Viaggio sentimentale di Yorick (1813)/XXVIII
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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XXVIII. | AMIENS |
Le parole m’uscíano di bocca, quando trapassò in posta il calesse del conte de L*** e di sua sorella, la quale ebbe appena tempo di farmi un saluto di riconoscimento — anzi un saluto che mi significava, che non era per anche tra noi finita ogni cosa. Ella avea tanta bontà nell’animo quanta negli occhi. Un servo di suo fratello venne,
mentr’io sedeva ancora a cena nella mia stanza con un biglietto in cui ella dicevami: «Che si faceva ardita di raccomandarmi una lettera ch’io recherei di mia mano a madame de R*** la prima mattina che non avessi altro da fare in Parigi:» — e soggiungeva — «che le rincresceva e non sapeva ancor dire per quale penchant, ma pure le rincresceva che le fosse conteso di narrarmi la sua storia; e se ne chiamava mia
debitrice; e se il mio viaggio mi conducesse mai per Brusselle, ed io non mi fossi dimenticato del nome di madame de L*** — madame de L*** si sarebbe volentierissimo sdebitata» —
Sì, ti rivedrò, dissi, anima bella! a Brusselle — quando d’Italia, lungo la Germania e l’Olanda per la via delle Fiandre tornerò a casa mia — dieci poste al più fuor di strada; e siano pur dieci mila! — oh di che voluttà spirituale coronerò allora il mio viaggio, raccogliendo nel mio secreto il dolore de’ lamentevoli casi d’un racconto di sciagura narratomi da sì amabile sconsolata! Vedrò le sue lagrime; nè potrò inaridire la fonte di quelle lagrime! le rasciugherò se non altro (dolcissimo ufficio per me!) dalle guance della prima e leggiadrissima delle donne, e tenendo il mio fazzoletto, mi starò per tutta la sera seduto silenzioso al suo fianco — Desiderio innocente — pur nondimeno io lo rinfacciai immantinente, e con amarissime e rimordenti parole, al mio cuore.
So d’aver detto a’ lettori ch’io per grazia singolare del cielo vivo quasi dì e notte misero servo d’amore. Or, poichè — mentr’io voltava improvviso una cantonata — la mia ultima fiamma dal vedere al non vedere si spense d’un soffio di gelosia, la raccesi, e correa già il terzo mese, alla candida face d’Elisa — giurando che arderebbe per tutto il mio viaggio — ma perchè dirò timidamente la verità? — giurai fedeltà eterna — però tutti gli affetti miei erano di ragione d’Elisa — e dividendoli io gl’indeboliva — cimentandoli, io li mettea a repentaglio — al cimento sta sempre allato la perdita — e che potresti più, Yorick! che mai potresti rispondere a un cuore tutto pieno di lealtà e di fiducia — sì generoso e sì candido, e incapace perfino di rinfacciarti?
— No; non andrò a Brusselle, diss’io interrompendomi — ma questo era poco alla mia fantasia — e mi ricordava le occhiate d’Elisa nel frangente della nostra separazione, quando nessuno de’ due aveva cuore di dire addio, — io contemplava il ritratto che le mani d’Elisa appendevano con un nastro nero al mio collo — e contemplandolo io arrossiva — avrei data l’anima per poterlo baciare — ma io arrossiva — e questo tenero fiore, dissi chiudendolo fra le mie mani, sarà calpestato fino alla sua radice — e calpestato, Yorick, da te! da te, che hai promesso di proteggerlo nel tuo seno?
Eterna fonte di felicità! dissi inginocchiandomi a terra — siimi tu testimonio — e teco mi sia testimonio ogni spirito casto che tu disseti e consoli — non andrò a Brusselle, se Elisa non m’accompagna; no; quand’anche per quella strada s’arrivasse ne’ cieli.
Il cuore ne’ suoi trasporti, vuole sempre, a dispetto della ragione, dir troppo.