Viaggio sentimentale di Yorick (1813)/LXVII

LXVII. La Cena

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Laurence Sterne - Viaggio sentimentale di Yorick (1768)
Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
LXVII. La Cena
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LXVII. LA CENA

Un ferro del piede dinanzi del cavallo delle stanghe schiodavasi a’ primi passi dell’erta del monte Tararo; e il postiglione scavalcò, lo staccò, e se lo serbò nella tasca. E poichè s’aveva a salire per cinque miglia, e questo era appunto il cavallo di cui solo si poteva far capitale, io intendeva che fosse ricalzato di quel suo ferro; ma avendo il postiglione gittati via tutti i chiodi, poco o nulla poteva allora il martello di cui era provveduto il mio sterzo: e mi rassegnai a tirare innanzi.

Ma non s’erano superate due miglia dell’erta, quando quel travagliato ronzino, contrastando con uno di que’ passi disastrosi, restò disarmato dell’altro ferro dell’altro piede dinanzi. Non ne volli più sapere altro; ed uscii dal mio sterzo; e discernendo a un tratto di trecento passi una [p. 216 modifica]casa a mano mancina, volli avviarmivi; ed ebbi di grazia a farmi seguitare dal postiglione — E quanto io più m’appressava, la prospettiva di quella casa mi veniva riconciliando col mio nuovo infortunio — Consisteva in una cascinetta attorniata da forse sette pertiche a vigna e d’altrettante di campi a biade. Avea prossimo dall’un de’ lati un orto di poco più d’una pertica, provveduto di quanto mai l’abbondanza può consolare la mensa d’un contadino francese — Prosperava dall’altro lato una selvetta liberale d’ombre al riposo, e di legna al focolare.

Il giorno nell’ora in ch’io giunsi godeva degli ultimi raggi del Sole — onde lasciai che il postiglione provvedesse a’ suoi casi, e a dirittura m’inoltrai nella casa.

E vidi la famiglia d’un uomo attempato con la sua donna, e cinque o sei figliuoli, e generi con le loro spose, e la loro gaja e innocente figliuolanza.

E facevano tutti corona a una minestra di lenti: e un largo pane di fromento stava nel mezzo del desco: e i fiaschi di vino che v’erano da ogni lato prometteano di rallegrare ad ogni pausa la cena — era insomma un convito d’amore.

S’alzò il vecchio; e con riverente cordialità [p. 217 modifica]m’accoglieva e pregavami ch’io sedessi a desco con loro — il mio cuore, al primo entrar nella stanza vi s’era già seduto da sè — mi vi posi come figliuolo di casa; e per assumerne quanto più presto io poteva il carattere, richiesi il vecchio del suo coltello; e mi tagliai una fetta di quel pane, e allor tutti gli occhi mi significarono il ben venuto; ed all’oneste accoglienze di quegli sguardi erano misti i ringraziamenti del non averne io dubitato.

Fu egli questo? — o Natura! dimmelo tu — o fu egli alcun altro il motivo che mi condiva si saporitamente quel pane? — o per quale incantesimo ogni sorso del vino ch’io attingeva da quel loro fiasco, m’imbalsamava di tal voluttà che io la sento fino a quest’oggi sul mio palato?

E s’ebbi cara la cena — assai più care mi riescirono le grazie che se ne resero al cielo.