Vulcano/Prima sintesi
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Prima sintesi
IL COLORIFICIO DEL CIELO
La scena è dominata dal profilo fumante dell’Etna. La radura di un limoneto chiuso da un muretto di pietre laviche. In fondo, a sinistra, la casetta-laboratorio dei pirotecnico Porpora. La facciata è coperta di cartoni sovraccarichi di cifre e dipinta di segni misteriosi rossi gialli verdi.
In fondo a destra la casetta colonica del poeta Serena.
A destra un muretto basso di pietre laviche guarda in lontananza un grande pezzo di mare azzurro intensissimo.
A sinistra un muretto basso di pietre laviche e cactus oppressi da una massa di alte ginestre, nuvole di fluido oro abbagliante. In questo muretto una porticina.
Serena
Il comizio fu violento. Urlavano tutti contro Brancaccio.
Porpora
Perché lo odiano cosí?
Serena
Lo accusano di essere padrone di mezza Sicilia. Dovrebbero invece rimproverare al combattente ricchissimo di trascurare noi che abbiamo tutto perduto facendo la guerra!
Porpora
Se tu fossi al suo posto ti concederesti degli svaghi piú artistici e piú egoistici dei suoi. Ti consiglio di calmare quei forsennati.
Serena
È impossibile... Un torrente scatenato. Fra poco saranno qui.
Porpora
Va pure. Non verranno.
Serena
Verranno. Eccoli. (Canti lontani interrotti da urli) Addio.
Porpora accompagna Serena alla porticina del muretto di destra. Prima di giungervi sentono picchiare, si fermano incuriositi.
Porpora
Avanti. (Entra Eugenia Brancaccio seguita da Mario Brancaccio) Buongiorno! Siate i benvenuti in casa vostra!
Eugenia
indicando Serena che sgattaiola via con un saluto breve:
Buongiorno, Porpora. Chi è quel giovane?
Porpora
Il mio migliore amico, un poeta. Un patriota. Ardito di guerra e mutilato. Simpaticissimo! (Silenzio) Un po’ pazzo... Vuole organizzare patriotticamente i contadini. Lo volete conoscere?
Eugenia
fermandolo:
No, no! Non voglio essere distratta. Ho molte cose da dire al celebre Porpora. (Silenzio) È questo il famoso colorificio del cielo?
Porpora
invitando i due ospiti a sedersi sul muretto lavico di sinistra:
Si. (Silenzio) Ieri fissavo laggiú col cannocchiale il mio specchio di mare preferito. Bruscamente il vostro yact entrò nella lente azzurra. (Silenzio)
Mario
Veniamo da terre lontanissime. Ci fermeremo poco tempo. Siamo ospiti del nostro caro e illustre vulcanologo Massadra. Ci interessiamo di materie vulcaniche.
Porpora
Quali?
Mario
Studiamo insieme la famosa miscela lavica chiamata Amore.
Porpora si siede sul muretto di sinistra accanto a Mario e Eugenia cosicché tutti e tre sono colorati davanti in azzurro dal mare e dietro in oro caldo del barbaglio delle grandi ginestre. Un minuto di immobilità silenziosa.
Porpora
L’amore! (Silenzio) Lava che si spegne subito.
Eugenia
con impeto:
Abbiamo trovato il modo di impedirne il raffreddamento e... aumentare l’ardore.
Porpora
Esattamente il contrario di ciò che cerca Massadra.
Mario
Alludete alla sua famosa macchina fermalava?
Eugenia
Ci credete?
Porpora
Sí. Principio scientifico semplice e sicuro: congelare l’orlo della colata per formare una barriera di lava pietrificata che fermi e devii la colata stessa. (Silenzio) Avete dunque girato il mondo consultando tutti i serbatoi di fuoco e di colore, le musiche, le letterature, i cieli, i vulcani e i pazzi come me... da veri vulcanologi anche voi...
Eugenia
Abbiamo attraversato un oceano di emozioni.
Mario
Emozioni d’ogni genere, brutali, violentissime, dolci, insinuanti e perturbatrici. (Frastuono di voci che si avvicinano rapidamente e scoppiano sotto il muretto dì destra)
La folla
Vogliamo la Terra! La Terra è nostra! La Terra ai contadini! Apriteci! Vagliamo parlare al padrone! Ora non è piú lui il padrone! Aprite! Aprite! Aprite! Aprite!
Mario
fermando Porpora e Eugenia con un gesto calmo:
Eccoti servita, Eugenia! Una emozione assolutamente inedita! E calda! (Voltandosi a Porpora) Vi prego di aprire la porticina.
Porpora apre la porta che si spalanca sotto lo sforzo della folla. Tre contadini nell’impeto capitombolano a terra. Visto il padrone ammutoliscono. Silenzio assoluto.
Mario
Parlate. Sono qui ad ascoltarvi. Cosa volete? Lo so. I vostri nuovi padroni... di Milano vi ordinano di portarmi via le mie terre. Le terre, voi lo sapete, sono mie, come erano di mio padre, di mio nonno.
Buio completo. Appare al centro del palcoscenico nella luce di un proiettore rosso Alberto Serena.
Serena
Contadini! Liberi contadini, le Terre sono vostre! Prendetele!
Il proiettore si spegne. Buio. Poi piena luce nella scena disposta come prima.
Mario
Senza di me non ci sarebbe la Teleferica della Naviera che in estate distribuisce alle città affocate deliziosi gelati mondialmente celebri.
Eugenia
a voce bassa:
Non irritarli con le tue ironie, per carità!
Mario
Occupate pure le terre, e fatene ciò che più vi piace. (Un boato vulcanico) In realtà le terre non sono né vostre né mie. Sono di Sua Maestà l’Etna!... Andate.
La folla esce muta poi riprende il brontolio che cresce. Mario, Eugenia e Porpora stanno in ascolto e sorridono a sentire risorgere il coraggio della folla nei canti a misura che si allontana.
Mario
Caro Porpora, mia moglie vi domanda il favore di preparare una festa pirotecnica degna del vostro genio per festeggiare il decimo anniversario del nostro amore.
Eugenia
Fra poco mi porteranno qui le mie più belle vesti. Così i vostri colori armonizzeranno coi miei.
Porpora
Se fossi un ironista avrei paura della funzione ridicola che mi proponete. Ma amo le fiamme e i colori e vi annuncio che non sarò soltanto il vostro animatore. Entrerò in gara, se permettete. (Mostra i cartoni colorati che decorano la facciata della sua casetta.) Questo è un piano di ricostruzione del nostro sistema planetario! Questo è un perfezionamento del miraggio africano. Questo è un tramonto di sole sopra un pianeta sventrato! Posso a volontà formare col piano azzurro del mare e la parete perpendicolare delle mie architetture pirotecniche una trappola smisurata che io chiamo la trappola di Dio, perché Dio vi si lascia prendere spesso affascinato.
Mario
Vorrei che voi dipingeste nel cielo notturno la bellezza del nostro amore futuro con colori così potenti da farci dimenticare tutta la bellezza della nostra felicità goduta. (Eugenia piange)
Porpora
interessandosi:
Cosa avete, signora? Vi ho forse offesa?
Eugenia
No! No! Non badateci, un pensiero... Vorrei invece vedere dipinte nel cielo le sfumature di questi dieci anni di felicità. Quand’ero bambina (rivolgendosi a Mario) e già ti adoravo. (Buio completo. Nel centro della scena appare Eugenia morente nelle braccia di Mario che la sostiene. Proiettatore bianco) Lasciami morire. Non ti ho mai amato! Mai! Ho sempre mentito! (Si spegne il proiettore. Buio. Poi luce normale e riprende la scena precedente. Eugenia è ridiventata la bella giovane donna fiorente.)
Eugenia
A diciotto anni all’alba del cuore! Poi... tutti i brividi dei miei vent’anni. (Si sente battere all’uscio) E’ la cameriera di Massadra con le vesti del nostro Amore! (Entra Gioia Fiore portando molte vesti lussuose e colorate) Gioia, apri e sciorina tutto al sole. (Gioia dispone le vesti sui tronchi dei limoni)
Porpora
scattando:
Per Iddio, in quale inferno e in quale paradiso avete trovato questi colori?
Eugenia
Guardate: questo è un limoneto coi suoi frutti d’oro su fondo verde soleggiato. Una cintura di cielo mare basta. (Silenzio) Quest’altra di velo celeste pallidissima con colletto risvolti maniche e orlo della gonna rosso lacca. Cintura di rubini. (Silenzio) Questa è più sensuale, verde Nilo e oro chiaro. Egiziana... Questa è indiana! Tutte sono cariche di ricordi dolcissimi...
Mario
Io non ricordo nulla.
Eugenia
avventandosi alla gola di Mario, con uno slancio di belva:
No! No! No! Non dire queste parole infami! Non dire che non ricordi! Questa, questa, questa, la devi ricordare!
Gli mostra la veste verde Nilo, poi si accorge di avere trasceso e si ricompone con uno sguardo pieno di scuse a Porpora.
Porpora
Perché scusarvi, Signora? Lo spettacolo del fuoco non può certo offendere il pudore di un pirotecnico. Sono piuttosto spaventato dalle difficoltà che incontrerò per ottenere degli equivalenti aerei del vostro coloratissimo ardore felino! Cerco il modo di fare urlare quel blu brillante su quel giallo... (Silenzio) Vorrei esprimere la trasparenza verde dei vostri occhi. Mi proverò. Volete seguirmi, signora, nel mio laboratorio?
Entrano mentre Mario si sdraia sul muretto di sinistra guardando il mare, un sigaro in bocca.
Eugenia
dall’interno:
Mario! Mario! Il grande blu è raggiunto. Quel pomeriggio sul mare equatoriale, ti ricordi? Cosí, cosí. Vieni a vederlo. Identico!
Mario
fumando indolentemente:
Non mi muovo. Sono sicuro che è molto inferiore a questo azzurro di mare catanese.
Eugenia
Anche l’arancione è riuscito. Stupendo! Vedrai come sarà bella la nostra festa pirotecnica. Ora proviamo il rosso.
Porpora
dall’interno con voce autoritaria:
Per raggiungere ciò che intendo per rosso, io, occorre che vi allontaniate. Preferisco rimanere solo.
Eugenia
Vorrei... Permettete.
Porpora
Non è possibile.
Eugenia
esce fremente convulsa, coi moti di una bambina ebbra di un’attesa insopportabile. Gioia e tormento, vicinissima alle lagrime e piena di risa represse. Origlia, spia un poco, aiuta la cameriera a ripiegare le vesti e l’accompagna alla porticina. Poi si volta e va sulla punta dei piedi a sorprendere amorosamente Mario coricato sul muretto. Ma ha fatto pochi passi che una vampa violenta e rossa esplode con fragore fuori delle finestre della casetta-laboratorio di Porpora.
Porpora
dall’interno:
Maledizione! Maledizione! (Un lungo silenzio durante il quale Mario e Eugenia si lanciano malgrado il fumo verso la porta della casetta e tentano di aprirla. Si sente un rumore di chiave e la porta aprendosi lascia passare Porpora irriconoscibile con la faccia nera) Ho la faccia bruciata! (Silenzio) Sento che la mia faccia ha raggiunto un bel tono di nero cafro. (Silenzio) Ho trovato anche una buona tintura per i miei capelli bianchi. (Silenzio) Ma i miei occhi sono intatti, fortunatamente! Altrimenti sarei costretto a fare della pirotecnica all’interno. Cosa piuttosto noiosa.
Sipario