suoi piani e delle sue colline. Da un altro lato è una doppia rampata dinanzi alla quale sorge il monumento a Vittorio Emanuele II ed a Garibaldi opera dello scultore Oreste Calzolari, inaugurato nel giugno del 1906. Su questa piazza, che costituisce il centro della città, è la stazione del tranvai elettrico e corrispondono: la Cattedrale, la Canonica, il Palazzo Vescovile, il Seminario, il Palazzo Pretorio sede del Museo, dell’Ufficio Comunale, della Posta e del Telegrafo, la Caserma dei Carabinieri, la chiesa di S. Maria Primerana, l’ingresso agli Scavi, ecc.

Cattedrale. — Secondo l’antico costume, la cattedrale fiesolana fu in origine fuori della città, nella sottostante pendice del poggio, dove sorse più tardi la Badia di S. Bartolommeo. Il vescovo Jacopo Bavaro, per comodo della popolazione che tuttora era restata aggruppata in mezzo ai resti d’una magnificenza scomparsa e colla speranza forse di dar nuovamente vita alla morta città, eresse nel 1028 la nuova cattedrale, utilizzando i materiali esuberanti degli edilizi sorti nel più florido periodo della dominazione [p. 132 modifica]romana. Alla nuova chiesa fu data la struttura propria delle basiliche latine, delle quali abbiamo un altro esempio consimile nella chiesa di S. Miniato al Monte.

L’esterno del tempio è tutto a rivestimento di conci ed anguste finestrelle fatte a guisa di feritoje illuminano l’interno, diviso in tre navate da sedici colonne ineguali di forme e di natura, con capitelli di marmo di varia struttura, avanzi tutti di costruzioni romane. In fondo alle navi s’inalza la tribuna, alla quale danno accesso due scale laterali e che sovrasta all’ampia cripta costituita da piccole volte sostenute da esili colonnette. Varie cappelle aggiunte posteriormente ai lati della tribuna danno al tempio grandioso la forma di croce latina, che termina nel lato longitudinale con un’abside semicircolare. La facciata pure di conci con porte di semplice, ma elegante decorazione, fu costruita a tempo del vescovo S. Andrea Corsini che resse la cattedra fiesolana dal 1349 al 1373.

Molte modificazioni vennero fatte a tempo del vescovo Corsini alla primitiva e semplice struttura della chiesa ed altre ve ne furono aggiunte in tempi successivi, fino a denaturarne il carattere. Però un restauro generale che restò compiuto verso il 1883, soppresse radicalmente molte di tali aggiunte e restituì in gran parte alla cattedrale la severa austerità de’ secoli lontani.

Sarebbe per noi opera lunga e superflua il riandare sulle molte vicende storiche ed artistiche della chiesa, tanto più che di essa altri in più e diversi tempi hanno scritto in modo ampio e diffuso. Così, restringendosi entro i limiti imposti dall’indole della nostra pubblicazione, daremo notizie delle opere d’arte più importanti ond’essa è adorna. Scarso è il numero dei dipinti che adornano oggi la chiesa, perchè soppressi molti degli altari lungo le navate, le tavole e le tele vennero trasferite in una cappella annessa alla Sagrestia e di esse parleremo più innanzi. L’ancona in varj spartimenti che adorna il rinnovato altar maggiore, era stata donata alla chiesa dal vescovo Benozzo Federighi nel 1440; ma col volger del tempo fu tolta, dispersa e solo in occasione del restauro del tempio fu ricostituita e completata con altre tavole. Le varie parti che [p. 133 modifica]oggi la compongono ricordano la maniera dell’Angelico e di Lorenzo Monaco. Nella volta della cappella del vescovo Salutati sono dipinti gli Evangelisti, opere che si avvicinano al fare del Baldovinetti, del Gozzoli e di Cosimo Rosselli; nella cripta sono nove lunette molto deperite ed in parte scomparse, che rappresentano storie della vita di Romolo vescovo di Fiesole e furono dipinte nel 1425 la Benedetto di Nanni da Gubbio; a questo artista si attribuisce pure la figura di un S. Benedetto dipinto sopra ad una delle colonne di fianco all’accesso nella cripta, mentre il S. Sebastiano che è dall’opposto lato si ritiene opera di Pietro Perugino. Gli affreschi che adornano la collotta dell’abside, sono di Nicodemo Ferrucci da Fiesole.

Di altri affreschi che decoravano le pareti della chiesa si trovarono in occasione dei restauri alcuni resti; ma essendo mal ridotti, vennero, forse con deplorevole precipitazione, distrutti.

Più ricco assai è il patrimonio delle sculture che rendono singolarmente importante la cattedrale fiesolana e prima d’ogni altra cosa ricorderemo le gentili e delicate opere di Maestro Mino di Giovanni che si ammirano nella cappella fondata dal vescovo Lionardo Salutati e da lui destinata alla propria sepoltura. Tanto barca sepolcrale col mirabile busto del vescovo, quanto il vago dossale l’altare, sono fra le opere più apprezzate dell’operoso e geniale maestro. E forse in omaggio a queste opere sue così perfette e fors’anche per il fatto che a Firenze egli ebbe la sua bottega nel palazzo del Vescovo di Fiesole, a lui, che era nato a Poppi in Casentino, restò come resta tuttora il nome di Mino da Fiesole. Il vescovo Salutati che morì nel 1466, aveva commesso a Maestro Mino i lavori per la sua cappella,fino dal 1462. Opera di scultura squisitamente bella e delicata è anche l’altare che Andrea Ferrucci da Fiesole scolpì per commissione degli esecutori testamentarj di Matteo di Simone Gondi. Cotesto altare, ricco di adornamenti, col ciborio nel mezzo ed ai lati le statue di S. Romolo e S. Matteo era stato addossato al prospetto della tribuna; ma nei restauri moderni, per riaprire l'arco centrale della cripta, venne rimosso e collocato da un lato [p. 134 modifica]della tribuna. Andrea lo finì nel 1493 e n’ebbe in pagamento 1800 scudi. Fine ed elegante lavoro di scultura è il piccolo ciborio attribuito a Simone Ferrucci; le due arche sovrapposte dove furono sepolti i vescovi Guglielmo e Roberto Folchi, sono discreti lavori di artista fiesolano dei primi del XVI secolo; il fonte battesimale di un sol pezzo di macigno di Monte Magherini fu scolpito da Francesco Ferrucci detto il Tadda, del quale è nella chiesa il monumento sepolcrale che egli stesso si scolpì di porfido e che venne qui trasferito dalla chiesa di S. Girolamo. Pregevole opera di Giovanni Della Robbia è il tabernacolo colla statua di S. Romolo, che un giorno adornava la cappella della villa de’ Vescovi fiesolani presso Pomino; e di Giovanni Della Robbia sono pure tre delle cinque statuette di Santi che stanno nella cripta attorno al sepolcro di S. Romolo.

Completeremo questa semplice enumerazione delle opere d’arte che adornano il Duomo, ricordando la cattedra di S. Andrea Corsini, pregevole lavoro d’intarsio, unico avanzo dei legnami dell’antico coro che fu commesso nel 1371 a Pietro di Lando da Siena e l’artistico cancello di ferro battuto dalla cripta, lavorato nel 1349 da Petruccio e Francesco Betti di Siena.

Numerose opere d’arte che un giorno decoravano gli altari della chiesa si trovano oggi convenientemente disposte nella sagrestia e nell’annessa cappella e sommariamente indicheremo le più pregevoli. Tavoletta colla Vergine e il bambino del XIII secolo e di maniera bizantina, due tavole rappresentanti S. Romolo fra i compagni martiri ed il martirio di S. Romolo, eseguite nel 1488-89 e attribuite a Domenico del Ghirlandajo, S. Romolo che battezza i fiesolani di Alessandro Allori, S. Pietro Apostolo di Domenico da Passignano, Crocifisso scolpito in legno del XV secolo. Si conserva in sagrestia anche il busto di lamina d’argento, rappresentante S. Romolo, fatto eseguire nel 1584 dal vescovo Francesco Cattani Da Diacceto.

Il Campanile è una svelta ed altissima torre merlata costruita tutta di pietra con varj ordini di finestre polifore. Fu eretto nel 1213. È alto metri 42,30 ed ha nel prospetto il pubblico orologio. [p. 135 modifica]Di fianco alla Cattedrale è

La Canonica. — Edificata nel 1032, venne ricostruita nel 1439 e adornata di un elegante cortile con portici e di belle decorazioni di pietra. In alcune sale si conservano oggetti e frammenti etruschi e romani di notevole interesse. Nel centro del chiostro venne recentemente trasferita una colonna che già sorgeva sulla piazza, dinanzi alla chiesa di S. Maria Primerana. Cotesta colonna era stata inalzata nel 1799 per solennizzare il ritorno in Toscana del Granduca Ferdinando III, nel luogo dove pochi mesi prima i repubblicani francesi avevano piantato l’albero della libertà.

Palazzo Vescovile. — Sorge difaccia al Duomo ed ha dinanzi un’ampia gradinata alla quale vennero aggiunti gli originali ed eleganti balaustri del XVII secolo che adornavano la tribuna del Duomo e le scale che ad essa accedono. La costruzione primitiva del palazzo è contemporanea a quella della Cattedrale e devesi al vescovo Jacopo Bavaro che riportò a Fiesole la sede della mensa vescovile. Il vescovo Andrea Corsini lo ampliò, e nuovi lavori di trasformazione c di adornamento vi furono fatti dipoi, in particolar modo dai vescovi Altoviti, Ginori, Cattani Da Diacceto, Corsani ecc. I vescovi di Fiesole raramente risiedevano in questo palazzo, preferendo l’altro che avevano e che posseggono tuttora a Firenze presso la chiesa di S. Maria in Campo, la quale fa parte della diocesi fiesolana. Però gli ultimi tre vescovi hanno opportunamente abbandonato la consuetudine secolare ed hanno qui la loro dimora costante e gli uffici della curia.

I vescovi di Fiesole furono nel medio evo anche signori veri e proprj di Fiesole e di altre castella nel Val d’Arno, in Val di Sieve e fra gli altri loro feudi devono notarsi: Turicchi, Castel Nuovo di Cascia, Montebonello, Castiglion della Rufina, Agna, Monteloro, Lubaco ed altri molti i cui abitanti, come quelli di Fiesole, dovevano prestar giuramento di fedeltà ai vescovi, come signori temporali. Di questi giuramenti solenni si trovano ancora le memorie fra le carte del vescovado.

In alcuni dei loro feudi ebbero anche palazzi e case [p. 136 modifica]dove talvolta si trattenevano, lasciandovi poi d’ordinario i loro visconti o custodi. Presso Pomino, a Petrognano, avevano pure una ricca villa che un tempo era doviziosamente adorna d’importanti opere d’arte che per la maggior parte vennero in seguito trasferite a Fiesole.

La diocesi di Fiesole è vastissima e si distende anche nel Valdarno, nel Casentino e nel Chianti.

Seminario Vescovile. — È un edifizio grandioso; ma modesto nelle decorazioni esterne. Fu eretto di piccole proporzioni nel 1637 dal vescovo Neri Altoviti del quale si vede lo stemma sulla porta esterna; diversi altri vescovi si adoperarono successivamente ad accrescere e migliorare il fabbricato e l’istituto. Vanno ricordati fra gli altri il vescovo Luigi Strozzi nel 1726, Francesco Maria Ginori nel 1737, Ranieri Mancini nel 1782, Giovan Battista Parretti ed in epoca moderna, Luigi Corsani. Il seminario è provvisto di una ricca biblioteca iniziata col dono cospicuo del canonico Angelo Maria Bandini e successivamente accresciuta di continuo. E provvisto pure di ricchi gabinetti di fisica, chimica e storia naturale e di un importante osservatorio meteorologico istituito a tempo del vescovo Corsani col concorso del Club Alpino Italiano.

Nell’oratorio del seminario è sull’altare un bassorilievo di terracotta invetriata rappresentante la Vergine col bambino Gesù fra i Santi Giovanni Battista, Pietro, Romolo e Donato di Scozia; nel gradino sono alcune piccole storie di santi. È opera di Giovanni Della Robbia.

Chiesa di S. Maria Primerana. — È un oratorio di antichissima origine e vuolsi edificato nel X secolo. Si chiamò anche di S. Maria Intemerata. Serviva generalmente alle cerimonie di carattere pubblico, talché vi si recavano annualmente nella seconda domenica di maggio i Podestà ed i Gonfalonieri di Fiesole per prender solennemente possesso del loro ufficio; così pure andavano a far atto di devozione all’immagine della Vergine i Vescovi appena eletti a capo della diocesi. Però dell’antica struttura dell'edifizio non restano che poche tracce nella tribuna, mentre tutto il resto fu trasformato nel XVI e XVII secolo. Fra [p. - modifica]


[p. - modifica]

[p. 137 modifica]le aggiunte che vi furono fatte è da annoverarsi anche il piccolo portico che vi sta dinanzi.

Nel 1018 il vescovo Zanobi donò questa chiesa ai canonici fiesolani coll’obbligo che presso di essa dovessero abitare e cibarsi.

La chiesa di S. Maria è ricca di opere d’arte di notevole pregio. Si sa che nel 1413 Mariotto di Nardo, un artista molto operoso, ma del quale ben poche cose certe si conoscono, lavorò per questa chiesa, dove dipinse sulla porta una Madonna con varj santi che nelle diverse trasformazioni dell’edifizio è andata malauguratamente perduta. Chi sa però che a questo maestro non siano da attribuirsi alcuni resti di affreschi di carattere della seconda metà del XIV secolo, uno dei quali rappresentante la Presentazione di Maria al tempio, che vennero posti in luce nel 1890. Per questa chiesa aveva dipinto una tavola anche Fra Filippo Lippi, ma essa fu venduta ed oggi si trova a Monaco di Baviera.

L’antica tavola di Maria Intemerata, opera di maniera bizantina, si conserva sopra l’altar maggiore, chiusa in un bellissimo tabernacolo marmoreo con statuette ed ornati, opera del XIV secolo. Sull’altare a destra di quello maggiore e una croce dipinta della maniera di Agnolo Gaddi e su quello nel braccio destro della croce vedesi un bassorilievo di terra cotta invetriata rappresentante il Crocifisso, la Vergine, S. Giovanni Evangelista, la Maddalena e due angeli volanti. È opera della maniera di Andrea Della Robbia ed ha nel gradino gli stemmi della famiglia Bozzolini ed una iscrizione la quale fa ritenere che il bassorilievo adornasse in origine un tabernacolo posto lungo la via. Esistono pure in questa chiesa: una testa di S. Rocco scolpita di bassorilievo da Francesco di Giuliano Da Sangallo con una iscrizione che porta il nome dell’artista e la data 1542; un’altra testa virile di bassorilievo colla data 1575; un’antica insegna di legno dipinta, colla Vergine da un lato e gli stemmi di Fiesole e dell’Opera a tergo, opera di maniera Ghirlandajesca; una croce processionale d’argento eseguita nel 1560 dall’orafo fiorentino Girolamo [p. 138 modifica]Spigliati per commissione di Francesco di Giovanni Ferrucci scultore; un banco di sagrestia ed una panca da coro, squisiti lavori d’intaglio e d’intarsio del XV secolo.

La chiesa di S. Maria Primerana è posta oggi sotto l’amministrazione di un’opera laicale presieduta dal Proposto del Duomo.

Palazzetto Pretorio. — È un’umile e modesta costruzione la quale non ha d’importante che la loggetta quattrocentesca con colonne d’ordine jonico del pianterreno ed una raccolta abbastanza copiosa di stemmi dei Podestà che vi risiedettero. Fra gli stemmi sono pure i due del comune e del popolo di Fiesole, uno colla luna crescente e la stella e l’altro colla croce e la luna. La costruzione del palazzetto che fu sede dapprima della Lega di Fiesole è del XIV secolo, ma la serie degli stemmi dei Podestà che risiedevano parte dell’anno a Fiesole e parte a Sesto, non comincia che dall’anno 1520. Soppressa la Potesteria, poi Pretura di Fiesole, l’edifizio servì di residenza prima al comune che poi trasferì la sua sede a Coverciano, quindi alle scuole, a diversi pubblici uffici ed al Museo. Oggi, oltre al Museo, vi ha sede anche l’ufficio comunale succursale.

Museo Fiesolano. — Nel maggio del 1874 venne inaugurato nelle sale terrene dell’antico palazzetto Pretorio un piccolo Museo costituito da frammenti ed oggetti d’antichità, soprattutto romana, trovati in alcuni lavori di sterro e da doni e depositi fatti da privati. Il piccolo nucleo del Museo, che venne dapprima ordinato dal Prof. Pietro Stefanelli, andò crescendo d’importanza, quando, costituita una commissione archeologica fiesolana, essa iniziò molti lavori di scavo e si adoperò con lodevole zelo a riunirvi tutto il materiale raccolto e ad ottenere altri oggetti in dono ed in deposito. Fra questi ve ne furono alcuni di speciale importanza appartenuti al Capitolo della Cattedrale. Il Prof. Demostene Macciò, che più tardi ebbe la direzione del Museo e degli Scavi, riordinò l’interessante, per quanto piccolo Museo che riunisce molti oggetti di notevole interesse per la storia dell’antica città. Ricca assai è la collezione di monete romane e di speciale valore sono le raccolte di vasi e di altri fittili, [p. 139 modifica]di urne cinerarie, di bronzi, di arnesi d’uso domestico e da lavoro, di armi, di cippi e stele e di marmi che servirono alla decorazione di molti de’ più sontuosi edifizj fiesolani. Vi sono inoltre alcuni vetri, delle iscrizioni e molti frammenti di statue e di ornamenti di marmo.

Si visita il Museo pagando un biglietto dell’importo di 50 centesimi col quale si può accedere anche agli Scavi, al teatro Romano, alle Terme ecc. Acquedotto fiesolano. — Di prospetto alla piazza della Cattedrale e di fianco alla Via Ferrucci, è la pubblica fonte, posta sotto ad una loggetta edificata nella prima metà del XIX secolo e dietro la fonte è un ampio serbatojo alimentato da un acquedotto che ha la sua origine sui poggi di Montereggi. Esso segue il percorso dell’antichissimo acquedotto romano che costituito di solido calcistruzzo provvedeva l'antica città di pure e fresche acque sorgive.


Fra il Palazzo Vescovile ed il Seminario si apre la Via di S. Francesco che conduce alla sommità del poggio dov’è la chiesa di questo nome e dove sorgeva in antico l’Acropoli o Rocca Fiesolana.

Subito a destra:

Oratorio di S. Jacopo Maggiore. — È la cappella del Palazzo Vescovile ed ha sulla porta lo stemma del vescovo Folchi. Fu restaurato e ridotto alla forma presente dai vescovi Cattani Da Diacceto e Altoviti. Sull’altare è una tavola rappresentante l’Incoronazione della Vergine, attribuita a Lorenzo di Bicci, ma che è forse del figlio di lui Bicci. Fu restaurata dal Prof. Antonio Marini.

Seguitando la strada, che sale rapidamente verso il poggio, è a mano destra il luogo dove sorgeva già la

Chiesa del S. Sepolcro. — Oggi è una casa colonica sulla facciata della quale è una porta di carattere del XIV secolo con lunetta archiacuta. La chiesetta era piccola ed aveva una cappella delle forme e delle proporzioni del sepolcro di Cristo a Gerusalemme. Soppressa varii secoli addietro, venne profanata e ridotta ad uso di abitazione. Nella stanza che fu già cappella si veggono i resti di un affresco trecentesco raffigurante la Crocifissione. [p. 140 modifica]La strada fa sosta ad un piccolo piano dove, sotto l’ombra di annosi cipressi, è un sedile di pietra fattovi collocare anni addietro da uno straniero, affinchè il viandante possa riposarsi e godere il panorama meraviglioso della pianura fiorentina, della città, dei colli e de’ monti che l’attorniano dal lato di mezzogiorno.

Chiesa di S. Alessandro. — ÈEoggi sede dell’Arciconfraternita della Misericordia di Fiesole. Fu in origine un tempio pagano e la tradizione, non suffragata certo da dati di fatto, lo dice riedificato da Teodorico Re dei Goti. Certo essa può considerarsi come la più antica basilica cristiana della nostra regione. Dapprima si disse S. Pietro in Gerusalemme, ma cambiò nome quando vi furono deposte le spoglie di S. Alessandro Vescovo di Fiesole.

Prima della costruzione della cattedrale, fu questa la chiesa principale di Fiesole e per lungo tempo vi si tenne il fonte battesimale. Capovolta nel 1580, fu restaurata dai fratelli neofiti Medici nel 1639; e nel 1784, essendo in cattivo stato, si deliberò di ridurla a cimitero, per cui barbaramente disfatto l’impiantito di fortissimo calcistruzzo che datava dall’epoca romana, e toltale la tettoia, venne privata di tutti gli oggetti del culto che vennero trasportati nella Cattedrale. Nel 1814 però, a spese della Diocesi e del Granduca, fu nuovamente ricoperta e restaurata dall’architetto Del Rosso. Le colonne che la dividono in tre navate, sono di caristo eubeico comunemente detto cipollino orientale. L’altar maggiore ha un’edicola con colonne di cipollino del 1582 e dei putti scolpiti da Simone Pellucci fiesolano. Anche modernamente sono stati eseguiti alla chiesa alcuni lavori di restauro e di adornamento.

Difaccia a S. Alessandro è

S. Cecilia, piccolo oratorio fondato da una confraternità, nel terreno allora appartenente al convento di S. Francesco. Sulla facciata è una ghirlanda scolpita in pietra da abile artista della fine del XV secolo.

Chiesa e Convento di S. Francesco. — Occupa la sommità del poggio dell’antica Rocca Fiesolana, fra le rovine della quale, alcune monache agostiniane edificarono nel 1225 un piccolo monastero, chiamandosi le romite di [p. 141 modifica]S. Maria del Fiore. Nel 1339 Lapo di Guglielmo da Fiesole costruì a proprie spese un più comodo locale; ma le romite vi restarono soltanto fino al 1352, perchè, impaurite delle scorrerie che le milizie del Duca di Milano facevano nelle campagne attorno alla città, se ne fuggirono a Firenze. Poco dopo, invece di tornare al loro asilo di Fiesole, preferirono di stabilirsi in altro convento che Giovanni di Cagnazzo aveva edificato lungo il Mugnone ed al quale esse vollero dare il nome di Lapo loro primo benefattore. Il luogo, abbandonato dalle monache, le quali pur ne ritenevano il possesso, venne dato a’ frati di S. Francesco che vi tornarono nel 1404. A cotesti frati l’Arte della Lana assegnò nel 1408 per tre anni le rendite di certi poderi posti nelle vicinanze di Fiesole che erano stati lasciati da Guido di Messer Tommaso Del Palagio e con altri sussidj avuti da quella stessa famiglia, essi poterono nel 1430 ampliare il convento e fabbricare una nuova chiesa sulla quale posero gli stemmi della famiglia che tanto li aveva beneficati. La chiesa, che nella sua parte esterna conserva la struttura di quel tempo, è di vaga architettura e la sua facciata soprattutto presenta un aspetto originale e leggiadro. Ha la porta difesa da una specie di padiglione sporgente su mensole con un arco polilobato nel prospetto. Nella lunetta sottostante e nell’archivolto sono i resti di affreschi di valente artista fiorentino della prima metà del XV secolo. Nel centro è S. Francesco fra due devoti genuflessi e nell’imbotte spiccano sopra un fondo di fiori e di foglie la figura della Vergine e quella di S. Francesco in atto di ricevere le stimate. L’interno della chiesa è stato completamente trasformato, coperto da volta, accresciuto nella parte del coro, mentre nuove e disadorne finestre hanno sostituito quelle primitive anguste, ma caratteristiche.

Ora però si stanno compiendo le pratiche necessarie per togliere molte moderne superfetazioni e per ridurre la chiesa ad un carattere più in armonia con quello della parte esterna. Di oggetti d’arte esistono nella chiesa, una tavola di Piero di Cosimo che rappresenta la Concezione della Vergine, un’altra tavola coll’Annunziazione attribuita [p. 142 modifica]a Filippino Lippi, un Gesù Crocifisso fra S. Chiara e S. Maria Maddalena, opera di Pietro Berrettini da Cortona, una tela di Simone Pignoni raffigurante S. Francesco che riceve le stimate. In una stanza che serve d’accesso al convento è un bassorilievo Robbiano rappresentante il Presepio ed in sagrestia si conserva un banco con intagli ed intarsi, opera pregevolissima della prima metà del XVI secolo 2.

Nell’interno del convento è un semplice e caratteristico chiostro del XIII secolo appartenente al primitivo edifizio monastico edificato in questo luogo.

La Rocca o Acropoli fiesolana. — Abbiamo già detto come sul poggio di S. Francesco esistesse l’acropoli della città etrusca e romana che si estendeva fino alla chiesa di S. Alessandro. Negli scavi praticati in differenti epoche si sono trovate le tracce di varie cinte di mura che la rendevano inespugnabile e resti di queste mura si veggono tuttora nelle parti sotterranee del convento di S. Francesco. È da aggiungersi ancora che scavando dalla chiesa di S. Alessandro, dove fu notoriamente un tempio pagano, si scoprirono anche di quelle buche o favisse dove si suolevano gettare le ceneri e gli altri avanzi dei sacrifizj. La rocca di Fiesole servi di fortilizio a guardia della città e della sottoposta valle del Mugnone a tempo de’ romani e nel basso medioevo; poi tutto fu abbandonato e distrutto, sicché oggi non si trovano tracce dell’imponente costruzione altro che scavando il suolo ridotto a bosco ed a coltivazione.

Scavi e ruderi dell’antica Fiesole. — Nell’ampio podere chiamato fin da tempo remoto le buche delle fate e che faceva parte del patrimonio del Capitolo della cattedrale fiesolana, si trovano i ruderi più importanti e meglio conservati di alcuni fra i più grandiosi edifizj de’ tempi



[p. 143 modifica]etruschi e romani. De’ primi, se si eccettua il lungo e ben conservato tratto delle mura, non sono che pochi resti trasformati e modificati a tempo della dominazione romana, mentre della seconda epoca sussistono gli avanzi di maestose e ricche costruzioni, come il teatro e le terme. Dopo l’incameramento dei beni ecclesiastici, nel podere divenuto demaniale vennero praticate a cura della commissione per

le antichità etrusche importanti escavazioni le quali vennero proseguite dopo il 1874 dalla Commissione Archeologica istituita dal Comune, quand’esso ottenne dal Governo la cessione del podere delle Buche delle Fate A questo ampio recinto di terreno, che dal piccolo altipiano costituito dalla piazza della Cattedrale discende rapidamente verso la valle del Mugnone, limitato dalle mura etrusche, si accede da una porta situata dietro l’abside del Duomo, mediante il pagamento d’un biglietto d’ingresso (Cent. 50 per gli scavi ed il Museo). Si possono così visitare il Teatro Romano, le Terme, avanzi di antichi tempi, ruderi di differenti edifizj ed arrivare fino alle mura d’onde si gode il panorama ampissimo e pittoresco della valle del Mugnone e dei monti che la dividono dal Mugello.

Il Teatro Romano è un ampia e grandiosa costruzione che coi suoi ruderi maestosi e solenni, coi resti di sfarzosi rivestimenti marmorei e di sontuosi adornamenti basta a rivelare e dimostrare l’importanza e la ricchezza che la città di Fiesole ebbe quando, perduta l’antica libertà, divenne una colonia romana. Dopo la decadenza e la rovina di Fiesole, questo come gli altri ruderi vennero sepolti dalla terra ridotta a coltivazione e sole rimasero ad attestare l’esistenza del fastoso edilìzio alcune grandi volte o cavee che il volgo, cominciò fin dal medioevo a chiamare le Buche delle fate. Il barone prussiano Friedman di Schellersheim fu nel 1809 il primo a tentar di rimettere in luce questo maestoso rudero e fece scavar la terra fino a porre in vista alcune delle parti più essenziali del teatro, come varj settori della gradinata, le sottoposte cavee, alcuni vomitori e delle scale di comunicazione. Ma compiuti i suoi studj e ricuperati, secondo si afferma, alcuni oggetti di valore archeologico, egli abbandonò [p. 144 modifica]l'impresa grandiosa. Così tutto fu ricoperto nuovamente dalia terra e F aratro dell’agricoltore nascose una volta ancora quei gloriosi resti della grandezza fiesolana.

Fu soltanto quando il podere divenne proprietà Demaniale che si potè tornare all’opera di escavazione, prima sotto la guida della Commissione per le antichità etrusche e la direzione del dotto archeologo Prof. F. Gamurrini, poi per cura di una Commissione Archeologica Fiesolana alla quale spetta il vanto di aver restituito all’ammirazione ed allo studio de’ visitatori la maggior parte degli edifizi esistenti in questa parte dell’area della vecchia Fiesole. Ciò che resta oggi non è che una parte, si potrebbe dire anzi, è lo scheletro dell’antico teatro che aveva un estensione ed un altezza maggiori e che in ogni suo tratto era rivestito di preziosi marmi e adorno di bassorilievi, di statue e d’ogni genere di sontuosi adornamenti. Ad ogni modo, parecchi settori di gradinate della parte inferiore dell’emiciclo, varie cavee, molti corridoj e varie scale d’accesso, la linea dell’orchestra, la struttura della scena e dei locali annessi, appariscono in modo evidente e servono a dare una chiara idea della forma, dell’ampiezza e dell’importanza di quel teatro capace di accogliere parecchie migliaja di spettatori.

Le Terme Romane. — Non meno grandioso, e ricco era l’edifizio delle terme, forse non unico fra quelli congeneri che dovevano esistere a Fiesole, se si considera come i romani avessero in tutte le loro città grande dovizia di simili stabilimenti di pubblico servizio. Gli avanzi, rimessi in luce e riordinati a cura della commissione archeologica, servono a dare una chiara idea dell’ampiezza e della disposizione di coleste terme. Un grande prospetto ad arcate rivestite di marmi, dei vestiboli, due grandi vasche, molte piscine di minori proporzioni, i ealidarj, i tepidarj, i frigidari, i depositi d’acqua, le caldaie, le camere di riscaldamento, i tubi, i recipienti di piombo, i condotti, le sistole, ecco ciò che tutt’ora possiamo vedere e rilevare nei resti di questo grande edilìzio, non dissimile nella sua struttura organica da quelli di altre cospicue città romane. [p. 145 modifica]Ruderi di altri edifizi. — Varie importanti scoperte vennero fatte negli anni 1900 e 1901 nei terreni adiacenti, importanti sopratutto perchè esse si riferiscono ad uno dei periodi meno noti della storia dell’antica Fiesole. Negli scavi praticati sono apparse evidenti le tracce di distruzioni e di trasformazioni alle quali alcuni edifìzj andarono soggetti. Fra questi edifìzj, va ricordato un tempio del in secolo avanti Gesù Cristo con una grandiosa gradinata che si collega ai fondamenti delle mura etrusche e che si spinge attraverso la via Giovanni Duprè anche nel podere in vicinanza del Cimitero Comunale. Al disotto del piano di fondazione della gradinata, si trovarono pure tre are di differenti epoche, fra il IV e VI secolo. A.G.C. coperte e protette da grandi lastroni di pietra, secondo voleva il rito pagano.

Di altri ruderi di vecchi edifizj, di frammenti innumerevoli d’are, di statue, di ornamenti scolpiti, di fittili rintracciati sotto la terra, delle numerose e bene ordinate cloache, basta solamente far cenno, non consentendoci l’indole della pubblicazione nostra descrizioni più lunghe e minuziose.

Le Mura Etrusche — Della cinta gagliardissima di mura che dal tempo degli etruschi racchiudeva l'abitato, il tratto più interessante, meglio conservato e che può dare un idea chiara della natura di simili costruzioni, è quello che muovendo dallo sbocco della Via Giovanni Duprè, chiude e sostiene dal lato di tramontana il podere delle Buche delle Fate. È un muro immenso, di colossali massi di pietra sovrapposti e commessi fra loro senza traccia di cemento, nel quale si aprono ad intervalli le feritoje per le quali aveva esito l’acqua delle cloache. Il muro è protetto dalla spinta del terreno sovrastante da grandi semicerchi di pietre ingegnosamente disposte. Fino a pochi anni addietro si credette che l’avanzo di un arco che dinanzi alle mura spiccava fuori dalla terra, indicasse resistenza di una delle porte di Fiesole, la Magellana o Mugellana, mentre le indagini praticate, han dimostrato che si trattava invece dei ruderi di un’opera avanzata di militare difesa eretta a tempo de’ romani. [p. 146 modifica]Da questo tratto meglio conservato delle mura fiesolane si può muoversi per rintracciare in modo abbastanza chiaro l’andamento e l’estensione della cinta de’ tempi etruschi. Essa si collegava verso ponente alla triplice cerchia di mura della rocca o acropoli, per ridiscendere lungo la pendice rivolta verso mezzogiorno e correr quasi parallela alla linea del lato di tramontana, fino alla sommità del colle di Belvedere che attraversava, per ricollegarsi poi alla linea irregolare che seguiva l’inclinazione del poggio verso la valle del Mugnone. La massima parte di questo potente cerchio di mura è andata distrutta, ma di tanto in tanto se ne veggono tuttora alcuni tratti i quali servono in modo sufficiente a determinare il perimetro entro il quale si distendeva l’antica città.

Piazza Umberto I e il Campidoglio fiesolano. — In comunicazione colla Piazza Mino, già della Cattedrale, è la Piazza Umberto I, nel centro della quale s’inalza il monumento alla memoria del secondo Re d’Italia, dono degli scultori fratelli Pugi.

Questa piazza occupa parte dell’area dell’antico Campidoglio. Infatti nel praticare gli scavi per nuove costruzioni e per le fognature della piazza si trovarono tracce di antiche e grandiose costruzioni, frammenti di statue, parte di una grandiosa lupa capitolina di bronzo e iscrizioni, una delle quali ricordava il restauro del Campidoglio fìesolano. Tutti questi frammenti si conservano oggi nel Museo.

Le vie del Carro e di S. Maria che corrispondono sul lato di levante della piazza Mino, conducono al poggio detto di Belvedere che era un giorno compreso nel perimetro delle mura etnische e che è oggi popolato di ridentissime ville.

S. Michele o Belvedere. - Villa Piatesi. — Sul colle di Belvedere, al disopra della chiesa di S. Maria Primerana, il Capitolo della cattedrale di Fiesole possedeva fino da tempo lontano un oratorio dedicato a S. Michele Arcangelo, nel quale cominciò a radunarsi nel 1666 una compagnia di fanciulli detta della Dottrina cristiana; più [p. 147 modifica]tardi, nel 1751, ebbe sede nello stesso oratorio anche la compagnia di S. Donato di Scozia. Nel 1785, alla soppressione generale delle compagnie, l’oratorio fu chiuso e profanato ed il Capitolo lo ridusse a villa che prima fu appigionata, quindi data a livello e successivamente venduta.

Belvedere. - Villa Illingworst. — Situata al disopra dei maestosi resti di un tratto delle mura etrusche di Fiesole, questa villa porta il nome comune ad altre vicine ed al colle vaghissimo che costituiva dal lato di oriente la parte più elevata della vecchia città. La villa è di antica origine e fu dei Buonagrazia, la potente famiglia che possedeva anche il sottoposto palagio, poi dei Del Sera. Ai primi del xvi secolo passò in un Francesco di Matteo Sani, sarto, più tardi fu dei Brunaccini che nel 1773 la vendevano ai Parigi, la famiglia dalla quale uscì il celebre architetto Giulio Parigi continuatore di Giorgio Vasari nella fabbrica del palazzo degli Ufizi.

Belvedere. - Villa Edlmann. — - Fu questa fin da tempo antico la dimora di una famiglia Rossi fiesolana che dette all’arte valenti scultori, fra i quali Vincenzo che lavorò assai per la corte Medicea e scolpì statue e gruppi per Palazzo Vecchio e per il giardino di Boboli. Appartenne la casa ridotta a villa a quella famiglia fino al secolo XIX, dipoi fu Carobbi e Martini.

Nell’annessa casa già colonica, oggi ad uso di pigionali, nacque dalla famiglia dei lavoratori di terra Filippo Mangani detto il Filosofo Contadino uomo di potentissimo ingegno che collo studio e la forza della volontà divenne così valente nella lettere greche e latine e nella filosofia, da suscitare l’ammirazione di Newton che vi ebbe rapporti cordiali.

Belvedere o ai Tortoli. - Villa Ferro Damerini. - Anche questa villa occupa una deliziosa posizione sul poggio di Belvedere. Fino dai primi del XVI secolo apparteneva ad una antica famiglia fiesolana, i Tortoli dalla quale trasse il nomignolo che le era proprio anche nel XVIII secolo. Fu dipoi dei Martini detti dell’Ala che erano ascritti al gonfalone Drago di S. Giovanni. [p. 148 modifica]Belvedere. - Villa delle Suore Clarisse. — Il nomignolo, comune ad altre ville vicine, vale di per se stesso a dimostrare la splendida situazione sua, sul colle fiesolano di prospetto a Firenze ed all’ampio panorama che abbraccia una vasta parte della Toscana. Nel XV secolo la villa era di un Francesco di Leone, dal quale la comprarono i Sassetti per rivenderla nel 1516 a Filippo e Michelangelo Baroni. Sempre per compra, andò nel 1534 nei Capponi, nel 1574 nei Mini e da Francesco Mini l'ebbero in eredità Jacopo Ligozzi valentissimo pittore e Piero di lui fratello, i quali la rivenderono nel 1660 ai Feducci. Nel 1663 era dei Salvi, che la lasciarono ai Frati di S. Domenico di Fiesole, da’ quali la comprarono nel 1720 i Pini, per rivenderla nel 1769 ai Baldigiani della Rocca a S. Casciano. La villa servì di dimora alla famosa Maria Stella Chiappini, il nome della quale è noto per la curiosa leggenda relativa alla nascita dell’ultimo Re di Francia.

I Cappelli e i Cappelli alti. — Sotto questi nomignoli derivati dai possessi di una famiglia fìesolana di questo nome, sono sul colle di Belvedere due gruppi di case, alcune delle quali conservano tuttora il loro originale e pittoresco carattere medievale.

Chiesa di S. Apollinare. — È un oratorio di modesta importanza e privo di pregi artistici che sorge sulla collina a levante di Fiesole, chiamata di Belvedere. In origine fu una piccola parrocchia suburbana, inalzata sui fondamenti delle mura etrusche che da questo lato circondavano la vetusta città. Soppressa la parrocchia, l'oratorio fu dato al Capitolo di Fiesole. Troviamo ricordo che nel 1444 la chiesa minacciava rovina, talché i Canonici la dettero in feudo ad Antonio di Ser Marco Picchini canonico di Firenze e di Fiesole e pievano di Cercina, perchè la restaurasse, come fece difatti. Dopo di lui, l'ebbero i Rossi scultori fiesolani e nel 1631, insieme ad altri beni vicini, l'acquistava Monsignor Celso Zani desolano, vescovo di Città della Pieve. Ultimamente cotesti beni, colla cappella, furono Carobbi, poi Martini ed oggi appartengono al cav. Edlmann. [p. 149 modifica]Pelagaccio o Palagiaccio. - Case Marucelli e Edlmann. Sotto questi nomi, che nelle antiche carte si trova alternato, sono indicati un casamento, oggi di proprietà Marucelli ed una casa con podere del cav. Edlmann. Presumibilmente il nomignolo di questa località dev’esser quello di Pelagaccio, giacché nel podere oggi Edlmann, posto vicino al bosco della Doccia è un antichissimo pelago scavato nel masso dov’è una sorgente d’acqua perenne. La casa del Pelagaccio o Palagiaccio, era alla fine del XV secolo un possesso di Morone Caldani, appartenente ad un’antica famiglia di scalpellini fiesolani, il quale lo vendè poco dopo a Girolamo e Lorenzo Masini. Nel 1562 Ginevra Masini la rivendeva a Rocco e Bernardino Rossi e in parte a Bernardino Guelfi e da questi e da altri parenti loro acquistavala nel 1631 il desolano Mons. Celso Zani vescovo di Città delle Pieve. Nel 1717 andò per eredità degli Zani nei Bucetti e gli Ufficiali di Mercanzia, come eredi di Anton-Maria di Francesco Bucetti, l’alienavano nel 1727 ad Alessandro di Filippo Ricciardi. I Ricciardi Pollini che ebbero molti altri beni in questi luoghi, ne erano in possesso anche nel decorso secolo.

Dalla Piazza Umberto I, si diparte la Via Ferrucci che guida a Borgunto a dalla quale muovono numerose altre strade che conducono a molte località del poggio Fiesolano. La Via del Fossataccio, porta alle case poste sul versante settentrionale verso la valle del Mugnone; la via di Corsica sale sul poggetto detto Monte Magherini e, oltrepassato il casale dei Caldani, la via detta dei Bosconi si dirama in altre strade che guidano a Muscoli a S. Clemente, a Saletta, a Monte Reggi.

Nella difficoltà di seguire regolarmente il percorso di tutte queste vie, procureremo di raggruppare il meglio possibile i varj edificj che intendiamo d’illustrare. Cominceremo dalla Via del Fossataccio e riuniremo le diverse ville e case situate a settentrione di Fiesole verso la valle del Mugnone.

I Bozzolini o Casciano. — È un gruppo di case e di [p. 150 modifica]villette situato lungo la Via del Fossataccio, che dalla via de' Ferrucci discende verso Val di Mugnone. Il nome di questo luogo sta a ricordare dov’ebbe culla una delle più numerose e più antiche famiglie di artisti fìesolani. Lavoratori alle cave e scalpellatori, essi si dichiarano nelle loro denunzie alle decime, con quella modestia che era propria un giorno anche de’ grandi maestri, a cominciare da Donatello e da Michelozzo; ma è da questi scalpellatori, che uscirono artisti di alto valore come Maestro Bartolommeo architetto e scultore dello stupendo altare o tabernacolo della chiesa di S. Maria del Sasso di Bibbiena. Bartolommeo, come altri di questa famiglia, meriterebbero di essere studiati, occorrerebbe rintracciare altre delle loro opere e la storia artistica di Fiesole si accrescerebbe indubbiamente di nuove glorie. A noi basta di additare oggi il luogo dov’essi iniziarono modestamente la loro vita d’artisti. Le case di questa località sono oggi di varj proprietarj, ma alcune di esse appartengono ancora, dopo cinque secoli, ai discendenti di cotesta antica famiglia fiesolana la quale abitò anche a Firenze dov’ebbe casa nella via di S. Procolo, oggi dei Pandolfini.

Ai Bozzolini o ai Brandi. - Villa Fancelli. — Ricca ed elegante è la decorazione di questa villa che nelle sue linee generali presenta i caratteri dell’architettura toscana, del XVI secolo. Cosi pure di ottimo gusto sono le decorazioni del giardino che vi è annesso. Il nomignolo antico comune ad altre case sulla pendice Fiesolana dal lato di Val del Mugnone, ricorda il luogo dov’ebbe origine la famiglia che dette all’arte maestri di scultura assai valenti. Più tardi si chiamò dai suoi possessori la Casellina dei JBaldesi. Pertanto, fin da’ primi del XV secolo era proprietà de’ Bozzolini che la possedettero fino all’anno 1536. Passò allora in una famiglia Bellini a tempo della quale dev’essere avvenuta la riduzione della villa all’aspetto presente. Nel 1735 il sacerdote Piero di Giacinto di Baldese Baldesi comprò dai Bellini la villa che i suoi successori possedettero per lungo corso di anni.

I Ruspoli o Villa di Fiesole, già I! Poggio. - Villa Bartolini-Salimbeni-Vivai. — È posta alla pendice [p. 151 modifica]settentrionale del poggio sul quale sorge la vecchia città e fin da tempo lontano viene indicata col nomignolo di Villa di Fiesole. Era ai primi del XV secolo degli Amidei e passò poco dopo ai Bonsi del gonfalone Drago S. Spirito, i quali abitavano presso al Canto alla Cuculia. La comprarono attorno al 1490 i Lotti di Borgo S. Jacopo e nel 1578 Francesco di Messer Bidolfo la vendè ad Alessandro di Giovan Battista Ruspoli. Da quell'epoca la villa cambiò il vecchio nomignolo in quello della famiglia che la possedette fino all’anno 1735, nel quale pervenne in Domenico di Cosimo Vivai, erede universale di Anton Fabrizio Ruspoli suo cugino. Dai Vivai passò poi per eredità nell’attuale proprietario marchese Pietro Bartolini-Salimbeni-Vivai.

San Polo. - Casa Paoli. — E più comunemente designata col nomignolo di Bargellino. Fu in origine uno dei molti palazzi di campagna che sulle colline fra Fiesole ed il piano del Mugnone possedette fin da tempo remoto la famiglia potente dei Del Palagio consorte dei Ginnetti o Aghinetti. Forse una qualche chiesetta od oratorio dedicato a S. Paolo apostolo deve aver dato a questo luogo il nome che si trova ricordato fino dal XIV secolo. Nel 1427 la casa da signore apparteneva a Piero di Giovanni Del Palagio, dai discendenti del quale, in seguito a sentenza del giudice delle appellazioni, passò nel 1582 per compra nel Capitano Jacopo di Francesco Calonetti. Desiderio di Girolamo Calonetti la rivendeva nel 1673 ad Alessandro Manzini e per eredità, passava nel 1720 in Laura di Anton-Domenico Puccini. I Puccini possedettero la villa fino a tutto il XVIII secolo. Il fabbricato di S. Polo o del Bargellino serba tuttora il carattere di un palazzetto medievale.

Casellina. - Villa Paoli. — Anche questo fu uno dei possessi della famiglia Del Palagio e come l'antico palazzetto di S. Polo fu venduto nel 1582 al Capitano Jacopo Calonetti. Da’ successori di questo l’acquistarono nel 1624 Donato e Mariotto d’Angelo Gambi, per rivenderlo nel 1665 a Fiammetta di Sforza Guerrini vedova di Piero di Giuseppe Pesci. Questi Pesci, originarj di Rovezzano, si chiamarono anticamente Del Lasca ed arricchirono esercitando [p. 152 modifica]la professione di rigattieri in una bottega prossima alla chiesa della Madonna de’ Ricci. Essi costituirono in questa parte della collina fiesolana verso la valle del Mugnone un ampio possesso, acquistando ville e poderi che appartenevano loro anche al declinare del XVII secolo.

Riprendiamo ora la Via Ferrucci.

Il Massajo o alla Strada. - Villa Taddei. — Fu casa di proprietà dei Capponi che ebbero altri beni sul monte fiesolano. Nel XVIII secolo essa era affittata ad una di quelle accademie letterarie che si erano costituite dovunque e che, forse prendendo motivo dall’antico stemma di Fiesole, si era intitolata dei Lunatici.

La Quercia. - Villa Dainelli. — Situata in vaga posizione sul ridentissimo colle di Belvedere, questa villa non è di antica costruzione e fu forse edificata verso la metà del XVIII secolo dalla famiglia Ricciardi Pollini che ebbe molti beni in questi luoghi.

Tabernacolo del Poggerello. — È un grandioso tabernacolo a forma di maestà, con tettoja di legno a decorazioni policrome e con ornamenti di pietrame abilmente scolpiti. Nel centro dell’arco è lo stemma della famiglia fiesolana dei Romoli che fece erigere il tabernacolo. Nell’interno è un affresco colla Vergine il bambin Gesù e varj Santi attorno. E opera di Ridolfo del Ghirlandajo.

Il tabernacolo era poco lungi da una casa da signore che la famiglia Romoli, d’origine fiesolana possedeva fino dal XV secolo e che fu dipoi degli Altoviti.

Borgunto. — È un piccolo borgo della vecchia Fiesole, posto lungo la via che guida a Montereggi, composto in gran parte di antiche case, alcune delle quali di forme assai caratteristiche e pittoresche. D’onde derivi questo nome, proprio di località poste in altre parti di Toscana e di un’antica via d’Arezzo, non è facile determinare con certezza; certo esso è di antichissima origine.

La Fonte Sotterra. — Esiste in questo luogo una fonte etrusca, o meglio un ampio deposito di acque sorgive ingegnosamente scavato nel macigno del monte e che servì certo a provvedere ai bisogni della popolazione di questo [p. 153 modifica]subborgo della città. Lo scavo, fatto per mezzo di scalpello è irregolare e si addentra tortuosamente negli strati compatti della pietra arenaria.

Corsica. — È un gruppo di case per la maggior parte di vecchia costruzione che sorgono sulla pendice del poggio di Monte Margherini. Appartennero un giorno a diverse famiglie di scalpellini e di scultori fiesolani fra le quali i Bozzolini, i Pettirossi, i Caldani, i Patriarchi, Quest’ultima famiglia fu un giorno in possesso di quasi tutte quelle case, talché la località si disse anche I Patriarchi. A questa famiglia appartenne anche la villa Bianchi che nel XVIII secolo era dei Serravalli.

Bellevante o Monte Magherini. - Villa Allegri. La giacitura di questa villa sul poggio a levante di Fiesole può aver dato alla località il nome che si collega anche a quello di un’antichissima famiglia fiesolana, i Romoli Bellevanti. Dell’altro nomignolo non sapremmo indicare la ragione. La villa è una grandiosa costruzione rivestita dei caratteri propri dell’architettura fiorentina del XVII secolo. Ai primi del XV secolo la troviamo in possesso della famiglia Ruffoli del gonfalone Ferza e poco dopo, essa perviene in una famiglia Dell’Azzurro dalla quale la compra Oretta de’ Pazzi vedova Rucellai nel 1534. Da quell’epoca i passaggi di possesso seguono frequentissimi. Nel 1547 la comprano i De Romena, nel 1550 i Pazzi nuovamente, nel 1560 Giulio di Vincenzo Lupi di Reggio, nel 1573 Giovanni Garosi, nel 1580 Salvatore di Lorenzo detto Mustacco corriere, nel 1581 Mario di Pellegrino da Massa Carrara, nel 1598 Puccio di Giorgio Scali, nel 1628 il cav. Lorenzo Corboli, nel 1649 Gio. Battista Fanciullacci e finalmente il 5 maggio 1675 passa per eredità nella famiglia Allegri che tuttora la possiede.

I Caldani già La Casa Tonda. — Oltrepassato di poco Borgunto, sulla strada detta dei Bosconi, si trova questo gruppo di case che conservando in gran parte il carattere medievale, costituiscono un insieme di fabbricati oltremodo pittoresco. Dal centro del caseggiato s’inalza tuttora una massiccia torre di pietra che dimostra come V edilizio avesse in antico l’importanza di vero palagio di campagna. Ma [p. 154 modifica]a chi appartenesse in origine non è stato possibile determinare, per causa di erronee indicazioni dei vecchi catasti. Sappiamo solo che nel 1487 una tal Simona donna di Matteo di Stocco del popolo di Majano vendeva la Casa tonda a Francesco di Antonio di Nanni scalpellino appartenente alla famiglia fiesolana Guelfi, la quale esercitava appunto quell’arte. Ai Guelfi, che si dissero più tardi Guelfi-Caldani, queste case appartennero fino ad epoca relativamente moderna e da loro derivò il nome di Caldani sotto il quale questo casale è tuttora conosciuto.

I Pettirossi. — Dal lato opposto a quello dei Caldani è un altro gruppo di case che conserva il nome dei suoi antichi proprietarj, i Pettirossi una della famiglia di artisti fiesolani dalla quale uscirono scultori ed architetti valenti.

II Rinuccino già Forte Maniccia. - Villa Bordoni. — Fino dal XV secolo, insieme ad alcuni poderi, fu possesso della famiglia Rinuccini, onde venne il nome di Rinuccino alla villa che per lungo tempo conservò il carattere di un antico palagio di campagna, sormontato da una torricella. Quella famiglia ampliò successivamente la sua proprietà acquistando altre vicine ville che ridusse a case coloniche e ne restò in possesso fino a 7 primi del XIX secolo. Negli ultimi tempi la villa cogli altri beni già Rinuccini era di proprietà Bruni.

La Querce o Giunchelli - Casa Bordoni. — Era ai primi del XV secolo una casa da signore della famiglia Parenti del gonfalone Vajo, dalla quale per ragioni di dote pervenne, verso la metà dello stesso secolo, in Maddalena di Michele Parenti moglie di Messer Bongianni Gianfigliazzi, cittadino illustre e di grande autorità. Ginevra figlia di Bongianni la portò nel 1533 in dote a Poldo di Geri De Pazzi; ma poco dopo, in seguito ad un lodo coi Tornabuoni pervenne in Giovanna figlia di Lorenzo di questa famiglia, moglie di Messer Giovanni di Alessandro Antinori. Questi la vendè nel 1579 a Pier Francesco e Alessandro di Francesco Rinuccini, i quali, col volger del tempo la ridussero a casa colonica.

Torre degli Scossi. - Casa Bordoni. — Nel 1427 era [p. 155 modifica]una casa da signore dei Buonajuti che passò più tardi nei Vivuoli ed alla fine del XVI secolo nei Rinuccini.

Baccano. — Porta questo nome la località nella quale dalla strada detta dei Bosconi si dipartono tre differenti vie: quella che conduce a Castel di Poggio e Vincigliata, quella di Muscoli e l'altra per Saletta e Montereggi. Tradizionalmente si fa derivare questo nome da un tempio antico dedicato a Bacco, che parrebbe esistito in queste vicinanze, ma del tempio non si trovano tracce, nè l’affermazione è accertata da documenti di sorta.

Per la Via di Muscoli, troviamo le seguenti località:

Chiesa di S. Michele a Muscoli. — È una delle antiche parrocchie suburbane di Firenze e se ne hanno lontani ricordi. È posta sulla pendice di Monte Fanna in mezzo ai beni che per un lungo corso di secoli appartennero alla famiglia Mancini, la quale fin da tempo remoto fu patrona di questa chiesa. Piccola, modesta e ridotta in grave stato di deperimento, la chiesa di S. Michele venne restaurata nell’anno 1894 ed in quest’occasione, liberata dalle brutte decorazioni che la deturpavano, venne con molta cura restituita all’elegante e severo carattere del XIV secolo.

Alfiano. - Villa Morgan. — Fin da tempo remoto fu una delle case da signore della famiglia Mancini, la quale ebbe numerosi possessi sui monti attorno a Fiesole. Fu, certo per la sua comoda e bella situazione, una dei soggiorni campestri favoriti da quella illustre famiglia, sicché essa la tenne costantemente in possesso dal XIV al XIX secolo.

Modernamente era di proprietà Campolmi.

Monte Fanna. — Fra le valli del Mugnone e dello Zambra, oggi Sambre, s’inalza al disopra degli altri poggi il monte Fanna la cui vetta è a m. 1 420 sul livello del mare. Su questo monte fu un antico castello in origine de’ Cattani di Cercina. Dipoi andò nei Mancini che lo lasciarono cadere in rovina. Nel 1369 vi rimaneva una torre circondata da ruderi che Lello del fu Giachetto Mancini vendè insieme ad un podere per 400 fiorini d’oro a Piero del fu Neri di Lippe Del Palagio. Più tardi i [p. 156 modifica]beni di Monte Fanna furono dei Medici e da Lorenzo di Piero li acquistava nel 1457 lo Spedale di S. Maria Nuova.

Chiesa di S. Clemente in Poggio. — Sull’altipiano chiamato appunto di S. Clemente, fra il Monte Reggi e il Poggio delle Tortore, sorge questa chiesa di antichissima origine, della quale costituiscono il popolo poche case sparse sui monti nelle valli dello Zambra e delle Falle. Piccola di proporzioni, conserva in parte la sua antica struttura colle mura di fìlaretto e la piccola abside a nicchia. Non possiede opere d’arte, se si eccettua una graziosa piletta di marmo per l’acqua santa, lavoro del XV secolo. Patroni della chiesa furono i Mancini ed i Consoli dell’Arte della Lana, fino al XV secolo. Più tardi, essendo stati dichiarati ribelli alcuni di casa Mancini, si sostituirono per un quarto i capitani di Parte Guelfa.

Le Pozzora. - Villa Benvenuti. — È situata sui monti presso S. Clemente in Poggio, non lungi dal luogo dove sono pochi ruderi di un castellare. A’ primi del XVsecolo la villa apparteneva alla famiglia Arrighi che ebbe i suoi palazzi nella via oggi de’ Pandolfini e da Antonio Arrighi l'acquistava nel 1457 Giovanni di Niccolò degli Albizzi. Gli Albizzi la rivenderono nel 1573 ai Mazzei del gonfalone Chiavi e da Zanobi di Raffaello Mazzei l’acquistavano nel 1575 le Monache di S. Martino a Majano alle quali rimase il possesso fino alla prima soppressione monastica.


Torniamo ora a Baccano e terminiamo le escursioni del territorio compreso in questo capitolo, prendendo la via che mena a Saletta, a Montereggi ed a Bujano, per riunirsi poi alla strada Faentina presso l’Olmo.

Il Roncone. - Villa Sandrini. — È un grandioso e signorile edilizio che nella sua costruzione conserva i caratteri dell’architettura del XVII secolo. Esso fu infatti eretto poco dopo il 1658 dalla famiglia Ronconi, la quale aveva in quello stesso anno comprato dai Tedaldi un podere con casa da signore chiamato Campucci o le Bonettole. Attorno a questo, acquistarono in varie epoche altre vecchie case da signore cogli annessi poderi, costituendo un cospicuo possesso che da loro si chiamò il [p. 157 modifica]Roncone. Nel 1767 tutti quanti i beni colla villa passarono all’Abate Ottavio Buonamici e più tardi ai Sandrini, famiglia che da oltre due secoli ha numerosi possessi nelle vicinanze di Fiesole.

Campucci. - Casa Sandrini. — Nel 1427 era casa da signore dei Salviati e si chiamava anche le Bonettole. Nel secolo successivo passò ai Tedaldi, nel 1658 ai Ronconi e più tardi ai Buonamici.

Bastiere già Battifolle. - Casa Sandrini. — Era un altra casa da signore alla quale derivò il nome che porta per essere appartenuta a Francesco di Bartolommeo bastiere. Nel XVIII secolo fu de’ Granchi, nel 1742 la comprarono i Ronconi e da loro andò nei Buonamici.

Il Cerro. - Casa Sandrini. — Casa da signore dei Buonajuti nel XV secolo, fu comprata nel 1658 dai Ronconi e poi come le altre precedenti passò nei Buonamici.

Torre Bonsi. — In antico Torre de’ Bonizi è il nome comune a due edifizj separati tra loro e di differente proprietà.

Torre Bonsi o Bonzi. - Villa Campolmi. — La villa è di moderna costruzione o per dir meglio, ricostruzione, perchè è l’ampliamento d’una vecchia casa colonica che un giorno servi ad uso di padroni. A questa villa è annessa una vecchia torre che ha dato il nome alla località e che in epoca remota fu della famiglia Bonizi da molti secoli estinta. Ai primi del XV secolo era dei Cavicciuli corsorti degli Adimari e nel 1486 Jacopa del fu Zanobi Macinghi vedova di Salvestro di Filippo Adimari Cavicciuli la vendeva a Giovanni del fu Salvestro Popoleschi. Più tardi i Popoleschi acquistavano una villa vicina e la torre quasi cadente colla vecchia casa da signore fu ridotta ad uso di casa da lavoratore che segui le sorti dell’altra, fino ad epoca moderna in cui, coll’aggiunta di nuove costruzioni, tornò all’uso antico.

Torre Bonsi. - Casa Gargiolli. — Fu anche questa un possesso antico dei Bonizi; nel 1427 apparteneva a Cipriano e Giovanni di Jacopo Rucellai dai quali, nella seconda metà di quel secolo, lo comprarono i Popoleschi. Vincenzo Popoleschi frate professo nel convento di S. Marco di Firenze portò i suoi beni in proprietà dell’Ordine [p. 158 modifica]domenicano e la villa di Torre Bonzi con i vicini terreni fu dai Frati di S. Marco venduta alle monache Domenicane di S. Caterina, che avevano il loro monastero fra Piazza di S. Marco e Via S. Callo. Esse ridussero il luogo a carattere monastico, servendosene come luogo di villeggiatura per le suore vecchie e malate e questo carattere conservò il luogo fino alla soppressione francese. Venduta dal Demanio, fu ridotta ad uso di casa colonica. Nella cucina esiste un antico camino collo stemma dei Popoleschi.

Casalta. - Casa Fancelli. — Antichissimo possesso delle Monache del convento di Monticelli che sorgeva fuori della porta Romana, fu da quelle monache venduto nel 1503 a Piero d’Ansidonio Buontalenti pizzicagnolo, gli eredi del quale lo alienarono nel 1554 allo Spedale degl’Innocenti. Da questo lo prese a livello nel 1626 Cammillo Gherardi di Pistoja ed all’estinzione della linea ritornò in libero possesso dello Spedale. Per molti anni appartenne alla famiglia fiesolana dei Peliucci della quale uscirono diversi scultori.

Coniale o il Palagio. - Villa Ulivieri. — Fu uno dei numerosi palagi di campagna, che la famiglia fiorentina dei Popoleschi consorte dei Tornaquinci possedeva fin da tempo remoto fra Fiesole, Saletta e Montereggi. Dai Popoleschi passò nei Lorini i quali chiamarono la villa La Lorina. Nel 1724 andò per dote della moglie a Pier Francesco Gherardini, ma ritornò dipoi nella famiglia Lorini.

Chiesa di S. Margherita a Saletta. — È d’origine antichissima e sorge in mezzo a certi beni che i vescovi di Fiesole possedevano fin dall’890 per donazione di Guido Re d’Italia. Fu di patronato dei Caponsacchi che fin da tempo remoto avevan beni sui colli di Montereggi, e dei popolani. Piccola di proporzioni, rimodernata, conserva dell’antica struttura soltanto la tettoia a cavalletti. Sull’altar maggiore è un piccolo bassorilievo di terra cotta invetriata rappresentante la mezza figura della Vergine col bambino Gesù, opera della prima maniera di Andrea della Robbia.

Poggio o Saletta. - Villa Monetti. — I Busini celebre e potente famiglia fiorentina, possedettero sui poggi di [p. 159 modifica]Montereggi fin da tempo lontanissimo molte terre e diverse case da signore, una delle quali è appunto questa che per il corso non interrotto di cinque secoli le servi di comoda e quieta villeggiatura. Nel XVI secolo la villa apparteneva ai figli di Tommaso Busini, uno dei quali, Giovanni detto il Fiero, fu tra i più caldi difensori di Firenze assediata. Caduta la repubblica, egli andò esule a Napoli dove s’incontrò con Giovanni Bandini, uno tra coloro che avevano prese le armi contro la patria. Il Busini lo provocò e lo coprì di vituperi, per aver con lui questione ed ucciderlo, ma i compagni d’esiglio lo trattennero e gl’impedirono d’incrociar la spada con lui che era troppo spregevole. Niccolò del cav. Lotto Busini, ultimo della sua illustre famiglia, morendo di 73 anni e senza figli, il 9 Dicembre del 1713, lasciò i suoi beni di Montereggi a Ricovero del Senatore Pier Filippo Uguccioni per amicizia e per sentimento di riconoscenza verso il padre di lui che gli aveva prestato forti somme di denaro senza interesse. Dagli Uguccioni, le ville ed i poderi annessi passarono negli Alamanni, poi nei Niccolini dai quali l'acquistava l’attuale proprietario.

Diverse delle case coloniche dei poderi che costituiscono la fattoria oggi Monetti furono un giorno case da signore di potenti famiglie che del poggio di Montereggi e di Saletta avevano fatto un popoloso e gradito luogo di villeggiatura. Ricorderemo le più importanti:

Acquaio. — Appartenne anche questa ad un ramo dei Busini. Nel 1500 era di Giovan Battista e Carlo di Bernardo. Giovan Battista letterato insigne e nemico di casa Medici, combattè nell’assedio e, caduta la repubblica, fu confinato a Benevento; ma avendo rotto il confine, venne dichiarato ribelle e non potè più riveder la patria. Anche questa villa seguì le sortì della precedente.

Le Cannelle. — A’ primi del XV secolo era dei Bindi, poi fu di una famiglia Dini, notari, dei Veneri e più modernamente dei Mozzi.

Il Mare. — Casa da signore dei Popoleschi dal XIV secolo fino all’estinzione dell’illustre famiglia, passò nel XVII secolo nei Giuntini e più tardi nei Serguidi. [p. 160 modifica]Il Moro. — Fin dal XIV secolo fu casa da signore dei Baldovini detti Del Pannocchia; poi passò negli Adimari, quindi in una famiglia Celli. Angiolo Celli nel 1678 ne fece donazione alle Monache di Chiarito dette le Ammantellate.

Saletta o Montereggi. — Fu fin dal XIV secolo e per tre secoli successivi, villa della famiglia Bastari o Rittafè.

Montereggi. — Il nome attuale di questa parte dei monti fiesolani che seguendo parallela al corso del torrente Mugnone si collega alla catena de’ poggi Mugellani che fanno capo al Monte Giovi, è la corruzione del latino Mons Regis. Si chiamò appunto Monte del Re questa contrada, dov’ebbero il completo dominio delle terre gl’imperatori di Germania e Re d’Italia che ne fecero donazione in gran parte ai Vescovi di Fiesole, fin dall’anno 890. Fu Guido Re d’Italia che arricchì di cotesti beni la mensa vescovile fiesolana, mentre Ottone II e Papa Pasquale II ne confermarono successivamente il possesso. In questa località ricca di naturali bellezze, resa fertile ed ubertosa dall’abbondanza delle acque, ebbero culla e potenza parecchie fra quelle illustri famiglie che

discese giù da Fiesole ab antiquo


vennero ad accrescere la popolazione di Firenze. Ricorderemo fra le altre; i Oaponsacclii, i Ferrantini, i Busini, i Cresci, i Crociani, i Baroncini, i Bastari che più tardi insieme ad altre nobili famiglie fiorentine popolarono di palagi e di case da signore quanti poggi che in antico avevano servito di gioconda villeggiatura alle opulente famiglie di Fiesole romana.

Pieve di S. Ilario a Montereggi. — È una delle più antiche pievi della diocesi di Fiesole e di essa si hanno ricordi fino dal X secolo. Situata in una località dove molte famiglie fiorentine ebbero fin da tempo lontanissimo palagi di campagna e beni di terra, fu di patronato di alcune di esse, mentre altre vi ebbero altari e sepolture. Ai primi del XIV secolo il patronato della pieve spettava alle famiglie Ferrantini, Baldovinetti e Struffi. Nel 1368 le due prime soltanto serbavano i diritti di patronato e nel 1465 i Ferrantini lasciavano la parte loro ai Caccini. Sulla [p. 161 modifica]facciata si vede tuttora lo stemma dei Baldovinetti. Alla pieve veune riunita in antico la chiesa soppressa di S. Maria a Bujano.

La pieve di Montereggi è piccola di proporzioni, di costruzione antichissima, ma deformata da ripetuti restauri; conserva la tettoja a cavalletti. D’opere d’arte non possiede che un grazioso ciborio scolpito in pietra del XV secolo, una caratteristica piletta di marmo del secolo precedente ed una croce processionale di rame dei primi del XV secolo.

Acquedotto Reale o di Montereggi. — Le acque che sgorgano in gran copia da ogni parte del poggio di Montereggi, forniscono fin da tempo immemorabile l'acquedotto di Fiesole e vennero poi destinate anche a servire ai bisogni di Firenze. I sovrani Medicei soprattutto, ebbero cura di ordinare sapienti e costose opere, allo scopo di allacciare le diverse sorgenti per riunire in apposito serbatojo le acque che un acquedotto conduce a Firenze. Nel volger del tempo, molte opere di miglioramento vennero compiute a questo acquedotto che fu perfezionato specialmente sotto il governo di Leopoldo I. Il condotto Beale aveva un secondo serbatojo nella località detta il Ponte del Calderajo e le acque giunte a Firenze venivano destinate ad alimentare le pubbliche fontane, gli edifizj di proprietà granducale, gli spedali e certi determinati istituti. Le moderne disposizioni prese per accrescere la quantità delle acque necessarie agli aumentati bisogni della popolazione, non solo non hanno fatto abbandonare il vecchio acquedotto Mediceo; ma sono state anzi dirette anche a migliorarne il funzionamento e ad accrescere il volume delle acque che in esso s’immettono, sicché può dirsi che le sorgenti di Montereggi arrecano tuttora vantaggi rilevantissimi a questo essenzialissimo fra i servizi di pubblica utilità.

Il Leccio o Montereggi. - Villa Amphoux. — Fu casa da signore dei Popoleschi che insieme ad altri beni nei popoli di Saletta e di Montereggi, la possedevano fino dal XIV secolo. Passò ai primi del XVI secolo ai Rucellai e più tardi ai Griuntini, i quali ne erano proprietarj anche nel decorso secolo. [p. 162 modifica]Le Mulina o Mulino di Montereggi. - Casa Rosselli Del Turco. — Villa dei Busini fino dal XIV secolo, passò dipoi negli Uguccioni e nei Niccolini.

Calsi o Carzi. - Casa del R. Conservatorio della Quiete. Nel XV secolo era casa da signore con torre appartenente alla famiglia Del Borgo del Gonfalone Lion d’Oro, dalla quale passò in certi Baroni del gonfalone Lion d’Oro. Più tardi pervenne nelle monache Domenicane di S. Jacopo di Ripoli e nel 1795 fu assegnata alla Congregazione delle Minime Ancelle dette poi le Signore della Quiete o le Montalve In quell’epoca la vecchia torre era caduta in rovina.

Pianuzzo - Casa del R. Conservatorio della Quiete. — Fin dal XIV secolo apparteneva alla famiglia antichissima e potente dei Foresi che avevano case e torre in Via Porta Rossa. Passata poi nelle Monache di Ripoli, venne ridotta a casa colonica e fu in seguito assegnata alle Signore Montalve della Quiete.

S. Maria a Bujano. — Fu chiesa parrocchiale d’antichissima fondazione, presso la quale ebbero corte fino dal IX secolo i vescovi di Fiesole. Piccola, e con modesto territorio, fu riunita in antico alla Pieve di Montereggi e più tardi profanata. Era di patronato della famiglia Ferrantini la quale nel 1465 lasciò eredi de’ suoi beni e dei suoi diritti i figli di Domenico Caccini. La fabbrica della chiesetta serve oggi ad uso di capanna del podere che appartiene alla pieve di Montereggi.

Anche nel popolo di questa chiesa ebbero possessi di casa da signore e terre varie potenti famiglie fiorentine e tra le altre i Donati, i Ferrantini, i Popoleschi, i Villani, i Busini ecc.

I Rosai. - Villa Parenti. - La villa non è di antica origine e venne edificata in epoca relativamente moderna, presso una casa colonica facente parte del possesso delle Monache di Candeli. Da queste i beni passarono ai Frati di S. Croce, e dopo la soppressione, gli acquistò la famiglia Cecchi per rivenderli ai Parenti.

Antichissime ville di celebri famiglie fiorentine furono invece diverse delle case coloniche del possesso oggi Parenti e brevemente le ricorderemo. [p. 163 modifica]Il Palagio a Bujano. — Era palazzo di campagna dei Borgherini ai quali lo prese a’ primi del XV secolo Barlommeo di Messer Jacopo Salviati come garanzia di un prestito di 300 fiorini d’oro fatto a Francesco Borgherini. Fu dipoi dei Busini e quindi nel XVII secolo delle Monache di Candeli.

Il Palagio o il Palagetto. — Nel XIV secolo, era la dimora campestre della celebre famiglia Baldovinetti che fu patrona della chiesa di Montereggi e che ne rimase lungo tempo in possesso. Seguì dipoi le sorti del precedente podere, mentre la villa fu dalle Monache di Candeli ridotta a casa colonica.

Pratignone. — Nel 1427 era casa da signore di Antonio di Niccolò Busini e dai Busini passò alle Monache di Candeli che la trasformarono in casa da lavoratori.

Montereggi. — Dal XIV alla fine del XVIII secolo fu casa da signore dei Baroncini che erano in antico ricchi speziali.

La Torre di Bujano. — Non lungi dal luogo dove fu la chiesa di S. Maria, sorge una vecchia e solida torre scapezzata che ha forma comune ad altri congeneri edifizi sparsi in questa località. Forse esisteva anche ne’ tempi in cui ebbero qui i loro possessi i vescovi di Fiesole; poi fu dei Ferrantini. Modernamente i signori Parenti che la posseggono l’hanno fatta consolidare e coronare di merli, per quanto essa non abbia più la notevole altezza primitiva.

Tobbiano o Toppiano. - Antico spedale di Montereggi.

Il nome è oggi proprio d’un podere della fattoria Parenti; in antico era quello della località dove lungo la vecchia strada del Mugello sorgeva uno dei tanti spedali di pellegrini. Lo aveva fondato nel XIII secolo, sulla costa di Montereggi, la famiglia Donati padrona anch’essa di beni su questo monte e fino alla metà del XIV secolo si trova che essa ne conservava il patronato. Probabilmente fu soppresso poco dopo e riunito collo spedaletto di Pian di Mugnone che sorgeva nel luogo del conventino di S. Maria Maddalena.

Poco dopo Bujano, la strada di Montereggi si collega alla Via Faentina nella località detta l’Olmo, della quale discorreremo nel successivo capitolo.

  1. L’Ammirato, lasciando ai Cappellani del Duomo la sua villa, imponeva loro l’obbligo di celebrare ogni anno un ufìzio in Duomo. Ma l’ufìzio non fu più fatto, perchè l’Opera dovette sborsare 80 scudi per divenire al possesso dell’eredità.
  2. Nel sotterraneo del convento è una cappella che si dice la tomba la quale fu di patronato della famiglia Portigiani. Un’iscrizione a caratteri gotici dice che la cappella fu fondata da Gio. di Bartolommeo Portigiani nel 1114; ma evidentemente si tratta di una iscrizione apocrifa collocatavi forse nel 1603, quando Giulio Portigiani fece restaurare cotesta cappella.