Vite di illustri Numismatici Italiani - Giulio Cordero di S. Quintino

Costantino Luppi

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Vite di illustri Numismatici Italiani

Giulio Cordero di S. Quintino Intestazione 26 ottobre 2022 100% Numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1892
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In Mondovì, piccola città nella provincia di Cuneo in Piemonte, ma famosa per aver dato i natali all’immortale fisico e matematico Giovanni Battista Beccaria (1716-81), e più tardi per gli studî ivi fatti dai celebri astronomi Plana e Carlini, il 30 gennaio 1778, nacque Giulio Paolo Cordero de' conti di S. Quintino, che doveva aggiungere nuovo lustro e rinomanza alla gentile ed operosa sua patria. Nato dal primo matrimonio del Conte Giovanni Antonio con Caterina Botta, Giulio, adolescente ancora, uscito dalla casa paterna, si raccolse in Fossano a 23 miglia dalla città natia, vestì l’abito de’ Chierici Regolari di S. Paolo, e, poco stante, fu mandato a fare il suo noviziato a Roma. Quivi la vista dei grandiosi monumenti dell’eterna città, e la presenza de’ stupendi avanzi dell’antica gloria italiana, accesero l’animo del giovinetto per gli studî archeologici sì fattamente, che fece di essi, da quel momento, l’oggetto precipuo delle sue meditazioni, e, in seguito, l’occupazione quasi esclusiva di tutta la sua vita.

Rimpatriato nel 1800, era ancora studente di teologia: allora in Piemonte, per la rivoluzione suscitata dai Francesi, essendo stati aboliti gli Ordini religiosi, e quindi sciolto anche il Convento di Fossano, il Cordero, che non aveva [p. 238 modifica]per anco pronunciato i voti solenni, dovette rientrare nella vita secolare. Lasciato il Convento, e provvisto della modesta pensione concessagli, primo suo pensiero fu quello di ritornare a Roma per completare i suoi studî, e dedicarsi più di proposito a quelli della storia, della filologia, dell’archeologia e della numismatica. Quando si sentì fornita la mente d’un corredo sufficiente di erudizione e di cognizioni, intraprese frequenti viaggi nelle diverse città della penisola ad esaminare documenti, a consultare libri e memorie che servissero a’ suoi studî prediletti. Fra le città italiane, quella che lo attrasse più specialmente, fu Lucca, dove faceva più lunghe dimore, e che poi considerò come sua seconda patria. In Lucca, nel 1815, diede alla luce il suo primo lavoro: Osservazioni sopra alcuni monumenti di belle arti nello Stato Lucchese; cinque anni dopo (1820), in seguito ad una scoperta fatta, non lungi dalla città, di un ripostiglio di monete medioevali, pubblicò il suo secondo lavoro: Della zecca e delle monete dei Marchesi della Toscana nel decimo secolo. Fu in considerazione del merito di questo lavoro che l’Accademia Lucchese gli fece l’onore di accoglierlo nel numero de’ suoi membri effettivi. D’allora in poi altri pregiati scritti uscirono dalla sua penna a Firenze e a Roma. In quest’ultima città, l’anno dopo, sottopose al giudizio dei dotti le sue Considerazioni sulle monete dei bassi tempi, ritrovate nella tomba di San Francesco d’Assisi.

Restituita la Famiglia reale di Savoja negli Stati aviti, il S. Quintino fece ritorno in patria, e poco dopo, (1823), presentò all’Accademia Reale delle Scienze in Torino due opuscoli, e cioè: Dell’uso dei marmi Lunesi presso gli antichi; e Dei più antichi marmi statuari adoperati per la scoltura in Italia, che furono inserti nella Raccolta di quell’insigne Istituto, e valsero all’autore l’ammissione a membro di quel dotto consesso.

Quando re Carlo Felice acquistò con 400 mila lire, la celebre collezione di antichità egiziane, fatta durante il suo lungo soggiorno in Alessandria d’Egitto, dal Cavaliere B. Drovetti, console generale di Francia, il S. Quintino fece di essa uno studio speciale, che pubblicò in Roma in [p. 239 modifica]quell’anno stesso (1823), col titolo: Notizia intorno agli antichi monumenti raccolti in Egitto dall’ill. cav. Drovetti Console generale di Francia in quella contrada. In questo scritto il S. Quintino dimostrò tanta competenza, da indurre il Re a nominarlo Conservatore di quella splendida raccolta, e il S. Quintino, per corrispondere al grande onore che gli era venuto, a più ampia illustrazione del Museo affidato alle sue cure, approfondì maggiormente i suoi studî e, specializzandoli, pubblicò una dopo l’altra le seguenti dissertazioni: 1.a Osservazioni intorno all’età ed alla persona rappresentata dal maggiore colosso del R. Museo egizio di Torino (1824); — 2.a Interpretazione e confronto di una iscrizione bilingue che sta sopra la cassa di una mummia egiziana nel R. Museo di Torino (1824); — 3.a Descrizione delle medaglie imperiali Alessandrine inedite del R. Museo di Torino (1824); — 4.a Sull’uso, cui erano destinati i monumenti egiziani detti comunemente scarabei (1825); — 5.a Saggio sopra il sistema dei numeri presso gli antichi Egiziani (1825); — 6.a Descrizione delle medaglie dei Nômi, ossia delle antiche provincie e città dell’Egitto, che si conservano nel R. Museo di Torino (1832); tutte le quali dissertazioni furono stampate ed inserte negli Atti della R. Accademia agli anni sopra accennati. Le cure del Museo a lui affidato, non distolsero il S. Quintino dall’attendere ad altri lavori, di che sono prova gli altri scritti che contemporaneamente ai precedenti andava di mano in mano pubblicando, e cioè: Osservazioni intorno ai monumenti dell’antica colonia di Libarna, presso Serravalle, in val di Scrivia (1824): — Recensio numorum veterum, qui apud hæredes Cl. Viri Equitis Ab. Joan. Baptistæ Incisa e comitibus Sci. Stephani Augustæ Taurinorum asserrautur: additis nonnullorum anedoctorum vel præstantiorum numismatum descriptionibus (1826); — Dell’italiana architettura durante le dominazione dei Longobardi. Quest’ultima dissertazione venne stampata in Brescia nel 1829, e fu premiata dall’Ateneo di quella città, che onorò l’autore coll’iscriverlo a suo membro corrispondente.

Carlo Alberto di Carignano, successo a re Carlo Felice il 27 aprile 1831, tosto che le cure dello Stato gli permisero [p. 240 modifica]di occuparsi de’ pubblici Istituti letterari e scientifici, e del loro miglioramento, trovò opportuno di riunire il Museo egiziano a quello delle antichità greco-romane della R. Università, e pose il S. Quintino in istato di riposo. Allora questi, trovatosi libero di sè, e preceduto da bella fama, diede più largo sfogo alla sua antica passione pei viaggi, senza tralasciare tuttavia di dare alla luce altri saggi pregiati della sua vasta e multiforme erudizione. Una scoperta d’antichi oggetti fatta in Torino negli anni 1830, 31 e 32 gli diede occasione di scrivere l’opuscolo: Ricerche intorno ad alcune cose antiche disotterrate in Torino. L’altra scoperta d’un tesoro di monete longobarde d’oro e d’argento lo richiamò potentemente all’antico genio per lo studio delle monete antiche e segnatamente delle medioevali, e gli diede occasione di leggere all’Accademia Pontaniana di Napoli (1834) un discorso: Sulla moneta dei Longobardi in Italia nei secoli VI, VII ed VIII. L’anno seguente (1835) all’Accademia di Lucca, indotto in errore da una medaglia, che volle illustrare, lesse all’Accademia Lucchese una dissertazione: Delle medaglie di Giunia Donata, moglie di M. Cassianio Postumo tiranno e signore delle Gallie: ma presto riconobbe l’abbaglio di cui fu causa un cattivo esemplare d’una medaglia di Giulia Domna, e lo confessò francamente. Ma nel 1836, quasi avesse voluto prendere la rivincita di quell’involontario errore, diede alle stampe in Lucca l’eruditissima dissertazione: Della istituzione delle zecche dei marchesi di Saluzzo.

L’anno dopo (1837) intraprese un viaggio a Marsiglia per iscoprire in quegli archivî, documenti e memorie relative ad alcune zecche rarissime del Piemonte, e il frutto delle sue ricerche stampò in quell’anno stesso nel giornale di Torino, il Subalpino: Notizie sopra alcune monete battute in Piemonte dai Conti di Provenza coll’indicazione di una serie di documenti dei secoli XIII e XIV attenenti ai domini degli stessi Conti in quella contrada. A queste notizie tennero dietro nel 1838 i Cenni intorno al commercio de’ Lucchesi co’ Genovesi nel XII e XIII secolo. Ma non è da credere che solo l’erudizione antica e la numismatica assorbissero fin qui tutta l’attività del S. Quintino; egli fra questi gravi argomenti [p. 241 modifica]ne intramezzava d’altra specie, e le misure lucchesi, i pozzi trivellati di Germania, la lignite di Chamèry, la manifattura dei cappelli, i vasi vinari ed altri oggetti ancora, relativi all’agricoltura ed all’industria fece oggetto de’ suoi studî e delle sue riflessioni. Dopo il 1838 il S. Quintino non si occupò che di numismatica.

Incaricato dall’Accademia lucchese di redigere la storia della zecca di quella illustre città, dovette uscire nuovamente d’Italia, condursi in Francia e fare lunghe ricerche nelle biblioteche e nelle collezioni numismatiche più rinomate, specialmente di Parigi. Mentre però accudiva con tutta l’anima a quelle faticose indagini, trovò ancora lena di pubblicare nella Revue numismatique de Blois del 1841 una Notice sur les monnaies des princes de Salerne, et sur celles de Grimoald duc de Bénévent: e negli anni seguenti le Lezioni intorno ad argomenti numismatici, e cioè: — 1.° Notizia ed osservazioni sopra alcune monete, finora non conosciute, battute in Pavia da Arduino marchese d’Ivrea e re d’Italia: — 2° Della parte dovuta agli italani nello studio delle monete battute nel corso dei secoli XIII e XIV nelle province dell’impero greco in Europa, col tipo dei denari tornesi, ed ambedue queste dissertazioni furono inserte negli Atti dell’Accad. di Torino nel 1842. Fu solo nel 1844 che apparve in Lucca, nel tomo XI delle Memorie e Documenti per la storia, di quella città, il primo saggio dell’opera cui aveva diretto i suoi maggiori studî, col titolo: Della zecca e delle monete di Lucca nei secoli di mezzo. Discorsi di Giulio di S. Quintino socio ordinario della R. Accad. lucchese, corredati da cinque belle tavole in rame. Mentre l’infaticabile scrittore proseguiva la redazione di questa opera, che doveva essere per lui la più importante, volle concorrere con altro lavoro al premio di numismatica bandito dal R. Istituto di Francia, nel 1845 e a questo intento pubblicò un dotto ragionamento sulle Monete dell’imperatore Giustiniano II, corredato di nove tavole in rame dedicandolo al principe de’ numismatici italiani, Bartolomeo Borghesi. Questa, che riuscì la sua migliore opera, ottenne, insieme col plauso degli eruditi nostrali e stranieri, la menzione très-honorable di quel celebre Istituto, e avrebbe potuto anche conseguire il premio, se [p. 242 modifica]non fosse apparsa, in quell’anno stesso, in Francia l’opera non meno erudita e meritevole di G. B. Duchalais Sur les médailles gauloises faisant partie des collections de la bibliothèque royale.

Proseguendo a registrare in ordine cronologico le altre opere numismatiche edite da S. Quintino, non è da passare sotto silenzio l’opuscolo importantissimo anche pei numismatici francesi, e cioè le Monete del decimo e dell’undecimo secolo scoperte nei dintorni di Roma nel 1843 inserto, come il precedente, nelle Memorie della R. Accademia di Torino, e cioè il primo nel tomo VIII (1845); il secondo nel tomo X (1846) della seconda serie. Nè qui ancora s’arrestò l’opera del S. Quintino; nel 1847 lesse alla stessa Accademia le sue dotte Osservazioni critiche intorno all’origine ed antichità della moneta veneziana, (Atti della R. Accademia di Torino, tomo X, serie II), e finalmente i Discorsi sopra argomenti spettanti a monete coniate in Italia nei secoli XIV e XVII, in cui diede preziose notizie sulle monete battute in Seborga dai monaci benedettini di S. Onorato di Lerino; su di un tornese inedito di Filippo di Savoia principe d’Acaja; e su alcune monete coniate nei secoli XIV e XVII dai marchesi Del-Carretto in Cortemiglia ed in Rodi. (Atti della R. Accad. ibidem).

Ultimo lavoro di questo insigne erudito furono le Osservazioni critiche sopra alcuni particolari delle storie del Piemonte e della Liguria nell’undecimo e dodicesimo secolo (1851 al 1854).

In tutti gli scritti del S. Quintino i dotti ammirano un’erudizione vasta e variata, una critica profonda e uno stile sempre corretto. Tante fatiche avevan logorato, non lo spirito, ma le fibre di questo infaticabile archeologo, e gli tolsero la lena di continuare l’opera, che per lui doveva essere la principale, per la quale aveva assunto uno speciale impegno, e che gli fu forza lasciare imperfetta, l’illustrazione della zecca di Lucca. In breve si trovò condotto in tale spossatezza di corpo, che non potè a meno di rivolgere il suo pensiero alla morte che sentiva avvicinarsi. Aveva toccato già l’ottantesimo anno di sua vita; nessuna malattia lo colse. ma fu prostrato da un languore che mano [p. 243 modifica]mano andava crescendo, finchè fu tolto ai viventi, in Torino, in 19 settembre 1857.

Per più estese notizie inforno la vita e le opere del S. Quintino veggansi: Manno. Opera cinquantenaria della R. Società di Storia Patria, pag. 256. — Memorie e documenti per servire alla Storia di Lucca, Vol. XIII, parte I, pag. CXXVI, 13 — Baruffi G. F. Il Cav. Giulio Cordero di S. Quintino. Notizia bibliografica. (Annali della R. Società d’Agricoltura. Torino 1858: XI, 1-13). — Cerri D. Giulio Paolo dei Conti di S. Quintino. Palermo 1858; in-4 di pag. 32. (Estratto dal giornale: La Scienza e la Letteratura). — Tettoni L. Nella Vita di Luigi Cibrario. Torino, 1872; pag. 302. — Promis D. Giulio di S. Quintino. Torino 1857: in-8. (Estratto della Gazzetta piemontese). Idem. (Revue Numismatique. Paris 1857, N. S. II, pag. 375). — Supplemento perenne all’Enciclopedia popolare. Torino 1872: VI, 573.