Vita di Frate Ginepro/Capitolo V
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Cap. V.
ssendo una volta frate Ginepro a Ascesi per la Natività di Cristo allo altare del convento in alte meditazioni, il quale altare era molto bene parato e ornato; a’ prieghi del sagrestano, rimase a guardia del detto frate Ginepro infino che ’l sagrestano andasse un poco a mangiare.-Et istando in divota meditazione, una poverella donna gli chiese limosina per Dio. A cui rispuose cosí: — Aspetta un poco, et io vedrò se di questo altare cosí adornato ti possa dare alcuna cosa. — Era a questo altare un fregio molto singulare, ornato con campanelle d’oro e d’ariento di grande valuta. Dice frate Ginepro: — Queste campanelle ci sono di superchio; e piglia uno coltello, e tutte ne le spicca del fregio, e dàlle a questa poverella per pietade. — Il sagrestano, mangiato ch’ebbe tre o quattro bocconi, si ricordò de’ modi di fra Ginepro, e cominciò forte a dubitare che dello altare cosí ornato, il quale egli avea lasciato in guardia, egli non gliene facesse iscandalo per zelo di caritade. E di súbito si lieva dalla mensa, e vanne in chiesa, e guarda
se lo ornamento dello altare è rimosso, o levato nulla; e vede del fregio tagliate e spiccate le campanelle: di che e’ fu sanza misura turbato e scandalezzato. Frate Ginepro vede costui cosí ansiato, e dice: — Non ti turbare di quelle campanelle perocch’io l’ho date a una povera donna che n’avea grandissimo bisogno, e quivi non faceano utile né nulla, se non ch’erano una cotale pomposità mondana e vana. — Udito questo, il sagrestano di súbito corse per la chiesa e per tutta la città afflitto, se per ventura la potesse ritrovare: ma non tanto trovò lei, ma non trovò persona che la avesse veduta. Ritornò al luogo, et in furia levò il fregio e portollo al Generale, che era ad Ascesi, e dice: — Padre generale, io vaddimando giustizia di frate Ginepro, il quale m’à guasto questo fregio, il quale era il piú orrevole che fosse in sagrestia; ora vedete come l’à sconcio, e spiccatone tutte le campanelle dello ariento, e dice che l’à date ad una poverella donna. — Rispuose il Generale: — Questo non à fatto Ginepro, anzi l’ha facto la tua pazzia; perocchè tu debbi pure oggimai conoscere le sue condizioni: e dicoti ch’io mi maraviglio come non ha dato tutto l’avanzo; ma nondimeno io sí lo correggerò bene di questo fallo. — E convocàti tutti li frati insieme in Capitolo, fece chiamare frate Ginepro: e, presente, tutto il convento, lo riprese molto aspramente delle sopraddette campanelle; e tanto crebbe in
furore, e innalzò la boce, che diventò qui come fioco. E frate Qinepro di quelle parole poco curò e quasi nulla, perocchè delle ingiurie si dilettava, quando egli era bene avvilito; ma per compensazione della infiocagione del Generale, cominciò a cogitare del rimedio. E ricevuta la rincappellazione del Generale, va frate Ginepro alla cittade et ordina e fa fare una buona iscodella di farinata col butirro: e passato un buono pezzo di notte, va e ritorna, e accende una candela, e vassene con questa scodella di farinata alla cella del Generale, e picchia. Il il Generale aperse, e vede costui colla candela accesa e colla scodella in mano, e piano domanda: — Che è questo? — Rispuose frate Ginepro: — Padre mio, oggi quando voi mi riprendevi de’ miei difetti, io vidi che la boce vi diventò fioca, credo per troppa fatica; e però io cogitai il rimedio, e feci fare questa farinata; però ti priego che tu la mangi, ch’io ti dico, che ella ti allargherà il petto e la gola.— Dice il Generale: — Che ora è questa, che tu vai inquietando altrui? — Risponde frate Ginepro: — Vedi, per te è facta; io ti priego, rimossa ogni cagione, che tu la mangi, perocch’ella ti farà molto bene. — Et il Generale, turbato dell’ora tarda e della sua improntitudine, comandò ch’egli andasse via, che a cotale ora non volea mangiare, chiamandolo per nome vilissimo e cattivo. Vedendo frate Ginepro, che né prieghi né lusinghe non valsono, dice cosí:
— Padre mio, poichè tu non vuoi mangiare, e
per te s’era fatta questa farinata, fammi almeno
questo, che tu mi tenga la candela e mangerò
io. — E i1 Generale, come piatosa e divota persona,
attendendo alla pietà e simpricità di frate
Ginepro, e tutto questo facto per divozione, risponde:
— Or ecco, poichè tu pur vuogli, mangiamo
tu et io insieme. — Et amenduni mangiarono
questa iscodella della farinata per una importuna
caritade. E molto piú furono ricreati di
divozione che del cibo. A laude di Jesú Cristo e
del poverello Francesco. Amen.