Trionfo e Danza della Morte, o Danza Macabra a Clusone. Dogma della Morte a Pisogne, nella provincia di Bergamo, con osservazioni storiche ed artistiche/Dogma della Morte dipinta a Pisogne

Dogma della Morte dipinta a Pisogne

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Osservazioni Etimologia del nome Macabra


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il


DOGMA DELLA MORTE


DIPINTO A PISOGNE (Lago d’Iseo).




Per i materialisti la morte annienta l’uomo, tronca ogni speranza: gioje e dolori, riso e pianto, dubbi e realtà, per essi tutto è compreso nella vita, nulla dopo di quella. Epperciò a rendere felice la vita dovevano logicamente volgere tutte le cure; così il pensiero che reclinava alla inesorabile morte diveniva un maggiore stimolo ai sensi per godere la vita. I poeti filosofi ricordavano la morte ai potenti al solo intendimento di invitarli a disprezzare le caduche grandezze, proclamando:

Breve et irreparabile tempus
Omnibus est vitæ; sed famam extendere factis,
Hoc virtutis opus.
                                                  Virg. Æneide.

L’epicureo Anacreonte soleva invece cantare: È forza morire anche non volendo; dunque a che non si gode la vita? (Ode. 25.) Convien godere la vita, quanto più vicina è la morte. (Ode. 11.) Ne’ banchetti de’ sensuali mettevasi sulle tavole un emblema della morte, perchè avvertisse d’esser solleciti a godere la vita; onde S. Paolo nella lettera ai [p. 16 modifica]Corinti loro fa dire: Si mortui non resurgunt, manducemus et bibemus; cras enim moriemur1.

La religione Cristiana sublimò più d’ogni altra il pensiero della morte, col definire non essere vera vita la vita mortale, ma preparazione ad una eternità di premio o di pena. Per cosifatto dogma la morte del corpo è nulla rispetto a quella dell’anima, ma è transito, ossia ingresso ad una seconda vita di eterni gaudj pei giusti, di eterni tormenti pei reprobi: epperò in diversi cimiteri si dipinsero Adamo ed Eva autori del peccato, quindi della morte.

Questo importante pensiero del Dogma della Morte vedesi maestrevolmente figurato sulla facciata della Chiesa della Madonna della Neve a pochi passi da PISOGNE nella Valcamonica, ed appartenente già agli Agostiniani, paese sul lago d’Iseo, antico e rinomato per miniere e lavori di ferro, ed ove nel 1485 incominciarono quei processi giustificati solo dai tempi contro gli eretici, che nel 1515 mandavano al rogo ben sessantaquattro persone. La chiesa è conosciuta pei mirabili affreschi di Gerolamo Romanino, bresciano, competitore del Bonvicino detto il Moretto, franco nel pennelleggiare, bizzarro nelle composizioni, grandioso ne’ concetti. Essa è fregiata tanto internamente che esternamente da un solo lato.

La rappresentazione del DOGMA DELLA MORTE, che vedesi sulla facciata della chiesa, è divisa in due scene, o per meglio dire in due grandi scompartimenti oblunghi, de’ quali l’uno risguarda la vera vita, l’altro la vera morte. Ciascuna scena poi è divisa da colonnette in tre altri piccoli scompartimenti, comprendendo tutta la [p. 17 modifica]composizione oltre quaranta figure di grandezza pressochè naturale. Vedansi le Tavole V.ª e VI.ª che qui unisco a maggiore intelligenza degli studiosi, disegnate con fedeltà dal signor A. Ogheri.

Da un lato ravvisi uno scheletro coronato, perchè Principe della morte, con arco teso e vibrante cinque freccie ad un tratto. Quello di Clusone ne scocca tre, quante lingue vibrar suole il serpente, ad indicare l’intensità dell’azione; perocchè il tre per gli antichi fu numero arcano del perfetto. Laonde tri-megisto per grandissimo, e terror per tre volte orribile, da ter-orror; ed i Francesi, come i Latini usano il tre a dinotare il superlativo. A Pisogne invece, perchè dominò un pensiero teologico, si figurarono cinque freccie operatrici della morte eterna, per opposizione alle cinque piaghe operatrici della umana redenzione.

Incontro a questo scheletro vedi venire, movendo da mezzodì a settentrione, prima un Papa, poi due cardinali, indi due vescovi e due diaconi, e dietro una schiera di dignitarii ecclesiastici, di nobili secolari, e finalmente di gentildonne, tutti portanti segni di ricchezza e di avarizia; alcuni con vasi d’oro, altri con borse piene o bacili di pietre preziose.

Dall’opposto lato vedi pure uno scheletro, ma coll’arco spezzato e senza freccie. A lui muove incontro altra comitiva, divisa pure in tre scompartimenti e volta da settentrione a mezzodì, preceduta da Gesù conducente pel braccio la Vergine Maria2. Dopo vengono cinque santi nimbati e portanti bende, su cui forse erano scritte sacre leggende commentanti i simboli da loro figurati; indi seguono re, principi, e dignitarii secolari, portanti, non ricchezze, ma banderuole, su cui forse erano parimenti scritte le virtù che li fecero seguaci di [p. 18 modifica]Cristo a vincere la morte. È a lamentarsi che l’ingiuria del tempo abbia resi illeggibili tutti questi motti. Veggonsi finalmente distinti personaggi appartenenti a lontane nazioni gentili, cui la luce del Vangelo aprì la verità, le fisionomie dei quali si accordano col nome che ciascheduno porta sul petto. Principalmente distinguonsi al costume orientale, un Turco, un Calmucco, ed un Moro. Sopra le figure dei re e dei principi al signor Rosa fu dato di leggere il seguente distico:

Noi spregieremo adunque li denari, perchè per essi non possiamo campare.

È strano che in una rappresentazione eseguita per ordine e sotto la direzione d’una società religiosa, si veggano le autorità ecclesiastiche dal lato de’ morti, e le autorità secolari dal lato degli eletti. Ricercando il dotto signor Rosa quale ne possa essere stata la cagione, credette di scorgervi il principio ghibellino, che prevalse nella Divina Commedia, preponderò nella Germania, e fu precursore di quella Riforma, che violentemente sobbolliva gli spiriti all’epoca delle Danze dei Morti; come nelle Valli Retiche duravano ancora le sette degli Arnaldisti e dei Valdesi. Che infatti la riforma avesse segreti aderenti eziandio in Italia sciaguratamente anche fra gli ecclesiastici (massime fra gli Agostiniani alla cui regola apparteneva Lutero) ce lo comprova la Danza di Besanzone, che i Minoriti fecero dipingere.

Le due sopracitate scene del Dogma della Morte sono dipinte tra l’antico e il moderno stile, cioè sul cadere del secolo XV; e per disegno, come per tavolozza alquanto fredda e cenerognola, si direbbero eseguite dal lombardo Ambrogio Borgognone da Fossano, che facile frescante, conservò la maniera dei quattrocentisti anche nel cinquecento. Milano possiede molti suoi dipinti a fresco, e parimenti alcune tempere eseguite con perizia su tavole. Nella basilica parrocchiale di S. Simpliciano l’abside dell’altar maggiore è una ricca composizione [p. 19 modifica]di molto merito, come di questo pittore sempre divoto, è la bellissima tavola nella chiesa di S. Spirito a Bergamo.

In questi due scompartimenti le teste delle figure non sono ritratti, come ci è sembrato di vedere in quelle del Trionfo e Danza della Morte, ma bensì ideali del pittore, che aveva una particolare tendenza ad improntare giovanili teste di religioso affetto, e direi quasi di pietosissima contemplazione.



ossario

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Giudizio finale
Giudizio finale

giudizio finale


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Note

  1. Vedi Petronio nel Trimalcione, dove sulle tavole fa girare e muovere uno scheletro d’argento, alla cui vista i commensali esclamano: Sic erimus cuncti, postquam nos auferet orcus. Ergo vivamus, dum licet esse bene. Notisi che bene significava per essi sensualmente. Questo costume derivò dall’Egitto, dove sulle tavole si faceva muovere uno scheletro di legno, indi si esclamava precisamente come nel Trimalcione: Tale diverrai dopo la morte. Erodoto, Euterpe, 1. 2. c. 78.
  2. Gesù e Maria operando la redenzione vincono la morte, introducono e segnano il novello cammino, alla vita, alla salute eterna. — Factus est causa salutis aeternæ.Initiavit nobis viam novam.S. Paolo, Ep. ad Cor.