Viaggio sentimentale di Yorick (Laterza, 1920)/LXVII. La cena
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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LXVII
LA CENA
Un ferro del piede dinanzi del cavallo delle stanghe schiodavasi a’ primi passi dell’erta del monte Tararo; e il postiglione scavalcò, lo staccò, e se lo serbò nella tasca. E poiché s’aveva a salire per cinque miglia, e questo era appunto il cavallo di cui solo si poteva far capitale, io intendeva che fosse ricalzato di quel suo ferro; ma, avendo il postiglione gittati via tutti i chiodi, poco o nulla poteva allora il martello, di cui era provveduto il mio sterzo: e mi rassegnai a tirare innanzi.
Ma non s’erano superate due miglia dell’erta, quando quel travagliato ronzino, contrastando con uno di que’ passi disastrosi, restò disarmato dell’altro ferro dell’altro piede dinanzi. Non ne volli piú sapere altro, ed uscii dal mio sterzo; e, discernendo a un tratto di trecento passi una casa a mano mancina, volli avviarmivi; ed ebbi di grazia a farmi seguitare dal postiglione. E quanto io piú m’appressava, la prospettiva di quella casa mi veniva riconciliando col mio nuovo infortunio. Consisteva in una cascinetta attorniata da forse sette pertiche a vigna e d’altrettante di campi a biade. Avea prossimo dall’un de’ lati un orto di poco piú d’una pertica, provveduto di quanto mai l’abbondanza può consolare la mensa d’un contadino francese. Prosperava dall’altro lato una selvetta liberale d’ombre al riposo e di legna al focolare.
Il giorno, nell’ora in ch’io giunsi, godeva degli ultimi raggi del sole; onde lasciai che il postiglione provvedesse a’ suoi casi, e a dirittura m’inoltrai nella casa.
E vidi la famiglia d’un uomo attempato con la sua donna, e cinque o sei figliuoli, e generi con le loro spose, e la loro gaia e innocente figliuolanza.
E facevano tutti corona a una minestra di lenti; e un largo pane di fromento stava nel mezzo del desco; e i fiaschi di vino, che v’erano da ogni lato, prometteano di rallegrare ad ogni pausa la cena: era insomma un convito d’amore.
S’alzò il vecchio; e con riverente cordialità m’accoglieva, e pregavami ch’io sedessi a desco con loro (il mio cuore, al primo entrar nella stanza, vi s’era già seduto da sé). Mi vi posi come figliuolo di casa; e, per assumerne quanto piú presto io poteva il carattere, richiesi il vecchio del suo coltello, e mi tagliai una fetta di quel pane; e allor tutti gli occhi mi significarono il benvenuto; ed all’oneste accoglienze di quegli sguardi erano misti i ringraziamenti del non averne io dubitato.
Fu egli questo? (o Natura! dimmelo tu), o fu egli alcun altro il motivo che mi condiva si saporitamente quel pane? o per quale incantesimo ogni sorso del vino, ch’io attingeva da quel loro fiasco, m’imbalsamava di tal voluttà, che io la sento fino a quest’oggi sul mio palato?
E s’ebbi cara la cena, assai piú care mi riescirono le grazie che se ne resero al cielo.