Viaggio sentimentale di Yorick (Laterza, 1920)/XVIII. Su la via
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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XVIII
SU LA VIA
CALAIS
Non ho, da che vivo, sbrigato piú speditamente d’allora un negozio di dodici ghinee. Il tempo, dopo quell’«addio», m’era grave; vidi che ogni momento si sarebbe pigramente raddoppiato per me fino a che non avessi pigliato le mosse: ordinai sul fatto i cavalli, e m’affrettai verso l’albergo.
— Re del cielo! — esclamai, nell’udire che all’oriuolo della città batteano le quattro, e accorgendomi ch’io mi trovava da poco piú d’un’ora in Calais.
Vedi che gran libro può in sí breve tratto di vita arricchir d’avventure chi s’affeziona col cuore a ogni cosa, e chi, avendo occhi per vedere ciò che l’occasione ed il tempo gli vanno di continuo mostrando a ogni passo del suo cammino, non trascura nulla di quanto egli può lecitamente toccare!
Se non riesce una cosa, riescirà un’altra; né importa: fo un saggio a ogni modo dell’umana natura; la mia fatica m’è premio; mi basta: il diletto dell’esperimento tien desti i miei sensi e la parte spiritosa del mio sangue, e lascia dormir la materia.
Compiango l’uomo che può viaggiare da Dan a Bersabea1, ed esclama: — Tutto è infecondo! — ed è: e tale è l’universo per chiunque non vede quanto ei sarà liberale a chi lo coltiva. — Ponetemi — diss’io stropicciandomi lietamente le mani — dentro a un deserto, e troverò di che farmi rivivere tutti gli affetti: ne farei dono, non fosse altro, a qualche mirto soave; e mi cercherei per amico un malinconico cipresso, corteggerei le loro ombre, e li ringrazierei affabilmente della loro ospitalità; vorrei intagliare il mio nome sovr’essi, e giurerei ch’ei sono i piú amabili fra gli alberi del deserto: se le loro foglie appassissero, imparerei a condolermene; e, quando si rallegrassero, mi rallegrerei con essi. —
Smelfungus, uomo dotto, viaggiò da Bologna-a-mare a Parigi, da Parigi a Roma, e via cosí; ma si partí con l’ipocondria e l’itterizia, ed ogni oggetto, da cui passava, era scolorato e deforme. Scrisse la storia del suo viaggio; la storia appunto de’ suoi miseri sentimenti.
Incontrai Smelfungus sotto il gran portico del Panteo: ei n’esciva.
— La è poi — mi diss’egli — un’enorme arena da galli.
— Non aveste almen detto peggio della Venere de’ Medici! — gli risposi; da che, passando per Firenze, io aveva risaputo che egli s’era avventato alla dea e trattatala peggio d’una sgualdrina, e senza la minima provocazione in natura.
M’avvenni anche in Torino, mentr’egli ripatriava, in Smelfungus; e avea da narrare un’odissea di sciagurate vicende, «ov’ei di casi miserandi dirà per onde e campi, e di cannibali che si divorano, e di antropofagi»2, e che l’avevano scorticato ch’ei ne sfidava san Bartolommeo, e diabolicamente arrostito vivo3 ad ogni osteria dov’ei si posava.
— E lo dirò — gridava Smelfungus, — lo dirò all’universo.
— Ditelo al vostro medico — rispos’io; — sarà meglio4. —
Mundungus e la sua sterminata opulenza percorsero tutto il gran giro, andando da Roma a Napoli, da Napoli a Venezia, da Venezia a Vienna, a Dresda, a Berlino: e non riportò né la rimembranza d’una sola generosa amicizia, né un solo piacevole aneddoto da raccontar sorridendo. Correva sempre diritto, senza guardare né a sinistra né a destra, temendo non la compassione o l’amore l’adescassero fuor di strad5.
Pace sia con loro! se pur v’è pace per essi: ma né l’empireo, se è possibile che si fatte anime arrivino lassú, avrà mai tanto da contentarli. Ogni spirito gentile aleggerebbe su le penne d’Ainore a benedire la loro assunzione; ma svogliatamente ascoltando, le anime di Smelfungus «di Mundungus pretenderebbero antifone di gioia sempre diverse, sempre nuove estasi d’amore, e sempre congratulazioni migliori per la loro comune felicità. Non sortirono, e li deploro cordialmente, non sortirono indole atta a goderne; e fosse pur assegnata a Smelfungus e Mundungus la beatissima tra le sedi del paradiso, ei sarebbero sí lungi dalia beatitudine, che anzi le anime di Smelfungus e di Mundungus vi farebbero penitenza per tutta quanta l’eternità.
Note
- ↑ Dan era l’estrema parte settentrionale, e Bersabea l’estrema australe della terra del popolo di Dio; e nell’Antico Testamento «a Dan usque Betsabee» assai volte significa un lunghissimo viaggio. Regum I et II [F.].
- ↑ Versi di Shakespeare, Otello, atto ii, scena iii, innestati prosaicamente nen testo [F.].
- ↑ Il testo: «bedeviled», «indiavolato»: voce tutta dell’autore e derivata da «devil», «diavolo»; vivanda inglese di carne impregnata di sale, d’aceto acre e di pepe, ed abbronzata su la graticola [F.].
- ↑ Smelfungus, nome che Yorick assegna al dottore Smollet, il quale pubblicò, e non senza lode, la Storia d’Inghilterra, parecchi romanzi, fra’ quali Roderick Random, e le lettere del suo viaggio; ma era scrittore amaro, e rigidamente tristo, e tanto malcontento di tutti, dice un giornale, «ch’ei non la perdonava né ad autori, né a stampatori, né a librai né alle mogli de’ librai». Nella sua lettera 5 marzo 1765, scrive da Nizza: «Il Panteo ha defraudate le mie speranze: pare un’enorme arena da galli senza tetto». Sanno i lettori che i galli in Inghilterra fanno da gladiatori. Quanto alla Venere de’ Medici, Smollet (lettera 28) contende a spada tratta che la non sia altrimenti la statua della dei, bensí di «Frine, quando ne’ giuochi eleusini uscií agli occhi di tutto il popolo nuda fuori del bagno» [F ].
- ↑ Mundungus: Sharp, chirurgo rinomatissimo, il quale, poiché si vide arricchito, lasciò l’arte e viaggiò, ma con l’anima irrigidita dall’arte e dall’età e fors’anche dall’opulenza. E pubblicò certe sue Lettere itinerarie, alle quali Giuseppe Baretti rispose con un libro inglese intitolato The Italians, dove prova che Snarp dimorò per pochi mesi in Italia; che non sapeva sillaba d’italiano; e non avea per la sua nascita e per la sua professione accesso ne’ crocchi signorili; però sparlava, come impostore, di cose ch’egli non poteva conoscere [F.].