Trionfi (Bortoli)/Trionfo dell'amore/Capitolo III

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DEL TRIONFO D'AMORE


CAPITOLO TERZO.


E
Ra sì pieno il cor di meraviglie

     Ch’i’ stava come l’uom che non pò dire,
     E tace, e guarda pur ch’altri ’l consiglie,
Quando l’amico mio: - Che fai? che mire?
     5Che pensi? - disse - non sai tu ben ch’io
     Son della turba? e’ mi convien seguire. -
- Frate, - risposi - e tu sai l’esser mio,
     E l’amor del saper che m’ha sì acceso
     Che l’opra è ritardata dal desio. -
10Et egli: - I’ t’avea già tacendo inteso:
     Tu vuoi udir chi son quest’altri ancora.
     I’ tel dirò, se ’l dir non è conteso.
Vedi quel grande il quale ogni uomo onora;
     Egli è Pompeo, et ha Cornelia seco,
     15Che del vil Tolomeo si lagna e plora.
L’altro più di lontan, quell’è ’l gran Greco;
     Né vede Egisto e l’empia Clitemestra:
     Or puoi veder Amor s’egli è ben cieco.

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Altra fede, altro amor: vedi Ipermestra,
     20Vedi Piramo e Tisbe inseme a l’ombra,
     Leandro in mare et Ero a la finestra.
Quel sì pensoso è Ulisse, affabile ombra,
     Che la casta mogliera aspetta e prega,
     Ma Circe, amando, gliel ritene e ’ngombra.
25L’altro è ’l figliuol d’Amilcare, e nol piega
     In cotant’anni Italia tutta e Roma;
     Vil feminella in Puglia il prende e lega.
Quella che ’l suo signor con breve coma
     Va seguitando, in Ponto fu reina:
     30Come in atto servil se stessa doma!
L’altra è Porzia, che ’l ferro e ’l foco affina;
     Quell’altra è Giulia, e duolsi del marito
     Ch’a la seconda fiamma più s’inchina.
Volgi in qua gli occhi al gran padre schernito,
     35Che non si muta, e d’aver non gli ’ncresce
     Sette e sette anni per Rachel servito:
Vivace amor che negli affanni cresce!
     Vedi ’l padre di questo, e vedi l’avo
     Come di sua magion sol con Sara esce.
40Poi vedi come Amor crudele e pravo
     Vince Davit e sforzalo a far l’opra
     Onde poi pianga in loco oscuro e cavo.
Simile nebbia par ch’oscuri e copra
     Del più saggio figliuol la chiara fama
     45E ’l parta in tutto dal Signor di sopra.
De l’altro, che ’n un punto ama e disama,
     Vedi Tamar ch’al suo frate Absalone
     Disdegnosa e dolente si richiama.
Poco dinanzi a lei vedi Sansone,
     50Vie più forte che saggio, che per ciance
     In grembo a la nemica il capo pone.
Vedi qui ben fra quante spade e lance
     Amor, e ’l sonno, et una vedovetta
     Con bel parlar, con sue polite guance,

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55Vince Oloferne; e lei tornar soletta
     Con una ancilla e con l’orribil teschio,
     Dio ringraziando, a mezza notte, in fretta.
     Vedi Sichem e ’l suo sangue, ch’è meschio
     De la circoncisione e de la morte,
60E ’l padre colto e ’l popolo ad un veschio:
     Questo gli ha fatto il subito amar forte.
     Vedi Assuero il suo amor in qual modo
Va medicando a ciò che ’n pace il porte:
     Da l’un si scioglie, e lega a l’altro nodo:
     65Cotal ha questa malizia rimedio,
Come d’asse si trae chiodo con chiodo.
     Vuo’ veder in un cor diletto e tedio,
     Dolce et amaro? or mira il fero Erode;
Amore e crudeltà gli han posto assedio.
     70Vedi com’arde in prima, e poi si rode,
     Tardi pentito di sua feritate,
Marïanne chiamando che non l’ode.
     Vedi tre belle donne innamorate,
     Procri, Artemisia con Deidamia,
75Et altrettante ardite e scelerate,
     Semiramìs, Biblì e Mirra ria;
     Come ciascuna par che si vergogni
De la sua non concessa e torta via!
     Ecco quei che le carte empion di sogni,
     80Lancilotto, Tristano e gli altri erranti,
Ove conven che ’l vulgo errante agogni.
     Vedi Ginevra, Isolda e l’altre amanti,
     E la coppia d’Arimino che ’nseme
Vanno facendo dolorosi pianti. -
     85Così parlava; et io, come chi teme
     Futuro male e trema anzi la tromba,
Sentendo già dov’altri anco nol preme,
     Avea color d’uom tratto d’una tomba;
     Quando una giovinetta ebbi dal lato,
90Pura assai più che candida colomba.
     

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Ella mi prese; et io, ch’avrei giurato
     Difendermi d’un uom coverto d’arme,
Con parole e con cenni fui legato.
     E come ricordar di vero parme,
     95L’amico mio più presso mi si fece,
E con un riso, per più doglia darme,
     Dissemi entro l’orecchia: - Ormai ti lece
     Per te stesso parlar con chi ti piace,
Ché tutti siam macchiati d’una pece. -
     100Io era un di color cui più dispiace
     De l’altrui ben che del suo mal, vedendo
Chi m’avea preso in libertate e ’n pace;
     E, come tardi dopo ’l danno intendo,
     Di sue bellezze mia morte facea,
105D’amor, di gelosia, d’invidia ardendo.
     Gli occhi dal suo bel viso non torcea,
     Come uom ch’è infermo e di tal cosa ingordo
Ch’è dolce al gusto, a la salute è rea.
     Ad ogni altro piacer cieco era e sordo,
     110Seguendo lei per sì dubbiosi passi
Ch’ i’ tremo ancor qualor me ne ricordo.
     Da quel tempo ebbi gli occhi umidi e bassi,
     E ’l cor pensoso, e solitario albergo
Fonti, fiumi, montagne, boschi e sassi;
     115Da indi in qua cotante carte aspergo
     Di pensieri e di lagrime e d’inchiostro,
Tante ne squarcio, e n’apparecchio, e vergo;
     Da indi in qua so che si fa nel chiostro
     D’Amor, e che si teme, e che si spera,
120E, chi sa legger, ne la fronte il mostro;
     E veggio andar quella leggiadra fera
     Non curando di me né di mie pene,
Di sue vertuti e di mie spoglie altera.
     Da l’altra parte, s’io discerno bene,
     125Questo signor, che tutto ’l mondo sforza,
Teme di lei, ond’io son fuor di spene;
     

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     Ch’a mia difesa non ho ardir né forza,
     E quello in ch’io sperava lei lusinga,
Che me e gli altri crudelmente scorza.
     130Costei non è chi tanto o quanto stringa,
     Così selvaggia e rebellante suole
Da le ’nsegne d’Amore andar solinga;
     E veramente è fra le stelle un sole.
     Un singular suo proprio portamento,
135Suo riso, suoi disdegni e sue parole,
     Le chiome accolte in oro o sparse al vento,
     Gli occhi, ch’accesi d’un celeste lume
M’infiamman sì ch’ i’ son d’arder contento...!
     Chi poria ’l mansueto alto costume
     140Aguagliar mai parlando, e la vertute,
Ov’è ’l mio stil quasi al mar picciol fiume?
     Nove cose e già mai più non vedute,
     Né da veder già mai più d’una volta,
Ove tutte le lingue sarien mute.
     145Così preso mi trovo, et ella è sciolta;
     Io prego giorno e notte, o stella iniqua!
Et ella a pena di mille uno ascolta.
     Dura legge d’Amor! ma benché obliqua,
     Servar convensi, però ch’ella aggiunge
150Di cielo in terra, universale, antiqua.
     Or so come da sé ’l cor si disgiunge,
     E come sa far pace, guerra e tregua,
E coprir suo dolor quand’altri il punge;
     E so come in un punto si dilegua
     155E poi si sparge per le guance il sangue,
Se paura o vergogna aven che ’l segua;
     So come sta tra’ fiori ascoso l’angue,
     Come sempre tra due si vegghia e dorme,
Come senza languir si more e langue;
     160So de la mia nemica cercar l’orme
     E temer di trovarla, e so in qual guisa
L’amante ne l’amato si trasforme;

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     So fra lunghi sospiri e brevi risa
     Stato, voglia, color cangiare spesso;
165Viver, stando dal cor l’alma divisa;
     So mille volte il dì ingannar me stesso;
     So, seguendo ’l mio foco ovunque e’ fugge,
Arder da lunge ed agghiacciar da presso;
     So come Amor sovra la mente rugge,
     170E come ogni ragione indi discaccia,
E so in quante maniere il cor si strugge;
     So di che poco canape s’allaccia
     Un’anima gentil quand’ella è sola
E non v’è chi per lei difesa faccia;
     175So com’Amor saetta e come vola,
     E so com’or minaccia et or percote,
Come ruba per forza e come invola,
     E come sono instabili sue rote,
     Le mani armate, e gli occhi avolti in fasce,
180Sue promesse di fé come son vote,
     Come nell’ossa il suo foco si pasce
     E ne le vene vive occulta piaga,
Onde morte e palese incendio nasce.
     Insomma so che cosa è l’alma vaga,
     185Rotto parlar con subito silenzio,
Che poco dolce molto amaro appaga,
     Di che s’ha il mel temprato con l’assenzio