Versi sciolti dell'abate Carlo Innocenzio Frugoni/14
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AL SIG. CO: CARLO BARATTIERI
Riavutosi dalla Febbre, e intervenuto alla prima Recita del Dramma intitolato li Fratelli riconosciuti.
QUella, che ti facea, parte per ira,
E parte per timor batter sovente
La man fu l’anca, e maledir tua sorte
Febbre importuna, pur qual nebbia al Sole
5Si ruppe, e si disperse, e Dio fa dove
Seco portò la pallidezza, e il gelo,
E l’aspra sete, gl’inquieti moti,
E le nemiche del soave Tonno
Affannose vigilie. Ita pur folle
10Le vene a contristar di sozzo avaro.
Che ingiusto Possessor ripon fotterra
Il cumulato argento, inutil malfa,
O a sparger foco ne l’ignobil sangue
Di chi, ricco de i doni di Fortuna
15Lascia languir su le superbe foglie
L’arti mendiche. Ma per mio contento
Bastimi, Amico Barattieri, ch’ella
Più teco non soggiorni. Avrai pur ora
Ritinta in rosso, e del cresciuto, e mesto
Pel ripulita l’una, e l’altra guancia?
Il primo lume a gli occhi, il vigor primo
Sarà tornato a le ginocchia? ed altro
A regal mensa gusterai, che ingrate
Polveri, ed acque, che per torto vetro
A goccia a goccia lagrimaro, e prezzo
Trasser da i vani speciosi nomi,
E da la nostra in van credula speme?
Te pur vide il Teatro avide orecchie
Porgere al canto, che sì vario, e dolce
Da le canore emole bocche uscia.
Dimmi, dov’eri allor, non ti parea
Che ineffabil dolcezza, quasi fiume
Repente l’alma t’inondasse, e i sensi?
E se pur qualche non ben vinto avanzo
Di febbre ancora ti scorrea le fibre,
Non lo vinse il piacer, che ratto corse
Tutti a dettar tuoi spiriti vitali,
E limpidi, e vivaci li condusse
Di vena in vena, e gli ordinò nel core?
Certo quello fu il dittamo, che indarno
Ne l’arte fua cerca Galen, ne’l trova:
Quello il balsamo fù, che ti disciolse
Dal tuo languore, e a sanità ti rese.
Finchè pronto tu l’hai, fanne buon’uso,
E la tua vita ne provvedi, come
Cauta formica, finchè il tempo è destro,
Sotto l’ardente sol l’Aja scorrendo
Quanto più può de la recisa Messe
Tragge col morso, e de la rea stagione
Memore, accresce il custodito acervo.
Goditi queste notti al Genio sacre,
E contra i foschi dì, che seco puote
Trar l’avvenire, e il variar del Fato,
D’incessante diletto empiti il seno,
E ne imprimi la Mente. È dolce cosa
Ne i tristi eventi rammentare i lieti,
E distogliendo da i pensier funesti
L’afflitto cor quasi ingannar sua pena,
E se qualche ridente alba t’invita
A respirar le prime aure del giorno
Per genial passeggio, a me t’invia,
Che come soglio, t’offrirò rifioro
D’odorosa bevanda alto spumante
Su belle tazze, che il Cinese industre
Con arte ignota al Lazio orna, e colora.