Vangelo di Nicodemo/Avvertimento
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volgarizzato nel buon secolo della lingua
e non mai fin qui stampato (II secolo)
Traduzione dal greco di Anonimo (XV secolo)
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AVVERTIMENTO
Il Passio o Vangelo di Nicodemo (noto anche sotto il titolo di Acta Pilati) è una narrazione di fatti precedenti e susseguenti alla morte del nostro Redentore. Quantunque in molte parti si trovi conforme a quella lasciataci dagli Evangelisti, devesi ritenere per commentizia; e tra i libri apocrifi del Nuovo Testamento la pubblicò nel testo latino il dotto Fabricio. A lui rimando chi volesse conoscere i pareri e le critiche che ne furono scritte da’ tempi di san Giustino martire fino al secolo decimosettimo; bastandomi d’accennare, che se ne conosce il testo greco (traduzione dell’originale ebraico), che se ne hanno stampe molto antiche, e versioni in varie lingue.
Nel nostro volgare, stando al Lami (De eruditione Apostolorum, pag. 636), non si conosceva che una parafrasi di questo Passio, in un codice Riccardiano: e veramente nel manoscritto cartaceo, anticamente segnato P. iii, n. xiv, e odiernamente n. 1362, sta dalla carta 16 alla 26 El Vangielo di Nicchodemo, o più tosto un sunto di quel Vangelo, diviso in queste sette rubriche:
» 1. Come sapete, che dicie santo Giovanni evangielista, che molti segni e cose fecie Iesù nel cospetto de’ disciepoli suoi.
» 2. Delle dodici bandiere che inchinarono al nostro Signiore Iesù Cristo, secondo Nicchodemo.
» 3. Di Dionigio Ariopagita, secondo Niccodemo, che disse di nostro Signiore.
» 4. Della resurrexione di Iesù Cristo, secondo Nicchodemo.
» 5. Di tre uomini che vennono in Gierusalem al tenpio a adorare, secondo Nichodemo.
» 6. D’Allexandro e di Ruffo, secondo Niccodemo: come quelli tre huomini gli vidono, e dissollo a’ Giudey.
» 7. Quello che Allexandro e Ruffo scrissono, e altre cose del nostro signiore Iesù Cristo; et come andò al Limbo. »
A me venne fatto, or sono molti anni, di trovare il volgarizzamento del Passio o Vangelo di Nicodemo in un codicetto del secolo xv, posseduto dal signor Giovanni Geppi di Prato, che si compiacque di lasciarmene trar copia. Non vi feci però veruno studio, perchè non mi passò mai per la mente di darlo in luce: ma essendomi stato richiesto per questa Scelta di curiosità letterarie, ho voluto prima raffrontarlo col testo edito dal Fabricio. Il confronto mi ha portato a mettervi qualche nota; e mi ha pur dato a vedere come al volgarizzamento del codice pratese (che ben m’era accorto esser mutilo) manca poco meno d’un terzo. Le biblioteche di Firenze, ove stiamo ai cataloghi, non ci offrono che un testo Magliabechiano; ch’è il codice 8 della classe XL, cartaceo, e scritto sulla fine del secolo XV: ma quella versione è diversa, meno antica e peggiore, divagante dal latino, e appunto sul finire molto abbreviata. Piuttosto che supplir così male al difetto, ho preferito di lasciare in tronco: tanto più, che nei primi due terzi sta il meglio.