Vite dei filosofi/Libro Primo/Vita di Pittaco
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CAPO IV.
Pittaco.
I. Pittaco figlio di Irradio era mitileneo — per altro afferma Duri che suo padre fosse trace — Egli di compagnia coi fratelli d’Alceo abbattè Melanero tiranno di Lesbo, e quando, Ateniesi e Mitilenei, combattendo pel territorio Achillitide, egli era capitano, e degli Ateniesi Frinone pancratista vincitore olimpico, stabilì di venire a duello con lui; e con una rete che avea sotto lo scudo, avviluppò furtivamente Frinone e l’uccise, salvando il territorio. Però, dice Apollodoro nelle Chroniche, che in seguito nata contesa fra gli Ateniesi e i Mitilenei per quel territorio, fu la causa portata a Periandro, il quale lo aggiudicò agli Ateniesi.
II. Per la qual cosa allora, forte onorandolo i Mitilenei, gli posero in mano il principato. E’ lo tenne dieci anni; e messo ordine alla costituzione depose il comando. Sopravvisse altri dieci anni, e con sagrificii consagrò il campo che gli assegnarono i Mitilenei e che ora nomasi Pittacio. Racconta per altro Sosicrate, che un poco e’ ne distaccasse, affermando, essere la metà maggiore del tutto. E anche non accettò le ricchezze che gli offeriva Creso, dicendo, averne il doppio più ch’ei non bramava: poichè morto il fratello senza figliuoli ne era stato l’erede.
III. Narra Pamfile nel secondo delle Memorie, che il figlio di lui Tirrea, standosi a Cuma seduto in una barbieria, fu da certo calderaio, che gli gittò contro una scure, ucciso; e che i Cumani mandarono l’uccisore a Pittaco, il quale saputa la cosa, lo lasciò in libertà, dicendo: Il perdono essere migliore del pentimento — Eraclito in vece racconta, che avendo nelle sue mani Alceo, ne lo rilasciasse col dire: Il perdono essere migliore della vendetta — Stabilì per leggi: Che l’ubbriaco, se commetta delitto, abbia doppia pena, onde, producendo l’isola molto vino, non vi fossero ubbriachi.
IV. Diceva: Ch’era difficile serbarsi probiFonte/commento: Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/476; la qual cosa ricorda Simonide cantando:
Davvero ch’è difficile esser buono; |
ricorda ciò stesso anche Platone nelFonte/commento: Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/476 Protagora — Che nè pure gli Iddii cozzano colla necessità — E: Che il principato fa veder l’uomo — Interrogato una volta: che vi fosse di ottimo? Far bene le cose presenti — E da Creso: quale fosse il maggiore imperio? Quello, rispose, del vario legno, indicando le leggi — Diceva ancora: Le vittorie doversi ottenere senza sangue — A Focaico, che andava ripetendo, doversi cercare un uomo dabbene: Per quanto il cerchi, disse, nol troverai — A chi il richiese, che cosa fosse grata? rispose, Il tempo — Che oscura? L’avvenire — Che fedele? La terra — Che infedele? Il mare — E diceva: Gli uomini prudenti, prima che nascano le avversità, provvedere perchè non nascano; i forti, quando sono nate, convenevolmente accoglierle — Non dir prima ciò che vuoi fare: imperciocchè, non riuscendo, si riderà di te — Non oltraggiare alla sventura, se hai timore dell’ira divina — Restituisci il deposito ricevuto — Non dir male dell’amico; ma neppure del nemico — Esercita la pietà — Ama la temperanza — Sia teco la verità; la fede; l’esperienza; la sagacità; l’amicizia; l’accuratezza —
V. Tra i versi di lui vanno celebrati in particolare questi:
Aver teco dei l’arco e la faretra
Serbatrice di strali, allorchè ad uomo
T’accompagni malvagio. Il vero mai
Per quella bocca non parlò sua lingua,
Se duplice pensiero il petto asconde.
Compose anche un’elegia di seicento versi, ed una prosa sulle leggi, indiritta a’ cittadini.
VI. Fiorì intorno alla quarantesima seconda olimpiade, e l’anno terzo della cinquantesima seconda olimpiade, sotto Aristomene, morì già vecchio, avendo campato oltre i settant’anni. Sul suo monumento fu scritto così:
Con cittadine lagrime
Lesbo, cui generò, depose il figlio,
O Pittaco, d’Irradio in questa tomba.
L’apotegma di lui è: conosci il tempo.
VII. Vi fu un altro Pittaco legislatore, di cui parla Favorino nel primo delle Memorie, e Demetrio negli Omonimi, il quale anche è appellato il Minore.
VIII. Narrasi che una volta il sapiente, ad un giovine che lo consultava intorno al matrimonio, dicesse ciò che Callimaco racconta negli epigrammi.
Uno stranier d’Atarne interrogava
Così il mitileneo figlio d’Irradio,
Pittaco: doppie nozze, o caro vecchio,
Mi fanno invito; una ragazza pari
A me per la ricchezza e pei natali;
Mi vince un’altra; qual’è meglio? via,
Qual delle due, consigliami, conduco
In matrimonio? — Il suo baston, senile
Arma, innalzato, gli rispose: Vedi
Là chi diratti la parola intera —
Eran garzoni che pe’ larghi trivii
Velocemente fean colle percosse
Le trottole girar — Segni le tracce
Di costor, disse. Ei v’andò presso, ed essi
Dicean: Tira alla pari — Udito questo
Lo straniero s’astenne d’impalmarsi
Nel più ricco casato, dei garzoni
Seguendo il grido: e in picciol casa addusse
Una sposa mediocre come lui.
Fa lo stesso tu ancor — Tira alla pari.
Sembra che la propria condizione gli facesse dire queste cose; poichè sendo la donna sua più di lui nobile, sorella com’era di Dracone di Pentilo, lo trattava con eccessiva alterezza.
IX. Alceo chiama Pittaco: Piedi-largo (σαράπους, σάραπος), perchè avea larghi piedi e li strascinava; Piedi-fesso, (χειροπόδηυ) perchè avea delle fessure (χειράδας ragadi) ne’ piedi, le quali si chiamano setole (χειράδας) Vanitoso poi (γαύριχα), perchè senza cagione inorgogliva; Panciuto (φυσχωυα) e Goloso (γάστρωυα), perchè corpacciuto. Lo chiamava inoltre Cena-al-buio (ζοφοδορπίδαυ), perchè non usava lucerna. Sporco (βρώμικος), perchè infingardo e sordido — Al dire del filosofo Clearco, esercitavasi a macinar frumento.
X. È sua anche questa breve lettera.
pittaco a creso.
„M’inviti a recarmi in Lidia per vedere le tue ricchezze. Ma io sono persuaso, anche senza vederle, che il figlio di Aliatte sia per oro il ricchissimo dei re. Nè col recarci a’ Sardi il saremmo noi davvantaggio, poichè di oro non ho bisogno, anzi posseggo quanto basta anche pe’ miei amici. Verrò nulladimeno onde aver famigliarità con un uomo ospitale“.