Trento e il suo circondario descritti al viaggiatore/Notizie generali
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NOTIZIE GENERALI
Estensione ed acque. — Quel tratto di suolo che comprende Trento e il suo Circondario, si estende sopra una superficie di 949 kilm. q. Abbraccia l’attuale Distretto Capitanale, il quale si compone dei Distretti giudiziali di Trento, Pergine, Civezzano, Cembra, Lavis, Mezzolombardo e Vezzano, ed ha per confini ad oriente la Valsugana ed il Veneto, ad occidente la valle del Sarca e le Giudicarie, a mezzogiorno il Distretto Capitanale di Rovereto, ed a settentrione i Distretti di Cles e di Bolzano. — L’Adige, (Athesis), che trae la sua origine dalle ghiacciaje del Picco bianco presso Resca (Reschem) in Valvenosta, lo bagna nella sua lunghezza, ricevendo a destra le acque del Noce, del rivo di Vela e di altri piccoli rivi; ed a sinistra, l’Avisio e il Fersina.
Il Noce nasce dal Corno de’ Tre Signori, una delle più alte cime della Valle di Sole; scende ingrossato dalle acque che danno il Tonale, il giogo di Campiglio, il Saent, Castel Pagan, le Palade ecc.; bagna le valli di Sole e di Non (Anaunia), e per la Rocchetta giunge al piano di Mezzolombardo, di dove corre ad imboccarsi coll’Adige poco sotto Zambana. — L’Avisio scende dalla Marmolata al piano di Lavis, percorrendo le valli di Fassa, di Fiemme e Cembra; verso la foce va serrato tra solide arginature, e a poca distanza dal borgo del suo nome si getta nel fiume. — Il Fersina fa un cammino meno lungo: nasce dal laghetto alpino di Nardemolo sopra Palù, bagna la valle de’ Mocheni, e vieppiù ingrossato dalle acque che fanno i rivi e i torrentelli di quella valle, scende nella bella spianata di Pergine, di dove, volgendo verso Trento, scorre incanalato tra rupi, e precipita al piano, formando parecchie belle cascate, delle quali la maggiore e più stupenda si fa a Pontalto sopra Trento. Mette foce a mezzogiorno della città al luogo che s’appella il Deserto.
Tutti e tre questi confluenti dell’Adige recano seco una grande ragunata di acque, ed hanno aspetto di fiumi di secondo ordine. Sono invece di minore portata e veri rivi o torrenti: il Rio di Vela, il Rio di Sardagna il Rio Bondone e il Salè, che provengono dai monti vicini a Trento e corrono ad imboccarsi col fiume maggiore. Il primo nasce insieme col terzo al piano superiore del monte Bondone; ma prende una direzione diversa: volge a settentrione, e scendendo tra Cadine e Sopramonte, entra nel Buco suo omonimo, e ne percorre la valle sino al paesello di Vela, dove si scarica. Il Rivo Bondone volta invece ad oriente, e s’unisce all’Adige tra Romagnano e Aldeno. Il Rio di Sardagna scaturisce dal Vasone che fa parte del Bondone suddetto; attraversa l’altipiano di Sardagna e si getta dalla rupe sottostante con quella bella cascata che si vede da Trento. — Si tengono questi rivi a destra del fiume; mentre a sinistra si tiene il Salè, che prende le sue acque dai monti Chegul e Celva, passa per Povo e Gocciadoro, e va ad unirsi col Fersina.
I laghi del circondario si riducono ai Distretti giudiziali di Vezzano, di Mezzolombardo e Civezzano. Sovra tutti primeggia il lago di Toblino nel Distretto di Vezzano, il quale si scopre limpidissimo al Castello del suo nome, tra i paeselli di Padergnone, Santa Massenza e Calavino, fiancheggiato da colli e da monticelli vestiti ad olivi, ad elci, e in parte ridotti a viti; dalla strada delle Sarche che rasenta la sua sponda settentrionale, e dal Monte Casale che colle sue rupi eccelse e nude fa delizioso contrasto alla plaga pittoresca ed amenissima del lago. — Non lungi da esso, a ponente di Cavedine, si dispiegano le acque del grazioso laghetto, consocio di quel di Toblino, chiamato dal nome del suo paesello; — e sopra Vezzano verso Trento, in una conca laterale alla strada presso Terlago, è il lago del suo nome, le cui acque non hanno visibile sortita, e s’alimentano con quelle che per infiltrazione vi rendono i sovraposti laghetti montani. — Al Distretto di Mezzolombardo appartiene il laghetto di Molveno, forse il solo che nel Circondario di Trento dia il Salmarino (Salmo Salvelinus Linn.) — e in fine sono da notarsi i laghetti montani di Pinè, alla Serraja, alle Piazze ed a Lases, che danno il luccio, la tinca ed altri pesci; non meno che il Lago Santo, il quale si discopre sui colli di Sant'Agnese, tutti e quattro situati nel Distretto di Civezzano. Strade. — La Ferrovia taglia nella sua lunghezza il Circondario di Trento, prendendo da San Michele a Mattarello. È tracciata sull’antica Via Claudia, lungo l’Adige; ed ha quattro Stazioni: due estreme date dai paeselli suddetti e due intermedie che si tengono a Trento ed a Lavis.
Alla Stazione di Trento arrivano i viaggiatori che intendono percorrere la strada di Valsugana o quella di Vezzano e le Sarche; la prima ad oriente della città subito fuori di Porta Aquileja (P. Aquila) sul fianco sinistro del Fersina; e la seconda, a maestro, pel sobborgo di Piedicastello e la valle di Vela. Ambidue queste strade sono percorse da vetture giornaliere, e sono piacevoli per diversità di aspetto: quella di Valsugana, rallegrata dagli ameni colli di Povo e di Oltrecastello, ti dà il Fersina infossato tra le rupi colle sue cascate d’acqua, delle quali è stupenda ed imponente quella di Pontalto; mentre la strada di Vezzano, oltrepassati i fertili colli di San Giorgio, ti mette in una valle che si fa vieppiù angusta, bella nell’orrido che vi mise la natura, sino al Buco che le dà uscita tra due fianchi di monte congiunti da un imponente fortilizio.
A Lavis prende la strada che conduce nell’amena valle di Cembra, e si fa in vettura sino a Faver, montando a destra dell' Avisio in vista delle sue acque che scorrono tra burroni aspri e profondi. — A San Michele sosta invece chi si rende a Mezzolombardo e nelle valli di Non e Sole. La strada è delle più amene, quasi piana sino al borgo, capo-luogo del Distretto giudiziale, e frequentata da vetture giornaliere. Monta dipoi; e, al Dazio della Rocchetta, si divide in due strade laterali al Noce, una in direzione di Cles, e l’altra di Fondo.
A queste strade principali s’aggiungono le minori: quella di Valsorda che prende a Mattarello, e va a Vigolo, a Vattaro ed a Calceranica in Valsugana tra la Marzola e la Vigolana o monte Scanuppia; — quella che da Trento per Piedicastello, lungo la sponda destra dell’Adige, mette a Ravina, a Margone e a Romagnano; — quella che dalla stessa città pel sobborgo di San Martino reca a Gardolo ed a Lavis; — quella che dalla medesima città porta a Villazzano e a Povo, deviando dalla strada vecchia che conduce a Mattarello; la strada vecchia di Valsugana che mette a Cognola ed a Civezzano; — le strade di Povo e d’Oltrecastello, che prendono dai ponti che s’inarcano sopra il Fersina a due punti della strada nuova di Valsugana; la nuova strada di Civezzano; — quella di Pinè lungo il torrentello Silla; — quella che da Pergine mena a Calceranica lungo il lago di Caldonazzo o di S. Cristoforo ecc.
Conformazione geologica. — I monti che fiancheggiano e dividono il Circondario di Trento, formando la valle dell’Adige colle valli laterali del Fersina, del basso Avisio, del bacino inferiore del Noce, del Buco di Vela e Sarche e la valletta di Valsorda, constano di rocce sedimentarie, ad eccezione di quelli che sono ad oriente di Trento e formano le valli del Fersina e del basso Avisio, che partecipano delle formnazioni cristalline di Valsugana, di Fiemme e di Fassa. Colà il porfido quarzoso domina distesamente insieme cogli scisti che si dispiegano alla sua base, cogli strati di Werfen e il Verrucano che si tengono d’ordinario tra gli scisti suddetti e il calcare conchigliare; formazioni che in direzione di Civezzano, Susà e Centa fanno la base alla massa dolomitica dei monti Maranza, Sconuppia e Lavarone. — La dolomia si estende a tutti questi monti; ricompare verso Mezzotedesco, fiancheggia Mezzolombardo e va tra due linee parallele di giura inferiore a formare le montagne Paganella e Gazza a maestro di Trento. — Le alture poi che sorgono a greco della città, formando le colline di Povo e di Villazzano, constano invece di strati nummolitici con frequenti affioramenti di porfido augitico e di melafiro; — il giura inferiore forma i monti che s’ergono ad occidente di Trento compreso il Bondone; — la scaglia e il calcare nummolitico accompagnano ovunque questa vasta formazione, e tra Trento e Vezzano al giura s’uniscono gli strati di San Cassiano. Nel nostro Circondano possiamo adunque contare in ordine cronologico, e sulle formazioni triasiche rappresentate dagli strati di Werfen od arenaria rossa, dal Verrucano e dal calcale conchigliare (Muschelkalk), limitanti gli scisti cristallini che stanno alla base del porfido quarzoso di Pergine e Valsugana; e sulle formazioni retiche degli strati di San Cassiano e della Dolomia principale, e sulle formazioni del giura, della creta e del terziario rappresentato distesamente dal calcare nummolitico.
Clima. — Il clima di Trento e del suo Circondario si tiene tra i moderati, tra que’ climi che favoriscono largamente la coltura del gelso e della vite. Varia a seconda delle elevatezze che vanno dal livello del mare, ed a seconda dei luoghi più o meno esposti agli urti de’ venti di libeccio e di ponente. — Al piano di Trento è dove questi venti apportano le maggiori burrasche; le quali però non sono molto frequenti. Vi dominano invece i venti di Levante e di Ostro; venti che soffiano leggiermente, e sbarazzando l'atmosfera dai miasmi, mantengono la città e i paesi circostanti salubri e esilarati. — La temperatura n’è mite, sì che in Trento da un medio di +13° Centgr. Il caldo monta dai +25 ai 36 Centgr., il freddo di rado trapassa i 7 Centigr., e questo tocca d’ordinario il suo massimo dai 20 ai 28 di Gennajo, mentre il caldo maggiore si fa nella prima metà di Luglio. Il primo gelo suole ordinariamente comparire sullo scorcio di Novembre; la neve si liquefa in febbrajo, e solo nei verni rigidissimi dura sino alla metà di Marzo. — Del resto nelle regioni montane, nelle valli laterali all’Adige appartenenti al Circondario di Trento, la temperatura è più rigida nel verno, piacevolissima nella state, ricreata da brezze continue e dagli incanti di una natura vigorosa e ridente.
Minerali utili. — Poco è da notare circa i minerali utili del circondario. Nella valle del Fersina, sul tenere di Pergine, si stavano in passato le maggiori e più numerose cave di miniere; esse consistevano in filoni di piombo solforato, di rame piritoso e di rame grigio, e venivano lavorate in ispecie dai Tedeschi, ivi trapiantati; ma nel secolo XVI quelle miniere già incominciarono a scemare della loro importanza, e più tardi furono per intiero abbandonate. — La barite e la calce solfata rimpiazzano ora la cessata industria di quelle miniere; la prima proveniente dai monti Civezzano, da Meano e dalle Ville di Cembra; e la seconda, dai contorni della Nave e di San Michele, da quelli di Ravina e Romagnano, e da alcun altro luogo. — La valle di Pinè somministra il porfido quarzoso tegulare, che si commercia ad uso di coperture e di pavimenti; mentre i dintorni di Trento, Sopramonte ed altri luoghi danno i calcari giuresi, che forniscono alla città un esteso ramo d’industria.
Vegetabili. — I vegetabili, che somministrano a Trento ed al suo Circondario i maggiori mezzi di combustione, di costruzione e di lavoro nell’arte del falegname e del tornitore, si ottengono dai boschi; i quali, quasi da per tutto, in questi ultimi tempi, furon depauperati dalla maniera inconsulta di abbattervi le piante arboree. — Ai boschi montani più elevati tengono di preferenza le Conifere: il Pino (Pinus sylvestris Linn.), il Larice (Abies Larix Lam.), gli Abeti rosso (Abies picea Matth.), e bianco o Avezzo (Abies vulgaris Poir.), e il Mugo (Pinus Mughus Scop.), che riveste le rupi e pone termine alla vegetazione arborea. Più basso, e di sovente in compagnia del Pino e del Larice, cresce il Faggio (Fagus sylvatica Linn.); ne’ boschetti di colle e nei luoghi montani temperati nascono le Querele (Quercus sessiliflora Lm. et pedunculata Ehrh.), il Carpino comune (Carpinus Betulus Linn.), e il rosso (Ostrya carpinifolia Scop.), i Sorbi (Sorbus aucuparia et S. Aria Linn.), l’ Acero (Acer pseudo-platanus Linn.), l’Orno (Fraxinus Ornus L.), l’Avornello (Cytisus Labili mini Linn.) ecc. Nei luoghi più caldi e speciali dei contorni del lago di Toblino v’ha il Leccio (Quercus Ilex Linn), negli umidi e paludosi crescono gli Ontani (Allnu glutinosa Gàrtn.), i Pioppi (Populus alba et tremula Linn.), e i Salici (Salix alba, purpurea, viminalis, incana ecc.) — Il Bagetto o Bagolaro (Celtis australis Linn.) vi è introdotto colla coltura e resiste ai più rigidi freddi. — Vi si coltivano mirabilmente le più belle qualità di Pomi, di Peri, di Ciliegi e di Mespili, non meno che gli alberi da frutto mangereccio esclusivamente meridionali, come sono l’Albicocco (Prunus armeniaca Linn.), il Mandorlo (Amygdalus communis Linn.), il Pesco (Persica vulgaris De Cand.), il Fico (Ficus Carica Linn.), la Vite (Vitis vinifera Linn ), il Gelso (Morus alba et nigra Linn.) ecc.
Del resto la flora che si dispiega nel bacino di Trento e nella regione dell’Adige differisce essenzialmente nell’aspetto da quella che si produce al di là dell’Alpe. Essa è rallegrata dalle benefiche influenze del cielo meridionale, e ne fanno prova le molte specie che vi crescono spontanee, e sono comuni, ad eccezione di pochissime che si tengono a località del tutto speciali. Vi crescono a mo’ di esempio: la Savonina rossa (Centranthus ruber De Cand.), il Terebinto (Pistacia Therebinthus Linn.), lo Scardaccione (Centrophyllum lanatum De Cand.), l’Uva marina (Ephedra distachya Linn.), il Carpesio inclinato (Carpesium cernuum Linn.), l’Alisso a scudo (Farsetia clypeata R. Brown), il Frassinello (Dictamus albus Linn.), la Scodelina (Medicago orbicularis All.), la Cicerchia scarlata (Lathyrus sphcericus Retz.) la Saleggia coronata (Valerianella coronata De Cand.), il Gramignone (Eragrastis megastachya Linn.), l’Eragrostide pelosa (E. pilosa Beauv.) e la intermedia (E. poaeoides B.), la Saggina di Aleppo (Sorghum halepense Pers.), il Cipero serotino (Cyperus Monti Linn.) e il cannellino (Cyperus glomeratus Linn.), la Cinoglossa reticolata (Cynoglossum pictum Ait.), il Botri (Chenopodium Botrys Linn.), il Dente canino (Erythronium Dens canis Linn.), il Cetino o Erba perfogliata (Saponaria Vaccaria Linn.), il Miagro peloso (Rapistrum rugosum All.) ecc.
Animali. — De’ Mammiferi comuni ai luoghi descritti in questo libricciuolo sono da annoverare tra i Chirotteri. il Vespertilione murino (Vespertilio murinus Schreb.), il Pipistrello serotino (Vesperus serotinus Schreb.) l’Orecchiardo (Plecotus auritus Linn.), e il Rinolofo uniastato (Rhinolophus ferrum equinum Auct.); — tra gl’Insettivori: la Talpa (Talpa europaea Linn.), il Sorice acquatico (Crossopus fodiens Pallas), e l’araneo (Crocidura aranea Schreb.); — tra i Carnivori: il Tasso (Meles Taxus Schreb.), il Martore (Mustela abietum Alb. M.), la Foina (M. Foina Linn.), la Puzzola (Putorius communis Cuv.), la Donnola (P. vulgaris Briss.), la Volpe (Vulpes vulgaris Briss.) e la Lutra (Lutra vulgaris St.), che si trova alle acque, lungo l’Adige, l’Avisio ed il Noce. — Tra i Rosicanti vi si rinvengono il Ratto delle chiaviche (Mus decumanus Pall.), il Ratto comune (Mus rattus Linn.), il Topo casalingo (Mus musculus Linn.), il Topo selvatico (Mus sylvaticus Auct.), il campagnolo (Arvicola arvalis Pall.) e il Topo d’acqua (Arvicola amphibius Linn.). Ai monti poi si tengono gli altri rosicanti, come lo Scojattolo (Sciurus vulgaris Auct.), il Ghiro (Myoxus Glis Linn), il Moscardino (M. avellanarius Linn.) e le Lepri (Lepus timidus et variabilis Linn.); mentre de’ Ruminanti non sono che il Capriolo (Cervus capreolus Linn.) ed il Camoscio (Rupicapra europaea Cuv.), ed anche questi rattenuti alle rupi più elevate, e resi a quest’ora piuttosto rari.
Gli Uccelli, che nidificano in questa parte di Trentino si distinguono tra i Rapaci diurni: l’Aquila reale (Aquila chrysaetos Brehm.) che non è molto rara, e si tiene alle rupi de’ monti elevati; il Falcone bozzago o Poiana (Buteo vulgaris Bechst.) il Loddolajo o Falchetto (Falco subbuteo Linn.), il Gheppio o Gambinel (Falcus tinnunculus Linn.), l’Astore (Astur palumbarius Bechst.), lo Sparviere (Accipiter nisus Pall.); — tra i Rapaci notturni: l’Allocco (Syrmium aluco Brehm.), il Gufo reale (Bubo maximus Flem.), il Gufo comune (Otus vulgaris Flem.), l’Assiolo (Ephialtes Scops K. et Bl), la Civetta comune (Athene noctua Boie), e la Civetta di monte (Nyctale tengmalmii Bp.)
Tra le Picarie vi si notano: il Picchio rosso (Picus major Linn.), il verde (Gercinus viridis Linn.), il nero o Pigozzo (Dryocopus Martius Boie), il Torcicollo (Yunx torquilla Linn.), la Bubbola o Upupa (Upupa epops Linn.), il Martino pescatore {Alcedo ispida Linn.) il Cuculo (Cuculus canorus Linn.), il Succiacapre (Cypselus europœus Linn.), il Rondone (Cypselus opus Ill.) ed il Seslone Cyps. Melba Ill.). — De’ Passeracei sono comuni: la Rondine (Hirundo rustica Linn.), l’Aliuzzo comune o Pigliamosche (Butalis grisola Boie), l’Averla maggiore o Scavalcazza (Lanius excubitor Linn.), l’Averla piccola (Lanius collurio Linn.), l’Averla cenerina (L. auriculatus Müll.), il Merlo (Turdus merula Linn.), la Collarina (T. torquatus Linn.), la Tordella (T. viscivorus Linn.), il Tordo bottaccio o d’uva (T. musicus Linn.), il Sassello o Spinerolo (T. iliacus Linn.), la Passera solitaria (Monticula cyanea Cab.), il Codirossone (M. saxatilis Boie), il Merlo d’acqua (Cynclus aquaticus Bechst.), la Massaiuola o Culbianco (Saxicula ænanthe Bechst.), il Saltimpalo (Pratincula rubicula Kock.), lo Stiaccino o Battiale (P. rubetra K.), il Pettirosso (Rubecula familiaris Blyth.), il Codirosso (Ruticilla phoenicura Bp.), il Codirosso spazzacamino (R. tithys Brehm.), il Pettazzurro (Cyanecula suecica Brehm.), il Rossignolo (Philomela luscinia Selby.), la Capinera (Sylvia atricapilla Scop.), la Sterpazzola (S. cinerea Lathr.), il Reccafico (S. hortensis Linn.), lo Scricciolo o Beatino (Traglodites parvulus Koch), lo Stellino (Regulus cristatus Chart.), il Lui verde o Subiotto (Phyllopneueste sibilatrix Brchem.), la Cutrettola gialla o Squazzacoda (Budytes flavus Bp.), la Ballerina (Motacilla boarula Pern.), la Cutrettola bianca (M. alba Linn.), lo Spioncello (Anthus Spinoletta Bp.), la Lodola (Alauda arvensis Linn.), la Calandrina (Melanocorypha Calandra Boie), la Lodola cappellaccia (Galenda cristata Boie), la Cinciallegra (Parus major Linn.), la Cincia piccola o Molinarella (Parus coeruleus Linn.), la Cincia ciuffetto (P. cristatus Linn.), la Codona o Cotimone (Orites caudatus, G. R Gray), l'Ortolano (Emberiza hortulana Linn.), lo Zigolo giallo (E. citrinella Linn.) e il Muciatto (E. Cia Linn.), lo Zigolo della neve (Plectrophanes nivalis M. et W.), la Passera (Passer Italiae Degl.), il Fringuello o Finco (Fringilla coelebs Linn.), il Cardelino (Carduelis communis Cuv.), il Fadanello (C. cannabinus Cuv.), il Lucarino (Chrysomitris Spinus Boie), il Lucarino montano (Aegiothus linaria Cab.) il Raperino o Svarzellino (Serinus hortulanus Koch), il Monachino (Pyrrhula rubicilla Pall.) il Crociere (Loxia curvirostra Linn.), il Frosone comune (Coccothraustes vulgaris Vieill.), il Verdone (Ligurinus chloris Koch), il Rigogolo o Vilipendolo (Oriolus Galbula Linn.), il Corvo reale (Corvus Corax Linn.), la Mulacchia (C. Cornix Linn), la Ghiandaja o Gazza (Garulus Glandarius Vieill.), la Nocciolaja (Nucifraga caryocatactes Temm.), la Sitta (Sitta europaea Linn.) il Rampichino (Certhia familiaris Linn.) ecc.
De’ Gallinacei nidificano alle alpi: il Gallo cedrone (Tetrao Urogallus Linn.), il Fagiano di monte o Forcello, (Lyrurus Tetrix Svv.), il Francolino montano (Bonasia betulina Bp.), il Cotorno (Perdix saxatilis Mey. et W.), la Gallinetta (Lagopus mutus Leach), e il Colombaccio (Coluniba Palumbus Linn.); mentre la Quaglia (Cuturnix dactylisonans Mey.) mette le sue uova tanto al piano che nei luoghi montani. I Trampolieri, ad eccezione del Re di quaglie (Crex pratensis Bechst.) e della Beccaccia (Scolopax rusticola Linn.) sono passaggieri a tempi indeterminati; e così va detto dei Palmipedi, che sogliono visitare i nostri luoghi, e farvisi vedere a date stagioni prima o dopo una burrasca.
Un Passeraceo, che di rado nidifica da noi e passa annualmente in Ottobre ed ai primi di Novembre, è il Montano (Fringilla montifringilla Linn.). — Sono di passo straordinario: il Beccofrusone (Ampelis gurndus Linn.), lo Storno roseo (Pastor roseus Temm.), la Ghiandaja marina (Coracias garrula Linn.), il Grottajone (Merops apiaster Linn.) ecc. — De’ Trampolieri visitatori delle paludi notiamo: il Piviere (Pluvialis apricarius Bp.), la Pavoncella (Vanellus cristatus Mey. et Wolf.), l’Airone rosso (Ardea purpurea Linn.), e il bianco (Egretta alba Bp.), la Folica (Fulica atra Linn.), la Sgarza ciuffetto (Buphus comatus Boie), la Nitticora o Sgarza bianca (Nicticorax grisea Brel.) il Frullino o Beccanella (Gallinago gallinula Bp.), il Chiurlo grosso o Arcuada (Numenius arquata Lathr.) ecc. — De’ Palmipedi sono più frequenti: l’Anitra selvatica o Germano reale (Arias boschas Linn.), l’Oca selvatica (Anser cinereus M. et W.), il Fischione (Mareca Penelope Selb.), la Moietta (Fuligula cristata Steph.), la Marzarôla (Querquedula Crecca Steph.), la Marzaróla (Querquedula Circia Steph.), il Fistone turco (Fuligula rufina Steph.), il Moriglione (Fulix ferina Salv.), la Pescaiola o Smergo bianco (Mergus albellus Linn.), il Mignattino (Hydrochelidon fissipes G. R. Cray), la Strolaga maggiore (Colymbus glacialis Linn.) ecc.
I Rettili comuni a questa regione si riducono ai seguenti: Sauriani: il Ramarro (Lacerta viridis Daud.), la Lucertola comune (Podaciris muralis Wagl.) e la vivipara (Zootoca vivipera Wagl.). Ofidiani: la Viperetta (Coronella austriaca Laur.), l’Anza (Coluber flavescens Gm.), il Saettone (Colubcr viridiflavus Lacep.) colla varietà carbonaria, il Marasso (Tropidonotus Natrix Wagl.), il Marussetto (Tr. tassellatus De Filip.), la Vipera rossa (Pelias Berus Merrem.), e la Lucignola od Orbirola (Anguis fragilis Linn.). — Degli Anfibii s’annoverano le Ranocchie (Rana esculenta et R temporaria Linn.), la Ranocchiella (Hyla viridis Laur.), il Rospaccio (Bufo vulgaris Laur.), il Rospo verde (B. viridis Laur.), il Roschetto (Bombinator igneus Mers.), la Salamandra (Salamandra maculosa Laur.), e due Tritoni, l’alpestre (Triton alpestris Laur.), ed il cristato (T. cristatus Laur.).
I Pesci comuni alle acque del Circondario sono: il Bulbero (Cyprinus carpio Linn.), il Gobione (Gobio fluviatilis Cuv.), il Barbo (Barbus plebejus Val.), la Tinca (Tinca vulgaris Cuv.), la Scardola (Scardinius erytrophthalmus Linn.) l’Alborella o Cavedano (Alburnus alborella De Filip.), lo Squallo (Squallus cavedanus Bp.), il Vairone o Muzzetta (Telestes muticellus Bp.), la Sanguinerola (Phoxinus laevis Ag.); il Triotto o Pepatta (Leuciscus aula Bp.), il Pigo (Leuciscus pigus Bp.), il Barbatello o Foraguada (Cobitis barbatula Linn.), la Cagnola (Cobitis taenia Linn.), il Luccio (Exos lucius Linn.), il Temolo (Thymallus vulgaris Nils.), la Trotta (Trutta fario Linn.), lo Spinarello (Gasterosteus aculeatus Linn.), il Ghiozzo comune o Bottola (Gobius fluviatilis Bon.), il Marzone (Cottus gobio Linn.), l’Anguilla (Anguilla vulgaris Flem.), le Lamprede (Petromyzon fluviatilis Linn. et P. Planeri Bl.). Nell’Adige si pescano altresì: il Persico (Perca fluviatilis Linn.), il Savello (Chondrostoma soëtta Bp.) e lo Strilotto (Chondrostoma Genei Bp.), mentre ne’ laghi montani, come in quello di Molveno, s’alimenta il Saimarino (Salmo salvelinus Linn.)
Ai Vertebrati succedono gli invertebrati; ma di questi non intendo parlare. Gl’Insetti ne tengono la parte principale, sia pel loro numero, sia per la vaghezza delle loro forme. Molti, come il Maggiolino (Melolontha vulgaris Linn.), i Punteruoli della vite (Rhyrinchites Populi et betuleti Gross.) ecc. sono nemici potentissimi delle nostre colture; altri ci ricreano la vista, come le farfalle, collo splendore dei loro colori, ed altri poi che furono introdotti, come il baco da seta e l’ape, soccorrono mirabilmente alle nostre industrie.
Popolazione. La popolazione attuale di Trento e del suo circondario ascende a 100,500 abitanti; i quali, confrontati colla sua superficie, danno una cifra di 105 per ogni chilometro quadrato. Vi si parla un dialetto italiano simile al Veneto fuori che nella inflessione con che si pronunciano le parole, e nell’uso che vi si fa di frequenti troncamenti. — Fu sempre italiana, e solo nel Medio Evo coi Barbari calati nel territorio Perginese, e coi feudi conferiti a famiglie venute di Germania, la popolazione si trovò a contatto coll’elemento tedesco, il quale però si tenne maisempre in tanta minoranza da rimanere, o assorbito dall’elemento primitivo, o isolato perfettamente. — La sua origine sale ad un tempo remotissimo: ne fanno fede i rozzi utensili in pietra scoperti nel subburbio Giovanelli presso Trento, a Santa Massenza ed a Toblino, non meno che le ascie in bronzo rinvenute a Povo, a Mezzolombardo, e in altri luoghi.
Il suo nome va coll’antica Tridentum, ed è nome antichissimo, il quale si nota tra i popoli primitivi che presero stanza con nome proprio, e sul versante meridionale del Brenner, quali furono i Breuni, i Venosti, i Genauni, e gli Isarci; e nei contorni ad occidente, a mezzogiorno e ad oriente come furono gli Stoni, gli Euganei e i Medoaci.
Prevale nell’abitante di Trento e del suo Circondario il temperamento sanguigno-bilioso; è più focoso che costante nelle passioni; ha ingegno pronto, imaginazione viva e brilante, spirito gioviale, molta penetrazione, grande attività e costanza nel lavoro. Ama la patria e la famiglia; è ospitale co’ forestieri, benefico e portato a cogliere e fecondare le utili istituzioni, provvedendo ai bisogni dell’indigenza, alla pubblica e privata educazione, al lustro e al decoro della sua città e del suo paese.
Storia. — La storia di questa parte di Trentino trae la sua origine da tempi remotissimi, da quelli che coincidono collo stabilimento dei Ras o Raseni ai luoghi che presero il nome di Rezia. Di là le prime relazioni, i primi contatti dei Trentini con altri popoli, le prime mescolanze avvenute tra la razza esistente e le razze sopravvenienti, i primi raggi di civiltà che splendettero sul trentino rozzo e incivile.
Ai Ras seguirono i Celti o Galli, i quali penetrarono nel Trentino e secondo un’antica tradizione, edificarono la città di Trento. I Romani vi misero il loro genio; e, reso il Trentino alla loro dominazione, vi trovarono sudditi devoti ed ubbidienti alle loro istituzioni, alle loro leggi; i quali mai osarono spiegare la bandiera di ribellione contro Roma, e si tennero lontani dal partecipare ai movimenti insurrezionali dei Reti e delle altre genti alpine combattute e vinte da loro. — Trento era già sino dal tempo di Claudio imperatore uno splendido Municipio1; e, come la sua popolazione fu tolta al culto pagano, divenne la sede di un Vescovo, di Giovino, che viveva al tempo di Sant’Ermagora Aquileianense, primo evangelizzatore dei popoli trentini.
Distrutta la potenza romana in Occidente, dominarono in Trento i Goti e poi i Longobardi. Teodorico pose mano a ristaurarne le mura, e il Castello ch’era al suo Dosso; Evino fu primo Duca longobardo sedente in Trento; e, caduta anche la potenza de’ longobardi, vi comandarono i Franchi, e il Trentino fu governato da un Marchese. Nell’anno 1027, questo Marchesato, per donazione di Corrado il Salico, fu convertito in Principato ecclesiastico. Udalrico II fu primo Vescovo con dominio temporale, con giurisdizione estesa dalla Chiusa di Verona a quella di Bressanone, lungo le due sponde dell’Adige.
I Vescovi Principi vi governavano secondo le leggi e le consuetudini del paese, e deliberavano col parere della loro Curia. Il Municipio non era escluso dal prendere parte ai pubblici affari: v’entrava ora con voto consultivo, ed ora con voto deliberativo; avea un proprio statuto ed era amministrato da proprj Consoli.2 Geloso delle sue franchigie, vegliava accuratamente alla conservazione della sua libertà, finché tratto dall’esempio delle città lombarde, spiegò tendenze per una libertà maggiore, per quella alla quale aspiravano i Comuni Italiani. Federico Barbarossa tento di reprimerne i movimenti, ordinando (1182), che il Municipio smettesse i propri Consoli e cessasse da qualsiasi atto di sovranità. Ma la cosa passò senza effetto; e di qui le discordie che nacquero tra Guelfi e Ghibellini, e i ripieghi adoperati da Federico II, il quale vi mandò de’ suoi Vicarj col titolo di Podestà imperiali. Uno di questi e più famoso fu Eccelino da Romano, che venne, e ponendo in Trento un presidio di tedeschi, costrinse il Vescovo Aldrighetto de’ Signori di Campo ad esulare dal suo stato.
Ad Aldrighetto successe nel Principato Egnone Conte di Piano (1248), il quale riuscito a liberare la città dalla tirannia di Eccelino, fu costretto ad esulare assalito dalle truppe di un nuovo Vicario imperiale, da Mastino della Scala. Arrigo e Filippo Bonacolsi, che ebbero successivamente il governo della Chiesa trentina, non furono favoriti da miglior sorte; e così è a dirsi de’ Vescovi loro successori sino alla metà del secolo decimoquinto, sempre combattuti dalle violenze dei Conti del Tirolo; che, come loro avvocati, pretendevano avere diritto alla sovranità del Principato trentino.
Parecchi avvenimenti degni di nota si offrono a partire dall’anno 1300: in Trento Lodovico il Bavaro (1327) tenne un parlamento coi più potenti ghibellini italiani allo scopo di trattare de’ mezzi per farsi incoronare Re d’Italia; — indi la città impegnatasi (1347) in favore di Carlo IV, marito ripudiato di Margherita Contessa del Tirolo, cadde in potere del Marchese di Brandeburgo, che durò nella seguita occupazione sino all’anno 1359.
Nel principio del secolo susseguente un’insurrezione popolare provocata in parte dal contegno tirannico degli Ufficiali del Vescovo, e in parte dalla cupidità di Federico tasca vuota, balzò di seggio il Vescovo Giorgio di Lichtenstein; e, proclamata la repubblica, fu tratto prigione nella torre Vanga. Rodolfo Bellenzani vi figurava quale capo e referendario del popolo trentino; il Vescovo era difeso da quelli di sua parte, e in fine il Bellenzani, caduto in mano di Enrico di Rottemburgo, fu trascinato sulla pubblica piazza e decapitato (1412). Il Vescovo fu allora restituito alla sua sede; ma non ebbe pace col Conte del Tirolo, nè la ebbe il suo successore Alessandro di Mazovia, malgrado le convenzioni, i decreti imperiali e la scomunica lanciata contro Federico dal Concilio di Costanza.
Ad Alessandro successero Giorgio II di Hach (1446), Giovanni IV Hinderbach (1465) e Udalrico III di Freudsberg nativo di Augusta (1486), il quale, non appena entrato in possesso del Principato, vide la guerra, che s’accese tra il Conte del Tirolo e i Veneziani stabiliti in Valle Lagarina sino dall’anno 1416. Ne furon cagione i Conti d’Arco, che non potendo ricuperare da soli, nè col Vescovo loro signore, certi castelli, ricorsero a Sigismondo d’Austria, Conte del Tirolo. La lotta, incominciata con vantaggio de’ Veneziani, terminò con una sconfitta toccata loro presso Calliano (1487), nella quale lasciò sua vita Roberto Sanseverino.
I Veneziani ebbero dipoi guerra più ostinata coll'Imperatore Massimiliano I succeduto nella Contea del Tirolo a Sigismondo suo parente; e durante la stessa il territorio trentino divenne per qualche anno il centro delle operazioni politiche e militari, sino all’anno 1509, nel quale l'Imperatore tolse alla Serenissima Repubblica quanto ancora possedeva in Valle Lagarina. — Giorgio III di Neidech, successo nel Principato (1493) conchiuse con Massimiliano quella convenzione che fu detta libello dell’Undici (1511), e stabiliva un comune accordo per la difesa delle terre possedute dal Conte del Tirolo e dai Principi Vescovi di Trento e di Bressanone.
Bernardo Clesio fu eletto Principe Vescovo nell’anno 1514. Sotto di lui si fece nel Trentino quella generale sommossa del popolo minuto contro i feudatari e l’alto Clero, ch’ebbe nome di guerra rustica, e fu soffocata nel sangue a forza di soldatesche nostrali e forestiere, a forza di terrori e di supplizj. — A lui successe Cristoforo Madruzzo (1539), il Cardinale che s’onorò di ospitare splendidamente i Padri del Concilio radunato in Trento tra gli anni 1545 e 1563. Ei cessò di vivere in Tivoli presso Roma (1567) ed ebbe a successori tre di sua illustre famiglia: Lodovico (1567-1600), Carlo (1600-1629) e Carlo Emanuele (1629-1658), ultimo rampollo di Casa Madruzzo. — Il Capitolo eleggeva allora a Vescovo Principe (1659) Sigismondo Francesco, figlio dell’Arciduca Leopoldo e di Claudia de’ Medici, già Vescovo di Augusta e Gurk; ma il Papa ne ricusò la conferma; e nondimeno entrava in possesso del dominio temporale del Principato. Lo rinunciava qualche anno appresso insieme colla rinuncia da lui fatta delle dignità ecclesiastiche, e veniva eletto in sua vece Ernesto dei Conti di Harrach, Arcivescovo di Praga e Cardinale (1665). Regnò due soli anni, e lo seguirono successivamente: Sigismondo Alfonso dei Conti di Thunn (1668-1677), Francesco degli Alberti di Poja (1677-1689), Giuseppe Vittorio degli Alberti di Enno (1689-1695), Giovan Michele Conte di Sporo (1696-1725), Giovanni Benedetto de’ Gentilotti (9-20 settembre 1725), Antonio Domenico Conte di Wolkenstein (1725-1758), Francesco Felice Conte degli Alberti di Enno (1758-1762), Cristoforo II dei Conti Sizzo de Noris (1763-1776) e Pietro Vigilio Conte di Thunn (1776-1800), ultimo de’ Vescovi Principi con dominio temporale.
Nell’anno 1796 il Vescovo Principe abbandonò la sua sede (17 Maggio) paventato dal celere avvanzarsi dell’armata Francese condotta dal Generale Bonaparte. Trento cadde in potere del vincitore (5 Settembre), e divenne la sede di un nuovo governo, ch’ebbe nome Consiglio di Trento; governo che durò poco, vale a dire sino ai 5 Novembre dello stesso anno, nel quale gli Austriaci presero la posizione di questa città. Vi fu allora un I. R. Consiglio di Amministrazione (16 Novembre); ma nell’anno susseguente (16 Gennajo 1797), vinti gli Austriaci a Rivoli, il Generale Joubert rioccupò Trento, e vi stabilì un Consiglio centrale, che durò sino ai 10 Aprile 1797, sino al ritorno delle truppe austriache. Nel 1801 (7 Gennajo) fu riacquistato alla Francia; ma, segnata la pace di Luneville (9 Febbrajo) i Francesi lo dovettero sgomberare. Colla stessa pace il Principato di Trento venne secolarizzato definitivamente, e unito alla Contea del Tirolo. Più tardi, per la forza degli avvenimenti, fu dominato dalla Baviera (1805-1809); nell’anno 1810 fu aggregato al Regno d Italia, e nel 1814 ripassò all’Imperatore d’Austria e fu riunito al Tirolo, dal cui governo tuttora dipende.
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- ↑ Vedi Tavola Clesiana scoperta ai Campi neri di Cles nell'anno 1869. Dichiarata da T. Mommsen (Edict des Kaisers Claudius über das Romische Bürgerrecht der Anauner von J. 46 N. Chr.) nell’Hermes 1869. IV. pag. 99. — 131; e tradotta dipoi por cura del Cav. Bar. Ab. Giovanni a Prato. Trento, Monauni, 1869. op. di 30 pagine con fac-simile della Tavola.
- ↑ Questo Municipio conservava le tradizioni del municipio latino. Si diceva Magistrato Consolare, e godeva diritti anteriori a quelli de’ Principi Vescovi, non meno che il diritto di presentare al Principe Vescovo la terna per la nomina del Podestà o Pretore, al quale era affidata la giurisdizione civile e criminale. Dovea essere persona tolta fuori di diocesi, che non avesse rapporti di attinenza o parentela con alcuno de’ cittadini; e, com’era nominato, il Podestà entrava in città al suono della campana del Comune, la renga, preceduto dai Consoli, da due trombetti, da due littori coi fasci consolari d’argento, e dalle imprese e gli stendardi del suo casato. Visitava il Duomo; dov’era tenuto, entro tre giorni, di fare un’offerta all’altare di San Vigilio; e fatto ciò veniva presentato dai Consoli al Principe, riceveva lo scettro e prestava il consueto giuramento.
L’antica Podestaria o Pretura di Trento abbracciava un vasto territorio, e si distingueva in interna, per la città, Piedicastello, Ravina, Belvedere, Romagnano, Mattarello, Columello di mezzo, Valsorda, Sardagna, Montevaccino, Cognola, Gardolo e Mezzolombardo; ed in esterna per Terlago, Cadine, Sopramonte, Baselga, Vigelo-Baselga, Piedigazza, Vezzano, Padergnone, Calavino, Lasino, Cavedine, Povo, Meano, Civezzano, Albiano, Fornace, Pinè, Vigolo-Vattaro, Vattaro e Bosentino.
Il Podestà rimaneva in carica un anno intiero, e prima di rassegnarla, era uopo assoggettare la propria amministrazione al sindacato di tre, due de’ quali Venivano nominati dal Magistrato Consolare. A lui s’univa un Vice-podestà che era scelto tra i giureconsulti collegiati di Trento. — E così la cosa ebbe a durare dai tempi più antichi sino all’anno 1806, nel quale collo stabilimento delle tre giudicature distrettuali con sede a Trento, a Civezzano ed a Vezzano, fu spogliato il Magistrato consolare di que’ diritti che lo rendevano sommamente rispettabile al pubblico e alla cittadinanza trentina, e tratto a quella trasformazione che subì dipoi (1810), perdendo il proprio titolo, e divenendo un Comune ordinario rappresentato da Savj o Consiglieri con un capo distinto col nome di Podestà.