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42 | capo iv. |
ch’ei non bramava: poichè morto il fratello senza figliuoli ne era stato l’erede.
III. Narra Pamfile nel secondo delle Memorie, che il figlio di lui Tirrea, standosi a Cuma seduto in una barbieria, fu da certo calderaio, che gli gittò contro una scure, ucciso; e che i Cumani mandarono l’uccisore a Pittaco, il quale saputa la cosa, lo lasciò in libertà, dicendo: Il perdono essere migliore del pentimento — Eraclito in vece racconta, che avendo nelle sue mani Alceo, ne lo rilasciasse col dire: Il perdono essere migliore della vendetta — Stabilì per leggi: Che l’ubbriaco, se commetta delitto, abbia doppia pena, onde, producendo l’isola molto vino, non vi fossero ubbriachi.
IV. Diceva: Ch’era difficile serbarsi prodiFonte/commento: Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/476; la qual cosa ricorda Simonide cantando:
Davvero ch’è difficile esser buono; |
ricorda ciò stesso anche Platone inFonte/commento: Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/476 Protagora — Che nè pure gli Iddii cozzano colla necessità — E: Che il principato fa veder l’uomo — Interrogato una volta: che vi fosse di ottimo? Far bene le cose presenti — E da Creso: quale fosse il maggiore imperio? Quello, rispose, del vario legno, indicando le leggi — Diceva ancora: Le vittorie doversi ottenere senza sangue — A Focaico, che andava ripetendo, doversi cercare un uomo dabbene: Per quanto il cerchi, disse, nol troverai — A chi il richiese, che cosa fosse grata? rispose, Il tempo — Che oscura? L’avvenire — Che fedele?