Una famiglia di topi/Capitolo terzo

Capitolo terzo

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CAPITOLO TERZO



n giorno la contessa Sernici e i suoi bambini erano a colazione; e c’erano anche i due topi, perchè la piccola Rita s’era messa in testa d’insegnare alle sue bestioline le regole della buona creanza.

La Letizia portò in tavola delle uova affogate, in un bel vassoio d’argento; e subito la Caciotta e Ragù, che la fame a quell’ora la vedevan per aria, vi corsero sopra, senza punto aspettare d’esser serviti. Ma il vassoio [p. 32 modifica]era caldo, e i topini si dovetter tirare addietro con le zampine scottate.

— Poverini! esclamò la bambina, vedendo che le sue bestioline badavano a leccarsi in fretta e in furia le zampe, per lenirne il frizzore.

― Via, via, il male non è poi tanto grande! — disse la signora. — Così impareranno un’altra volta a non servirsi da sè; che non istà bene. Infatti la Caciotta e Ragù se ne stavano acquattati, girando gli occhietti brillantini ora su l’uno ora su l’altro de’ loro padroni; e quando un ovo intero fu posto nel loro piattino, vi s’accostarono piano, con garbo; appoggiaron le zampine su l’orlo, come due persone a modo, l’uno da una parte, l’altra dall’altra, e cominciarono a mangiare adagino adagino, senza mostrarsi troppo avidi, appunto come vedevano fare a Rita e a Nello.

— Che avete fatto oggi a scuola, ragazzi? [p. 33 modifica]— domandava intanto la contessa a’ suoi figliuoli.

— Un po’ di tutto, mamma, rispose la Rita. La maestra ci ha spiegato la divisione; poi ci ha fatto ripetere la lezione di ieri su le regioni d’Italia; poi ci ha dato il tema del componimento per domani.

— E tu, Nello?

— Io ho fatto l’asino — disse Nello, ch’era un po’ burlone.

— Come sarebbe a dire?

— L’asino, sicuro, l’asino; o che c’è di male? — L’asino — cominciò egli con voce alta e monotona, imitando i ragazzi che imparano la lezione come i pappagalli — è un animale domestico, il più paziente di tutti, che serve all’uomo..., un animale domestico..., il più paziente di tutti....

— Ohe, ohe, che cos’è questa storia? — saltò su a dire la contessa, aggrottando le ciglia. [p. 34 modifica]

— Scherzo, mammina, disse Nello avvolgendo un braccio intorno al collo della sua mamma, per rabbonirla. — Gli è che oggi avevamo davvero la lezione di nomenclatura; e appunto su l’asino.

— Sai bene che non si scherza con le cose di scuola. La scuola dev’esser sacra come la chiesa.

― Non lo farò più, mamma, — promise Nello un po’ mortificato, abbassando gli occhi sul piatto.

In quel momento la Letizia, che doveva portar il caffè e latte co’ panini imburrati per la fine di tavola, entrò tutta turbata nella sala da pranzo, e domandò alla padrona:

— Perdoni, signora contessa: li ha presi lei i tovaglioli per il caffè e latte?

— Io, no — rispose la signora. E soggiunse: — O che si sono smarriti?

— Mah!... io non ci capisco nulla. Gli avevo [p. 35 modifica]messi nel cassetto di sotto della credenza, e non mi riesce più di trovarli.

— O come va questa faccenda? Basta, porta il caffè e latte: i tovaglioli si cercheranno; intanto, prendine degli altri in guardaroba. —

La donna portò il caffè e latte; ma scappò in fretta a cercare i tovaglioli che mancavano. Dove potevano essere andati? Lei avrebbe giurato che di lì non gli aveva mossi; e pure non c’erano! E non era entrato nessuno, nessuno! Proprio, era il diavolo che ci metteva la coda! E frugava, e rimescolava, e buttava tutto per aria: tempo perso!

Quando la contessa Sernici e i suoi figliuoli si furon levati di tavola, la contessa andò a cercare la Letizia, e le chiese:

— Be’, gli hai poi ritrovati questi tovaglioli?

— Signora mia, non me ne parli: io, proprio, mi ci sbattezzerei! — [p. 36 modifica]

La signora conosceva la Letizia per incapace di commettere una cattiva azione; ma d’altra parte non voleva nè anco ch’ella fosse così sbadata da non sapere dove avesse messa la roba che le era stata data in consegna; così che fissò la donna severamente, e le disse:

— Guarda bene di ritrovare que’ tovaglioli, perchè mi dispiacerebbe assai d’aver affidata sinora la casa a una mosca senza capo.... Tu sai se te ne voglio, del bene; ma intendo che al mio servizio ci sia della gente che sappia dove ha la testa. —

All’udire quelle parole della sua buona padrona, la Letizia non potè più tenersi, e diede in un dirotto pianto. La contessa stette a guardarla un momento; e vedendola così afflitta e smarrita, non ebbe cuore di rattristarla di più.

— Via — disse — che c’è da piangere? Una volta si può sbagliar tutti. Animo, su: [p. 37 modifica]cerchiamo insieme. Ma sei poi certa di aver riposti que’ tovaglioli nella credenza?

— Sì signora;... — rispose la donnasinghiozzando.

In quel momento s’udì Nello gridare dall’altra stanza:

— Mamma! mamma! vieni a vedere! —

La signora, non sapendo di che si trattasse, accorse subito; e trovò Rita e Nello che accoccolati davanti a un cantuccio della sala, tutto nascosto da una tenda pesante di velluto paonazzo, si tenevano i fianchi dal ridere.

— Che c’è? — domandò la signora.

— Guarda, guarda, mammina! —

La contessa si curvò, e vide la Caciotta tutta affaccendata a tirar dentro con le zampine e co’ denti qualcosa di bianco che strascicava per terra.... Guardò bene: era un de’ famosi tovaglioli.... Alzò la tenda: c’eran lì dietro, tutti! [p. 38 modifica]

— Ah, brutta ladra! — esclamò la contessa fra stizzita e ridente. — E io che me

l’ero presa con quella poverina!... Letizia! Letizia! [p. 39 modifica]

― Comandi! ― gridò Letizia arrivando lei pure.

― Guarda chi t’ha rubato i tovaglioli....

― La Caciotta! Ah, birbona d’una Caciotta! ― esclamò la donna, e buttatasi in ginocchi, s’affrettò a tirarli fuori prima che la Caciotta avesse tempo di rosicchiarli e sciuparli.

― O perchè ha fatto questo ― domandò la signora. ― Pareva tanto buona, la Caciotta! ―

In quel frattempo la Letizia aveva preso la topina in mano, e l’andava palpando da tutte le parti.

― Ora capisco! ― gridò alla fine. ― Sa che c’è, signora contessa? La famiglia cresce.

― Come? la Caciotta?...

― Già, la Caciotta fra qualche giorno sarà mamma d’una mezza dozzina di musini bianchi e neri, bellini tanto, che parranno, sa bene, gli ambasciatori scioani che vennero a [p. 40 modifica]Roma.... E per questo rubava: voleva preparare le fasce a’ suoi piccini....

A tale notizia la Rita e Nello si misero a saltare e a strillare battendo le mani; parevano ammattiti dalla contentezza. La madre badava a dire:

— Fermi fermi! State boni! Chetatevi! —

Ma sì: era come dire al muro. Alla fine, vedendo che con le buone non c’era verso di farli smettere, la contessa disse alla Letizia:

— Letizia, va’ a dire al cuoco che oggi il dolce dev’esser fatto per me e per il conte soltanto i bambini non hanno voglia d’assaggiarne. —

Bastò questo, perchè improvvisamente si ristabilisse la calma. Mogi, mogi, con la coda fra le gambe, come cani frustati, Nello e la Rita s’avviarono nella sala da studio a fare i cómpiti per la scuola. La Letizia, sapendo che la padrona non disdiceva mai gli ordini, [p. 41 modifica]andò a far l’imbasciata al cuoco, e la signora s’avvio verso il suo salotto da lavoro.

Allora, ma allora soltanto, una testina nera e irrequieta s’affacciò timidamente di dietro un divano; fiutò l’aria in giro per sentire se c’era qualcuno, e poi, le sta come un razzo, corse dalla parte della Caciotta. Era Ragù che avendo inteso tutta quell’ira di Dio, andava, ora che non c’era più alcuno, a domandare notizie e a recare conforti alla moglie.

Da quel giorno, la Caciotta fu trattata nella famiglia Sernici con ogni sorta di premure. I bocconi più ghiotti eran per lei; per lei i baci e le carezze de’ bambini; la stessa signora le aveva dato un bel pezzo di [p. 42 modifica]bambagia, perchè la topina potesse preparare a’ suoi piccoli un nido più soffice; e la Letizia, che le aveva tenuto un po’ il broncio per via de’ tovaglioli, alla fine s’era riconciliata, e di nascosto le dava qualche buona cucchiaiata di brodo col semolino, per tenerla in forze.

Quanto a Ragù, non si può dire come paresse lieto e commosso all’idea d’aver de’ figliuoli. Stava sempre accosto alla sua sposa; la mordicchiava piano sul collo per farle piacere, e si buttava sempre, dormendo, in un canto della canestra per lasciarle libero tutto lo spazio.

― Dio mio, ― mormorava ogni tanto la Caciotta con le lagrime agli occhi ― Dio mio, come mi sento bene! ― E nel suo umile cuore di topa non sapeva trovar parole per ringraziare la Provvidenza che non abbandona nè anche gli esseri più piccini e più disgraziati.

Non passarono due settimane che la Caciotta diede alla luce cinque creaturine, tutte [p. 43 modifica]rosee e spelate, grosse come mosconi, che strillavano in coro senza chetarsi.

Figurarsi la gioia di Rita e di Nello, quando, tornati dalla scuola, si videro venir incontro la Letizia, che, tenendo una mano chiusa su l’altra, diceva:

— Indovinino che c’è qui dentro! —

Le furon tutti e due addosso, le aprirono le mani per forza, ed esclamarono subito:

— Oh carini! oh come sono piccini! oh poverini! —

Ci volle del bello e del buono prima che la contessa potesse persuaderli a lasciare in pace quelle bestioline che, in quel momento, non avevan bisogno d’altro che della loro mamma. In fatti, la Caciotta, che gli andava cercando tutta smaniosa, s’arrampicò su la Letizia, se ne prese delicatamente uno in bocca, e ridiscendendo andò a portarlo a quel modo nella canestra. Tornò poco dopo, e ne prese un altro; e così a mano a mano, [p. 44 modifica]reggendoli sempre co’ denti, finchè non gli ebbe ripresi tutti. Allora si distese su loro, e cominciò ad allattarli.

I bambini della Caciotta eran tre maschietti e due femminucce, e crescevano belli e sani, ch’era un amore a vederli. A poco a poco si eran coperti d’un pelo morbido e lucido come il raso, e avevano aperto gli occhi. Due eran tutti bianchi, come la mamma; tre altri avevano il cappuccino nero, come il babbo. Il padrino e la madrina erano stati Nello e Rita, e avevan chiamati Dodo, Moschino e Bellino i maschi, Lilia e Ninì le femmine.