Una politica agraria nel segno di Pulcinella/VI
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- tratto da: Spazio rurale, L, n. 12, dicembre 2005
L’Italia pretende il primato mondiale della produzione di supreme specialità enogastronomiche? A Bruxelles tutti i nostri partner sarebbero impegnati, secondo un osservatore dalla lunga esperienza nella capitale dell’agricoltura europea, a lusingare le vanità dei nostri ministri agricoli: il vostro futuro di venditori planetari di lardo di Colonnata è sfolgorante! Non preoccupatevi di latte, carne bovina e cereali: mentre voi propagandate prelibatezze, a rifornire i vostri supermercati pensiamo noi.
“Che belle penne avete, messer Corvo: sono certamente le più belle di cui si rivesta qualunque uccello!” Dal suo ramo il corvo annuì. “E il vostro becco! Che bel colore! Che potenza! Tutti gli animali debbono invidiarvi!”
Era la favola preferita della nonna, appassionata di La Fontaine, di cui raccontava i fabliaux in buon francese, ridendo candidamente quando giungeva alla conclusione : “Ma la vostra voce! Che bella voce, messer Corvo! Sapeste come desidererei ascoltarla! Dovete usarmi tanta cortesia!” Il corvo gracchiò, e come sanno tutti i bambini cui la nonna racconta La Fontaine, il formaggio che teneva nel becco cadde ai piedi della volpe.
L’antico fabliau si è imposto, con prepotenza, alla mia fantasia mentre un amico, una lunga esperienza a Bruxelles, con il cui milieu conserva buoni legami, mi spiegava, dopo avermi fatto giurare che non avrei tradito la fonte della rivelazione, che da quando, ai tempi di Paolo de Castro, a Bruxelles i nostri partner hanno percepito l’orgoglio italico per il lardo di Colonnata e il pecorino di fossa, si sarebbero impegnati nella più appassionata opera di rafforzamento dei convincimenti più cari ai responsabili agricoli del Bel Paese. “ Il vostro Etna rosso è il migliore vino della Terra! Tutti se ne dovranno accorgere! Lo potrete vendere ai nababbi cinesi e ai petrolieri russi!” avrebbero proclamato ministri danesi e francesi all’amico De Castro, i primi pensando al mercato italiano dei maiali, i secondi all’immensa voragine del nostro deficit di cereali. “Il Parmigiano è il più fantastico formaggio del Mondo! Un giorno se ne accorgeranno tutti i buongustai del Pianeta, e ne venderete quantità astronomiche!” avrebbe assicurato qualche ministro tedesco all’amico Pecoraro Scanio, pensando all’immensità delle importazioni italiane di latte alimentare. “La vostra pasta è il più prelibato dei piatti della cucina internazionale! I gusti stanno evolvendosi: presto nessuno mangerà pasta diversa da quella made in Italy!” avrebbe garantito qualche ministro inglese all’amico Alemanno, sapendo che investendo in ricerca genetica si può fare nel Kent grano duro migliore di quello pugliese, e che la pasta italiana apre al frumento inglese prospettive esaltanti.
Tutti d’accordo, quindi, a Bruxelles, sul fulgido avvenire delle specialità enogastronomiche italiche, delizia degli intenditori di tutti i continenti, tutti pronti a fornire l’Italia, impegnata a perseguire i fati del lardo di Colonnata, treni di carne bovina e suina, di burro, di cereali e, sempre più, di patate e arance.
Dopo avermi fatto rinnovare il giuramento al segreto l’amico con antica dimestichezza con il milieu di Bruxelles mi confida di avere udito, nelle stanze segrete in cui si governa l’agricoltura europea, dichiarazioni benevole verso il bando contro la ricerca genetica sancito, in pratica, dai ministri italici devoti dei salamini al tartufo. Un paese che vanta le più straordinarie specialità gastronomiche del Globo deve essere capito quando proclama che la diffusione di piante modificate dall’ingegneria genetica potrebbe nuocere al suo prestigio di tutore della tradizione, della genuinità, della sapidità naturale. Se l’Italia chiedesse, come auspicano coloro che ne governano, da tre lustri, l’agricoltura, l’esonero dall’obbligo di coltivare organismi modificati, perché opporsi? Non è giusto che i produttori dei più straordinari formaggi e salumi del Mondo si preoccupino di non turbare la fiducia dei futuri clienti cinesi, degli eventuali clienti russi, dei possibili clienti indiani? Naturalmente mentre i produttori italiani di specialità gastronomiche attendono il primo acquisto dei clienti prossimi venturi, la contrazione della produzione italiana di mais, senza ricerca genetica un evento sicuro e vicino, assicurerebbe un mercato fantastico ai coltivatori francesi di cereali. Ma non a tutti è dato di conquistare il mondo con il pecorino di fossa, e chi debba accontentarsi di produrre mais è legittimo rifornisca il vicino impegnato in imprese tanto più gloriose.
Convinti dell’incomparabile qualità delle nostre specialità, gli alfieri del futuro gastronomico nazionale si sono impegnati in battaglie campali per la “rintracciabilità” e l’etichettatura, con la conseguenza di imporre ai clienti dei supermercati, in un paese che non produce che metà della carne che consuma, la dimostrazione, lo prova l’etichetta, che la carne danese è migliore di quella italiana, che l’olio di Creta, pure costando meno, vale il miglior olio toscano, che gli agnelli rumeni, venduti alla metà, non sono inferiori all’abbacchio romano, come saranno eccellenti, domani, i pecorini bulgari e gli arance turche.. Ma la nostra agricoltura deve mirare a rifornire, con le proprie straordinarie specialità, ai più alti prezzi possibili, la top class dei consumatori del Globo: magnati russi e nababbi cinesi, che un giorno, tutti ce lo ripetono, dovranno convincersi a comprare le gourmandises made in Italy. E mentre continueranno a riversare cereali, latte, carne e zucchero oltre le frontiere italiane, i colleghi dei nostri responsabili agricoli, del professor De Castro, dell’avvocato Pecoraio Scanio e dell’ingegner Alemanno, continueranno a confortarli, rassicuranti: “ Le vostre penne, messer Corvo, sono le più belle di tutti gli uccelli, il vostro becco il più forte, e la vostra voce, che voce meravigliosa! Usate tanta cortesia: fatecela sentire!”