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280 DEL TRIONFO

Ella mi prese; et io, ch’avrei giurato
     Difendermi d’un uom coverto d’arme,
Con parole e con cenni fui legato.
     E come ricordar di vero parme,
     95L’amico mio più presso mi si fece,
E con un riso, per più doglia darme,
     Dissemi entro l’orecchia: - Ormai ti lece
     Per te stesso parlar con chi ti piace,
Ché tutti siam macchiati d’una pece. -
     100Io era un di color cui più dispiace
     De l’altrui ben che del suo mal, vedendo
Chi m’avea preso in libertate e ’n pace;
     E, come tardi dopo ’l danno intendo,
     Di sue bellezze mia morte facea,
105D’amor, di gelosia, d’invidia ardendo.
     Gli occhi dal suo bel viso non torcea,
     Come uom ch’è infermo e di tal cosa ingordo
Ch’è dolce al gusto, a la salute è rea.
     Ad ogni altro piacer cieco era e sordo,
     110Seguendo lei per sì dubbiosi passi
Ch’ i’ tremo ancor qualor me ne ricordo.
     Da quel tempo ebbi gli occhi umidi e bassi,
     E ’l cor pensoso, e solitario albergo
Fonti, fiumi, montagne, boschi e sassi;
     115Da indi in qua cotante carte aspergo
     Di pensieri e di lagrime e d’inchiostro,
Tante ne squarcio, e n’apparecchio, e vergo;
     Da indi in qua so che si fa nel chiostro
     D’Amor, e che si teme, e che si spera,
120E, chi sa legger, ne la fronte il mostro;
     E veggio andar quella leggiadra fera
     Non curando di me né di mie pene,
Di sue vertuti e di mie spoglie altera.
     Da l’altra parte, s’io discerno bene,
     125Questo signor, che tutto ’l mondo sforza,
Teme di lei, ond’io son fuor di spene;