Tre libri dell'educatione christiana dei figliuoli/Libro II/Capitolo 14
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Delle quattro cose ultime. Cap. XIV.
Dice il Savio nella santa scrittura: In tutte le opere tue ricordati de i tuoi novissimi, et non peccarai giamai; quattro sono, secondo la sentenza de i padri questi novissimi, overo ultime cose, cioè la morte, il giuditio di Dio, la dannatione eterna, et la vita eterna, delle quali scrisse un Divoto, et util libro Dionisio Cartusiano, intitolato de quatuor novissimis. Questi ci sono accennati nel santo Simbolo Apostolico quando confessiamo che Christo nostro Signore verrà dalla destra del padre, dove hora siede a giudicar i vivi, et i morti, et parimente ne gli ultimi articoli ne i quali confessiamo la resurretione della carne, et la eterna vita. Hora lungo saria a dire tutti i frutti grandi che apporta ciascuno di detti novissimi, ma in particulare la consideratione, et mediatione della morte, il che la nostra sensualità per natura aborrisce; ma per elettione anchora gli huomini ordinariamente fuggono tanto questo pensiero, che tra molti è un proverbio commune, che non si parli di morte; parendo loro che questo sia lo assentio, che faccia amara ogni dolcezza di questa vita, quasi che il non parlare di morte, ò non pensarvi, possa impedire la irreparabile necessità del morire; et non considerano questi tali quanto meglio sia il pensar spesse volte a quella attione, che necessariamente si ha da fare, acciò si faccia bene, atteso che ci importa tanto quanto quello che rettamente giudichi, facilmente può intendere, cioè, per dirlo in una parola sola, dal bene, ò non ben morire, pende l’eternità della gloria, et l’eternità della pena. Ma tra le molte utilità, che apporta la memoria della morte, grande è quella che nella sentenza del savio si contiene, cioè che questo è come un freno che ci ritira dal peccato, mentre consideriamo non solo di dover morire ma di dover rendere strettissimo conto delle nostre operationi à Dio giustissimo giudice, innanzi alli occhi del quale come l’Apostolo dice, ogni cosa è nuda, et aperta, et renderà a ciascuno secondo l’opere sue, o premio ò castigo sempiterno. Perilche il Demonio astutissimo che bene intende il frutto di questo pensiero, in un cuor christiano, accordatosi con la carne et co’l mondo, nostri perpetui nemici, cerca di allontanarcene quanto può. Ma a noi più conviene ascoltar Christo Signor nostro ilquale tante volte ci ammonisce à star vigilanti, percioche non sappiamo il giorno ne l’hora.
Giova anchora il pensiero della morte ad abassar la nostra superbia massime a i nobili, et ricchi et a quelli che ò per alcuna dote di corpo, ò d’animo sono superiori a gli altri, a i quali parla la scrittura parte riprendendoli, et parte deridendoli, et parte ammonendoli dicendo: Quid superbis terra, et cinis? ò cenere et polvere, et di che t’insuperbisci? Non disprezzarà facilmente i minori di se, ne si gonfiarà superbamente de i doni di Dio, per i quali come più debitore a sua Maestà più dovria humiliarsi, chi considerarà che tutti siamo poca polvere, et in poca polvere ritorniamo.
Dall’istesso pensiero si trahe un’altra grande utilità di non rallegrarsi soperchiamente delle prosperità, nè troppo attristarsi delle adversità di questa breve vita.
E anchora gran rimedio all’ansiosa sollecitudine che si ha da gli huomini di acquistar robba, di che forse ragionaremo altrove. Et finalmente per non esser più lungo, chi pensa al morire non impazzisce dietro gli honori vani del mondo, accorgendosi che nè essi possono star con noi, nè noi con loro, onde dicea San Hieronimo, facilmente disprezza ogni cosa chi sempre pensa, che presto ha da morire.