Ella mi prese; et io, ch’avrei giurato
Difendermi d’un uom coverto d’arme,
Con parole e con cenni fui legato.
E come ricordar di vero parme, 95L’amico mio più presso mi si fece,
E con un riso, per più doglia darme,
Dissemi entro l’orecchia: - Ormai ti lece
Per te stesso parlar con chi ti piace,
Ché tutti siam macchiati d’una pece. - 100Io era un di color cui più dispiace
De l’altrui ben che del suo mal, vedendo
Chi m’avea preso in libertate e ’n pace;
E, come tardi dopo ’l danno intendo,
Di sue bellezze mia morte facea, 105D’amor, di gelosia, d’invidia ardendo.
Gli occhi dal suo bel viso non torcea,
Come uom ch’è infermo e di tal cosa ingordo
Ch’è dolce al gusto, a la salute è rea.
Ad ogni altro piacer cieco era e sordo, 110Seguendo lei per sì dubbiosi passi
Ch’ i’ tremo ancor qualor me ne ricordo.
Da quel tempo ebbi gli occhi umidi e bassi,
E ’l cor pensoso, e solitario albergo
Fonti, fiumi, montagne, boschi e sassi; 115Da indi in qua cotante carte aspergo
Di pensieri e di lagrime e d’inchiostro,
Tante ne squarcio, e n’apparecchio, e vergo;
Da indi in qua so che si fa nel chiostro
D’Amor, e che si teme, e che si spera, 120E, chi sa legger, ne la fronte il mostro;
E veggio andar quella leggiadra fera
Non curando di me né di mie pene,
Di sue vertuti e di mie spoglie altera.
Da l’altra parte, s’io discerno bene, 125Questo signor, che tutto ’l mondo sforza,
Teme di lei, ond’io son fuor di spene;