Varenna e Monte di Varenna/Secolo XVIII/La Rivoluzione francese
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LA RIVOLUZIONE FRANCESE
La grande rivoluzione non turbò granchè la vita semplice e tranquilla dei nostri due villaggi.
Tanto a Varenna come a Perledo, si volle inscenare la cerimonia dell’erezione dell’albero della libertà, ma non vi fu alcuna scossa violenta nella vita sociale degli abitanti, i quali fatti sparire i vecchi stemmi, adottarono senza difficoltà le nuove formole politiche e burocratiche, si compiacqueroFonte/commento: 526 di darsi del «cittadino» e si adattarono facilmente a passare dal regime austriaco a quello francese. Se non che non tardarono ad accorgersi che dietro alle aure di libertà venute dalla Francia, si addensavano le procelle della guerra.
In un processo verbale redatto a Perledo il 16 giugno 1796 si legge: «In adempimento del proclama del giorno 22 Pratile, anno IV della Repubblica Francese, emanato dal Generale di Brigata D’Espinoy, stato affisso, premesso il suono delle campane, dal Sindaco Bartolomeo Ongania, al luogo solito, sito nella piazza nanti la chiesa Plebana di Perledo, alle ore 20 del giorno di ieri 15 giugno, si sono prestati li sottoscritti a fare l’esato Inventario dell’oro ed argento e di altri effetti appartenenti alla sovradetta Chiesa, benefici ed oratori figlioli»1.
Nel 1796 compaiono sul lago di Como grosse barche armate di cannoni e montate da soldati francesi. Nel decreto delli 27 novembre 1796, del generale Baraguey di Hillières, comandante la Lombardia, è detto che «le barche armate non sono istituite per impedire la libera navigazione, ma bensì per andare incontro alle frodi che si commettono in pregiudizio del pubblico interesse e dei diritti di finanza».
Queste barche che facevano stazione a Varenna, vennero più tardi soppresse perchè troppo pesanti, e non riuscivano a raggiungere le barche dei contrabbandieri in corsa.
Ma altre barche armate troviamo sul lago nel 1799 per sostenere le operazioni militari degli Imperiali.
Il commissario Giovanni Gattoni di Como venne a Varenna e requisì tutte le navi disponibili coi relativi barcaroli.
Nel 1799 la Brigata Dessoles, composta per metà d’Italiani comandati da Lechi, chiamato dalla Lombardia ad assecondare il movimento delle truppe francesi contro le armate coalizzate che operavono nell’Engadina e nel Tirolo, entrava in Valtellina dal lago di Como.
Il passaggio delle truppe per Varenna, in quell’anno e nei sucessivi fu così forte, che il comune dovette contrarre debiti per provvedere agli alloggiamenti: «Premesso che la comune di Varenna per la di lei località siasi trovata più d’ogni altra esposta al passaggio e stazioni di vari corpi di truppa, e che abbia dovuto sostenere grandiose spese, tanto in trasporti che in somministrazioni d’ogni genere.
Premesso che attesa l’assoluta impotenza della cassa comunale, esausta di mezzi per le fazioni militari sostenute antecedentemente per non compromettere il regolare servizio dell’armata e la sicurezza della propria comune abbiano i di lei rappresentanti ricercata una sovvenzione in tutto di lire 750 che trovarono nella persona del fu cittadino Pietro Aureggi e sotto i patti ed obblighi risultanti dalle scritture dell’11 settembre 1799 e 30 giugno 1800 che in originale s’inseriscono...»2.
Nel 1799 Varenna ebbe a ospitare un personaggio politicamente molto importante, per quanto poco degno, G. B. Sommariva, che già aveva fatto parte dell’Amministrazione generale della Lombardia, ed era stato presidente della Municipalità, e che, coi denari, guadagnati in disonesti traffici, si costrusse la gemma delle ville sul lago di Como, che è conosciuta, ancora oggi, col nome di Villa Sommariva o Villa Carlotta.
Il Sommariva, ligio ai Francesi, all’approssimarsi delle truppe austrorusse fuggì da Milano, e si rifugiò a Varenna, ospitato da Giov. Battista Venini.
Chi ci da notizie della fuga del Sommariva a Varenna è Santino Pirelli in una sua lettera del 15 luglio 1814 al conte di Bellegarde commissario Plenipotenziario e Presidente della Reggenza di Governo, nella quale sono contenute altre curiose informazioni.
«Egli è manifesto» scrive il Pirelli «che l’ardente desiderio del Popolo Italiano di ritornare sotto l’Impero del suo antico Sovrano Austriaco era proveniente dai vantaggi che ha sempre goduto sotto lo stesso per lo passato, sperandoli similmente anche in avvenire nel veder rovesciati i grandi abusi nuovamente introdotti dal Governo Francese ed Italiano per le differenti leggi e regolamenti, si pel governo della comunità che per la coscrizione militare, per la procedura civile giudiziaria, uffici dei Boschi, dei Registri, Prefetture etc, per cui si sono resi necessari innumerabili salariati che per pagarli fa d’uopo quasi tutte le rendite dello Stato, che poi spendono più per oggetti intemperanti, che per altri di comune utilità; cosicchè presso gli altri sudditi non vi restan denari ai poveri per riparare i loro necessari bisogni, ed ai ricchi per poter fabbricare nelle diverse città e Ville onde dare il moto al commercio ed alle manifatture, già da tanto tempo quasi totalmente estinte.
Ciò che fa terrore e che tien sospesa la suddetta speranza generale si è nel veder confirmati nei pubblici impieghi, sebbene provvisoriamente, quei medesimi individui che furono scelti tra le persone più astute anzichè savie, oneste o giuste le quali sul timore che le truppe delle Alte Potenze Alleate entrassero nello stato a forza d’armi gran parte conoscendo il suo mal operato, eransi preparati per fuggire; ma fortunatamente avendoli la Sovrana politica confinati ciascuno nei suoi posti, si lusingano perciò d’essere per sempre rimpiazzati quindi avviene che si fanno dei certificati di buoni costumi e di ben serviti gli uni e gli altri, di modo che se lo stesso Sovrano, o chi ne fa le veci prestasse ad essi fede, non si verrebbe mai a capo di dare ai Popoli dei buoni Amministratori, secondo la sempre retta intenzione del Sovrano medesimo, poichè è chiaro che essendosi debitori fra essi dei loro posti, faranno ogni sforzo per sostenersi anche in avvenire si pel gran vantaggio che ne hanno ricavato, come per non dover dar conto delle loro azioni ed altri che non siano del loro tenore.
Ciò che mi ha spinto a scrivere la presente sono li differenti maneggi che pubblicamente si osservano in questi contorni, si intorno a quanto sopra come in altre circostanze, ed eccone un esempio, cioè due Rimostranze l’una del povero Antonio Maria Brenta, e l’altra del Signor Giov. Battista Venini amendue di Varena, dirette a V. E. furon ritornate alla Municipalità di Varena stessa per la di lei informazione intorno all’esposto nelle medesime, la quale sebbene fosse cognita delle ingiustizie e dei danni sofferti dal medesimo Brenta, non si è degnata fin’ora di riferire la verità, ma piuttosto in contrario. Viceversa rispetto all’informazione sulla Rimostranza del Venini, dicesi che l’abbiamo fatta datare da lui medesimo, quando che in queste parti è pubblicamente notorio che lo stesso Venini intorno a quanto ha riferito, se si osserva la verità non può avere alcun merito, poichè l’anno 1799 quando entrarono in questo Stato le Armate Austro-Russe, esso non occupava nessuna Carica municipale, nè nella Guardia Nazionale che si mosse contro le truppe Francesi di cui io sottoscritto era il Capitano, e fui sempre alla testa delle medesime come meglio proverò a tempo opportuno, ed il detto Venini altro non fece che portarsi avanti ai superiori delle dette armate falsamente persuadendogli d’essere egli il Capo per quindi essere premiato, e come infatti portò una medaglia d’oro di onore, una nello stesso tempo che si fingeva propizio al Governo Austriaco teneva nascosti presso di sè i di lui principali nemici, tra quali il S. Sommariva che poi dopo il reingresso dei Francesi in Italia occupò la prima carica del Governo e il detto Venini lo spedì in tempo di notte per Como da Federico e Rinaldo fratelli Scanagatta di Varena stessa che lo attestarono, ed egli essendosi poi ritirato a Venezia circa un anno, dicesi per ordine del medesimo Sommariva, ritornò a casa propria senza nessuna molestia, ed anzi segretamente premiato»3.
Che il Santino Pirelli, e il di lui padre Natale, fossero contro i Francesi, lo prova anche la seguente denuncia colla quale si accusa anche Giovanni Battista Venini di parteggiare per gli Austriaci.
Repubblica Cisalpina, anno viii.
«Pirelli Natale e il di lui figlio Santino, oltre all’essere partitante del Governo Austriaco furono i primi che si armarono contro li Francesi all’ingresso degli Austriaci. Causarono l’arresto ed un lungo carcere ad un certo Camperone di Lierna.
Erano spie dichiarate dell’inallora Podestà di Lecco Gian Battista Cetti, ed a causa delle loro disposizioni vennero causati non pochi danni a dei patrioti.
Costoro in occasione portaronsi in Colico armati contro li Francesi derubarono li stessi Francesi di granalia e grassino e polvere convertendo il tutto a propri casi.
Furono li primi ad estirpare l’albero della libertà in Varenna. Segretamente poi Natale Pirelli si dimostrò un denso partitante Austriaco, essendosi portato in Dervio quale condottiero di un corpo di soldati austriaci, distribuì in esso locale delle coccarde austriache, avendo obbligato per il primo a porre nel cappello una d’esse coccarde il cittadino Gerolamo Schenardi.
Come quello finalmente che millantossi pubblicamente di avere degli ordini e perfino della firme in bianco del principe di Rohan, Venini Gian Battista, oltre ad essere partitante come sopra, fu quello che si mise alla testa di tutti li armati nella Riviera superiore qualificandosi Commissario Imperiale incaricato dell’inallora Principe di Rohan.
Fu quello che scortò sempre il predetto Cetti nei viaggi sul lago, che faceva tutte le requisizioni di barche avendo per benemerenza ottenuto una medaglia degli Austriaci che portava appesa sul petto»4.
È noto che durante la temporanea occupazione austra-russa della Lombardia vari cittadini ligi al governo francese dovettero riparare in Francia. Nell’elenco dei Cisalpini rifugiatisi a Grenoble, troviamo Gaspare Pirelli di Varenna incisore in legno, sottufficiale delle Guardie Nazionali di Milano.