Viaggio intorno alla mia camera/Capitolo XXIV
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Traduzione dal francese di Giuseppe Montani (1824)
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CAPITOLO XXIV.
Non so come sia, che da poco in qua i miei capitoli finiscono tutti in tuono lugubre. Indarno, cominciandoli, io fisso i miei sguardi in qualche oggetto aggradevole: — invano io m’imbarco in tempo di calma, che bentosto soppravviene la burrasca, onde io son tratto così lungi da riva. — Per metter fine a questa agitazione, che non mi lascia arbitro delle mie idee; e calmare i battimenti del mio cuore, che tante immagini commoventi hanno eccitato, io non voglio altro rimedio che una dissertazione. — Sì, io voglio mettere questo pezzo di ghiaccio sul mio cuore.
E questa dissertazione sarà sulla pittura; poiché su tutt’altro oggetto non saprei. Come discendere affatto dal punto ove pur dianzi mi era inalzato? Altronde essa è il Dada di mio zio Tobia.
Vorrei dire, così di passaggio, alcune parole sulla questione della preminenza dell’arte incantatrice di esprimere col pennello le umane forme, e di quella d’esprimere colla musica gli affetti: — sì qualche cosa io vorrei pur mettere in bilancia, non fosse che un grano di arena, un atomo.
Dicesi in favor del pittore ch’ei lascia qualche cosa dopo di sè; che i suoi quadri gli soppravvivono ed eternano la sua memoria.
Si risponde che i compositori di musica lasciano anch’essi opere e concerti. — Ma la musica è soggetta alla moda, e la pittura non è. — I pezzi di musica, i quali intenerirono i nostri padri, sono ridicoli per dilettanti d’oggi giorno, e s’inseriscono nell’opere buffe per far ridere i nipoti di quelli, a cui fecero un tempo sparger lagrime.
I quadri di Raffaello formeranno la meraviglia de’ nostri posteri, come già fa formarono de’ nostri padri.
Ecco il mio grano d’arena.